La porta delle pecore (10:1-11). Michela Murgia e la “pratica della soglia”
Restituzione* a cura di Mariella Colosimo dell’incontro di riflessione biblica del gruppo PAROLA… E PAROLE** di Roma del 13 maggio 2023
Il nostro incontro si apre parlando della vicenda personale di Michela Murgia, che ci ha colpito molto.
In una sua intervista ad Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera parla del suo incontro con un male incurabile, un cancro al quarto stadio. Niente lamenti, né traccia di rimpianti, rifiuta termini di tipo bellico come lotta, guerra contro il cancro o simili, mostra una tranquillità che al lettore sembra irreale. Non abbandona il suo spirito militante, conclude di non voler morire fascista, con il governo Meloni.
Dichiara anche la natura stravagante, cioè queer, della sua famiglia, per la quale ha acquistato una casa contenente dieci letti, quante sono le persone che la compongono, con una di esse si sposerà. Dice anche che questa persona per lei poteva essere uomo o donna, ma questa volta ha deciso che sarà un uomo, che la assisterà nelle sue ultime necessità.
Importante è, anche in questa circostanza, la sua manifestazione di fede in Dio. E dell’Aldilà ne parla così: “Non un luogo, ma uno stato sentimentale. Dio è una relazione. Non penso che la vita dopo la morte sia tanto diversa. Vivrò relazioni non molto differenti da quelle che vivo qui, dove la comunione è fortissima. Nell’Aldilà sarà una comunione continua, senza intervalli”.
Abbiamo parlato anche del suo libro “God save the queer”, dove c’è una riflessione sul Vangelo di Giovanni scelto per questo incontro (10:1-11). Anche questa farà parte del collage di riflessioni e pensieri, riportati qui.
Qualcuno legge il brano del Vangelo, e l’intreccio tra le parole del Vangelo e le nostre comincia a prendere forma.
In questo brano Gesù da un’immagine di sé particolare: è la porta delle pecore. Non la porta del recinto, che serve ad aprirlo quando va aperto, e a chiuderlo quando va chiuso. Questa espressione, “la porta delle pecore”, che dal punto di vista linguistico sembra anche un po’ sbagliata, suggerisce una porta al servizio delle pecore, che permette il loro passaggio da dentro a fuori e da fuori a dentro secondo i loro bisogni, non secondo orari e regole prestabilite e imposte. Quella porta è Gesù, il pastore, che chiama le sue pecore ad una ad una per nome e la cui voce le pecore conoscono.
La porta è al confine tra dentro e fuori. Gesù quindi non è né dentro né fuori, e non è al centro, è sul confine. Avrà qualcosa a che fare questa immagine, nella quale Gesù si riconosce, col suo essere un ebreo marginale? Messo ai margini dal potere politico e religioso del suo tempo, che deciderà poi la sua eliminazione.
Nel capitolo precedente del Vangelo di Giovanni c’è l’episodio del cieco a cui Gesù ridà la vista, lo fa nel giorno di sabato, e i farisei lo criticano per questo. Nel capitolo seguente, in cui si racconta della morte di Lazzaro, al proposito di Gesù di tornare in Giudea, i discepoli rispondono: “Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?”. Era dunque chiaro a Gesù che il cerchio si stava stringendo intorno a lui.
A chi pensa Gesù quando parla di ladri e i briganti? A coloro che da una posizione di potere ostacolano lui e vogliono avere il controllo, esercitare il loro potere sul gregge?
Anche noi viviamo il margine, siamo cristiani marginali, qualcuno di noi per le scelte che ha fatto, nel tentativo di seguire il messaggio evangelico, ad altri ed altre è andata peggio: sono discriminati per ciò che sono, per la loro identità. È per la loro natura che le donne e le persone LGBT sono discriminate.
Non lo abbiamo scelto noi il margine, ma quella posizione un vantaggio ce l’ha: dalla soglia si può guardare fuori e anche dentro. Chi è al centro è visto da tutti, ma ha una visione parziale: vede solo chi gli sta davanti, e non arriva a vedere fuori.
Forse proprio noi, dal margine, possiamo favorire quel passaggio, quella comunicazione tra il dentro e il fuori, senza cui la Chiesa morirà. D’altra parte ce lo insegna la parabola del samaritano che la salvezza può venire proprio da chi è escluso e scartato.
Interessante la lettura che dell’immagine della porta fa Michela Murgia nel suo libro “God save the queer”. Le persone queer sono quelle che rifiutano il binarismo di genere e di orientamento sessuale, che rifiutano di essere catalogate. Questo rifiuto, questa fluidità (queerness), Michela Murgia la chiama “pratica della soglia”.
La soglia separa l’in del riparo dall’out del pascolo, il confine tra il luogo protetto e quello selvaggio. Nell’ovile c’è il riposo, la tranquillità e la sicurezza per le pecore e gli agnellini, ma non c’è il cibo. Per mangiare bisogna uscire fuori, dove c’è l’erba, il nutrimento, la vita, ma c’è anche il lupo. D’altra parte, si può rinunciare a nutrirsi per il rischio di incontrare il lupo?
La vita delle pecore è garantita dal movimento tra il dentro e il fuori, non dalla stasi. Gesù è colui che rende possibile praticare la soglia come spazio vitale. Non si propone come il protettore che difende dai pericoli, ma come un confine attraversabile, il punto di contatto che permette ai due spazi di comunicare tra loro.
La pratica della soglia, la queerness rigetta l’appartenenza ad un unico recinto. Accettare la queerness come prassi cristiana significa riconoscere che il confine non ci circonda, ma ci attraversa, e che quel che avvertiamo come contraddizione è in realtà uno spazio fecondo di cui non abbiamo ancora compreso il potenziale vitale.
Le domande che la queerness pone, estratte dal contesto, sono applicabili al Dio cristiano, al suo essere Totalmente Altro. Possono aiutare a smontare i tentativi di limitare Dio ad una sola forma e a una sola definizione (che poi coincidono con quelle che gli attribuisce chi ha potere). La queerness come pratica della soglia è adatta a ragionare di un Dio trino che nella Persona di Cristo ha detto ai suoi: “Io sono la porta”.
Ispirarsi alla pratica della soglia può aiutare a smantellare le classificazioni e le categorie a cui la Chiesa istituzione ci ha abituati. La soglia, la frontiera danno un’idea di libertà rispetto al recinto, libertà di muoversi, di conoscere e non rimanere intrappolati nel recinto.
Tra i pesi che la Chiesa ha contribuito a creare nei secoli c’è anche l’angoscia della morte e del dopo. L’esperienza di Michela Murgia restituisce lucidità e positività nel valorizzare quello che ho adesso, determinazione ad esserci, a stare accanto al problema, nonostante la consapevolezza che il momento della morte è ormai vicino
Anch’io mi sento sulla soglia, dopo anni vissuti a non ragionare con la mia testa, dentro i dogmi proposti / imposti dalla Chiesa Cattolica, a seguire più il Catechismo che il Vangelo, in cui l’unico comandamento è quello dell’amore… Ora le prediche che sento a Messa non le sopporto più.
Dalla soglia guardo dentro il recinto, dove ci sono persone empatiche con cui mi sono confidata, raccontando la realtà dei miei figli, e che mi hanno accolta, e altre rispetto alle quali non sento possibile un’autentica comunicazione, con le quali non parlo per non farmi del male. Sulla soglia si può star bene, ma anche male. Prima facevo parte del gregge, ora sono un po’ a latere, mi sento una dissidente, sulle orme di Gesù, dissidente anche lui.
Le pecore nel recinto ci vanno di notte, poi di giorno escono per mangiare. Uscendo fuori ciascuno sceglie la propria strada. Gesù ci sarà sempre per tutte e tutti, per accompagnarci, proteggerci, cercare chi si perde. L’amore e il perdono del Signore ci sono sempre. Vedo per tutti noi la possibilità di essere gregge e di essere liberi.
Io mi sento sia recinto che soglia, frontiera. Mi sento costretta in un recinto soffocante quando non posso esprimermi totalmente nel mio essere più intimo e profondo. Ma nello stesso tempo mi sento soglia, frontiera, in quanto minoranza LGBT silenziosa, nascosta e messa ai margini. Ancora ci sono dentro di me, a livello inconscio, sacche di omofobia. Soglie tra l’essere a posto e il non esserlo.
Non esistono situazioni perfette, esiste la tua situazione, con il carico di fatica e sofferenza che si porta dietro, e che Gesù vive e attraversa con te. Che cos’è la famiglia queer se non una famiglia allargata e tenuta insieme da un forte legame d’amore, che va al di là di ogni forma di amore convenzionale?
Provo amarezza pensando alla pratica di fede di mio figlio omosessuale che, sentendosi allontanato dalla Chiesa, non ha più trovato uno spazio dove vivere la propria fede. Difficile anche dire della sua omosessualità con i parenti per paura di ferire un nonno anziano.
Ricordiamo un passaggio del video 2 volte genitori, di Agedo. Una ragazza dice alla nonna di essere lesbica e la nonna la rassicura dicendole che non l’avrebbe detto a nessuno. Alla risposta della nipote: “Lo sanno tutti”, la nonna si mette a piangere.
Non mi sono mai sentito pecora, ma mi colpisce l’immagine del gregge di pecore che si raccolgono nel recinto, respirando l’una accanto all’altra. Per me è importante la relazione personale con il Signore, quella relazione intima che il brano del Vangelo esprime bene: “egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce”. E per loro il buon pastore spende la sua vita.
L’immagine di Gesù-porta mi dice qualcosa sul modo in cui rapportarsi con il mondo: attraverso il Signore, assumendo il suo sguardo benevolo sul mondo.
L’essere porta di Gesù esprime la proposta di porci in relazione con gli altri, così come lui ci indica. L’amore rimane la spinta propulsiva che spinge a scardinare schemi e pregiudizi. Solo la forza vitale, l’amore per la vita può indicare la via verso la luce e può fare provare momenti di autentica felicità, nonostante tutto, nonostante la vicinanza di chi, con il suo malessere profondo, esprime l’anti-vita, capace di far sprofondare negli abissi.
Passare attraverso quella porta significa far agire dentro di noi l’istinto di vita, perché vinca sulla pulsione di morte.Il recinto e la soglia sono due facce della stessa realtà. L’ovile è il luogo del riposo, dove sentirsi protetti, poi però bisogna uscire per cercare il cibo, senza del quale c’è la morte. Due parti legate. Se non si esce, se non si affrontano i rischi che il fuori comporta, l’ovile da luogo di protezione diventa soffocante e luogo di morte.
Giovanni 10:1-11
“In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei”. Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro.
Allora Gesù disse loro di nuovo: “In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti, ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza. Io sono il buon pastore; il buon pastore dà la sua vita per le pecore.
*La restituzione è una sorta di resoconto di quanto è stato detto nel corso dell’incontro. Come in un collage, sono messi insieme frammenti significativi degli interventi dei singoli partecipanti, parole e pensieri espressi da ciascuno e ciascuna.
** PAROLA… E PAROLE è un gruppo di incontro esperienziale cristiano per genitori di persone LGBT e genitori LGBT di Roma. Ci incontriamo per percorrere e tracciare insieme il cammino verso una società ed una chiesa inclusive, dove nessuno sia messo ai margini. Lo facciamo seguendo le orme di quel Gesù di Nazareth, che, sulle strade della Palestina, ha condiviso la sua vita con gli esclusi e le escluse del suo tempo. Ci incontriamo una volta al mese, normalmente il primo venerdì, alle ore 20 presso un locale attiguo alla chiesa di Sant’Ignazio. Coloro che sono interessati, possono contattarci a questi recapiti: Alessandra Bialetti 346 221 4143 – alessandra.bialetti@gmail.com; Dea Santonico 338 629 8894 – dea.santonico@gmail.com