La potenza della fede e della speranza in un laboratorio sull’identità di genere
Articolo di Bob Shine pubblicato su Bondings 2.0, blog dell’associazione cattolica New Ways Ministry (Stati Uniti), il 27 settembre 2015, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro
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Proprio mentre papa Francesco era a Philadelphia, alcuni cattolici si sono riuniti in un locale del centro città per saperne di più sull’identità di genere attraverso idee ed esperienze. Il laboratorio, sponsorizzato da New Ways Ministry e intitolato Transforming Love (Amore che trans-forma), ha visto la partecipazione di quattro ospiti che ci hanno raccontato cosa vuol dire essere trans*, intersex oppure madri di una persona LGBTQI, ed esserlo da cattolici.
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Dopo una preghiera di apertura Julie Chovanes, cattolica transessuale di Philadelphia, ha aperto il laboratorio. Come ha riportato Steve Ahlquist di RIFuture.org: “Julie è stata allevata nella tradizione cattolica orientale. Il coming out e la transizione sono state una sfida, ma ora si sente accettata nella città. Pensa che Philadelphia è la città migliore del mondo [per le persone trans]. ‘Non mi considero né un uomo né una ragazza… Sono una trans. Il cervello e l’anima sono femminili, ma il corpo è maschile… La mia vita è una testimonianza a gloria di Dio’”. Più tardi, dopo aver affermato “Sono molto fiera di ciò che sono”, Julie ha sottolineato di essere una privilegiata rispetto a molte altre persone trans. È un avvocato di successo, il cui matrimonio è rimasto in piedi durante la transizione. Julie ha aiutato le persone trans di colore, che sono coloro che soffrono di più negli Stati Uniti per problemi economici e violenze fisiche ed emotive.
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Poi è venuto il momento di delfin bautista, che si identifica come trans* e specificamente come “persona dal doppio spirito” o genderqueer. [delfin non usa il pronome singolare per riferirsi a se stesso, né quello maschile né quello femminile: preferisce il plurale neutro “loro” quando parla di sé. Inoltre, il suo nome si scrive con le iniziali minuscole.] delfin ha stilato una lista delle loro molte identità personali, “che a volte si scontrano e a volte coesistono”: tra queste, l’essere cattolico e l’essere il direttore del Centro LGBT all’Università dell’Ohio. Hanno parlato della loro educazione ispanica e cattolica, del loro viaggio dentro se stessi, sempre avanti per conoscere “cosa vuol dire essere et-et invece di aut-aut”: “Essere diversi non è una scelta… Mi vestivo da bambina e giocavo a fare la principessa. Pregavo ogni sera di svegliarmi in un nuovo corpo, ma la mia preghiera era accolta dal silenzio… Quando sono uscito allo scoperto l’ho fatto in quanto gay, perché era ciò che conoscevo, ma già allora sapevo che non era corretto… Mia mamma voleva aiutarmi e mi mandò in terapia per curarmi. Non la odio per questo, stava cercando di aiutarmi”. delfin ha poi spiegato con delicatezza il concetto di transizione: non si tratta di cambiare la propria identità, bensì di confermarla e di condividerla con gli altri. È un cammino comunitario perché riguarda il partner, gli amici e i famigliari.
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Rispondendo alle domande dei convenuti, gli oratori si sono concentrati sull’oppressione delle persone trans* da parte delle comunità lesbica e gay. Julie ha alluso alla storica rivolta di Stonewall del 1969, ricordando che furono le persone trans* a dare il via al movimento LGBT. delfin ha detto: “Siamo usciti allo scoperto. Siamo qui da secoli”, aggiungendo che il sessismo e la misoginia ancora riducono al silenzio le voci trans femminili perfino all’interno dei circoli LGBT. delfin ha allargato poi la critica al movimento Black Lives Matter, che ha messo in primo piano gli uomini di colore assassinati dimenticando le donne trans nere, che soffrono del più alto tasso di violenza. Ambedue hanno citato le Scritture per spiegare le loro tesi. Julie ha sottolineato la misericordia dell’apostolo Filippo nei confronti dell’eunuco etiope (vedi Atti degli Apostoli, capitolo 8): la sua condizione non è frutto del peccato ma “a maggiore gloria di Dio” e ha fatto notare come, da Genesi a Galati, il genere venga presentato come uno spettro.
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La seconda parte del laboratorio ha visto due relatrici da San Salvador. Nicole Santamaria è una attivista intersex cattolica che ora risiede negli Stati Uniti. Insieme a lei c’era Vilma Santamaria, sua madre, insegnante e attivista femminista. Alla sua nascita Nicole venne assegnata al genere maschile: a tre anni cominciò a identificarsi come femmina e fin dai cinque anni cominciò a pensare di scappare di casa. Quando finalmente uscì allo scoperto con sua madre, Vilma rispose “Ti vorrò bene in qualsiasi modo sarai. Sarai sempre nel mio cuore”. Vilma sapeva già che sua figlia era diversa. Chi non capiva era suo padre, a causa del quale Nicole ha sofferto moltissimo da adolescente: “[Mi diceva] non parlare così, non muovere le mani in quel modo! Oh mio Dio, non respirare in quel modo!… Mio padre mi ha torturata mentalmente e fisicamente. Scaldava delle monete e con esse mi bruciava i capezzoli”. Le torture di suo padre le distrussero i seni naturali e il precoce intervento medico non fu facile ma in seguito, attraverso la chirurgia ricostruttiva, Nicole è stata in grado di presentarsi come donna, come fa ora. È ancora in una fase di passaggio, in cui però è apertamente identificabile come donna. Nicole si rifiuta di rimanere in silenzio come una privilegiata: “Dio mi ha dato l’opportunità di sopravvivere. Continuerò a parlare ad alta voce per coloro che non ce l’hanno fatta”. Affermando che la fede le “ha dato la forza per andare avanti”, continua: “Sono venuta qui all’Incontro Mondiale delle Famiglie con papa Francesco per parlare a nome delle voci zittite dai torturatori e dagli assassini. Le voci di chi è stato zittito da chi crede di avere il permesso e l’obbligo di assassinarci, sterminarci, perseguitarci, perché la loro religione ha detto loro che è giusto uccidere una persona perché è diversa. Quando un leader religioso parla pubblicamente contro la diversità sessuale, o anche contro l’aborto, una donna transgender viene uccisa. Ogni volta che si sentono queste cose, è la morte. Ogni volta che una cosa simile compare nei media, potete leggere i commenti della gente che dice: Se lo meritano, Sono abominevoli, Dio non li ama, È giusto così”. La violenza contro le persone LGBTQI a El Salvador è endemica: violenze sessuali, torture, aggressioni fisiche. Nicole sta chiedendo asilo politico negli Stati Uniti perché, come ha detto a sua madre, “Ho lasciato il mio Paese perché non voglio che tu sia chiamata a identificare il mio corpo fatto a pezzi”. Ha abbandonato El Salvador dopo diverse aggressioni e tantissime autentiche minacce di morte.
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Le parole degli ospiti hanno mostrato la potenza e la grazia presenti al laboratorio. I loro discorsi sono stati integrati da molte piccole conversazioni personali con i partecipanti che hanno condiviso la loro fede, le loro identità, le loro speranze come i loro dolori. Potete vedere l’atmosfera del laboratorio in questo video di Religion News Service. Va detto, infine, che il laboratorio è stato vicino ad essere annullato: l’arcivescovo Charles Chaput, in coincidenza con l’Incontro Mondiale delle Famiglie, ha cacciato il laboratorio dalla parrocchia cattolica in cui doveva tenersi assieme ad altre iniziative LGBT. Ringraziamo la congregazione metodista di Arch Street, che ci ha aperto la porta e le braccia, e i pellegrini di Equally Blessed, che hanno permesso ai cattolici LGBT e ai loro alleati di testimoniare la potenza della fede, della speranza e dell’amore nella loro vita, nelle loro relazioni e nelle loro famiglie.
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Testo originale: New Ways Ministry Welcomes Pope Francis to Philly with Catholic Gender Identity Workshop