La preghiera oggi, tra linguaggi nuovi e antichi pregiudizi
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Riflessioni di Massimo Battaglio
In questi giorni sta spopolando un video di un giovane sacerdote che parla di preghiera: è don Alberto Ravagnani, titolare di un canale youtube. Niente di straordinario, dal momento che tutti stanno affrontando questi argomenti, in positivo e in negativo, credenti e non.
La preghiera sembra essere tornata al centro dell’attenzione: coronavirus, Conte, Salvini e preghiera sono gli argomenti più battuti in rete.
Ma allora perché, tra tante riflessioni, proposte, anche stupidaggini, si distinguono proprio i video di questo giovane prete? Perché lo fa con un linguaggio giovane, frizzante, studiato nei minimi dettagli per far presa sui consumatori di social, siano essi ragazzi o persone di una certa età. Un linguaggio che “buca” al di là dei contenuti.
E infatti, sui contenuti, io non mi trovo molto d’accordo. Ma devo riconoscere che il ragazzo ci sta. Per esempio, non mi piace la domanda di fondo del video: “pregare, a che cosa serve?”. E mi piacciono poco anche alcune risposte: “pregare ti cambia lo sguardo; si distendono i muscoli della faccia”…
Questa visione tutta psicologica e persino un po’ economicista della preghiera, che potrebbe riassumersi tutta in un “pregare conviene“, non mi appartiene.
Secondo me, pregare non “serve”; cioè non lo si fa in attesa di un tornaconto. Pregare è un atto spontaneo per chi crede, un po’ come per un bambino è spontaneo cercare l’affetto della mamma. Poi, certo, ci sono i Freud che riconducono l’affetto al bisogno di cibo, ma il bambino non lo sa ed è affettuoso lo stesso.
La preghiera non fa “star bene“. Non cambia da sola il corso delle cose (questo, lo ammette anche il nostro giovane don) e non ci porta necessariamente in una dimensione di piacere.
A volte ci scombussola, altre volte sembra non produrre alcun effetto, come succhiare un chiodo. A me, la preghiera, in certi momenti, fa stare talmente male che mi chiedo perché non cerco cose che mi diano maggior godimento.
Poi penso che allora non dovrei mai guardare un film drammatico o leggere di politica o che potrei evitare di lavorare. Il fatto è che non si vive solo in funzione del proprio piacere. Per esempio, come cittadini, non si può fare a meno di informarsi e discutere per essere parte della comunità civile. Così, come credenti, non possiamo fare a meno di cercare l’incontro con Dio. Piacevole o meno che sia.
Ma non importa: sono punti di vista un po’ diversi e sicuramente complementari.
Don Alberto mi ha incuriosito e ho voluto sbirciare nel suo profilo facebook – i profili sono fatti per questo – per vedere se ci fossero altri punti di contatto. In particolare, ho cercato qualche eventuale post in cui si parlasse di omosessualità. L’ho trovato. E’ dei tempi della legge Cirinnà. Più precisamente, è del giorno seguente il “family day” 2016. Dice così:
“Tantissime persone, molte opinioni, non poche polemiche. Ciascuno ha il diritto di dire la sua – e ci mancherebbe – col rischio, però, di non ascoltare più gli altri. Tra le numerose e diverse voci di questo giorno ce n’è una che non può proprio passare in sordina, quella di Gesù nel Vangelo di oggi. È un invito, chiaro e semplice: passiamo all’altra sponda.
Al di là di scendere in piazza per manifestare, ciò che conta è andare insieme con Gesù da quelli che stanno sull’altra sponda: gli omosessuali – secondo una certa vulgata – ma anche gli stranieri, i musulmani, i protestanti, insomma tutti coloro che sono diversi da noi, che stanno al di là del pezzettino di vita che abitiamo.
Passiamo all’altra sponda non per gridare che si sta meglio sulla nostra, ma per portare una buona notizia che è l’amore di Dio. Non la nostra idea di amore, ma la verità dell’amore, che ha il volto di Gesù. Passiamo all’altra sponda perché Gesù ci invita a farlo, non per solidarietà o per qualche bizzarra ideologia. Passiamo all’altra sponda perché Gesù già ci precede là e se vogliamo seguirlo non possiamo rimanercene sempre e solo dalla nostra parte.
Abbiamo forse paura di staccarci dalla nostra sponda per andare incontro a chi è diverso da noi? Il Signore sa sistemarci con due battute: Perché avete paura? Non avete ancora fede? Solo la fede ci spalanca il cuore. L’ apertura mentale, lasciamola pure ai benpensanti”.
Sembra un discorso di grande apertura, no? “Passare dall’altra sponda, non per gridare che si sta meglio dalla nostra“… “Non la nostra idea di amore ma la verità dell’amore“… Ma allora cosa vuol dire “secondo una certa vulgata“? E quel “non per solidarietà o per qualche bizzarra ideologia“?
Quale ideologia? E cos’è quella conclusione: “l’apertura mentale, lasciamola pure ai benpensanti”? Mi sembra un po’ la conferma di quanto sopra: grande rinnovamento linguistico, tanta voglia di accontentare un po’ tutti, poco contenuto realmente nuovo.
I commenti sono ancora più deludenti. I fans di don Alberto si attardano unicamente proprio sulla conclusione: “l’apertura mentale, lasciamola ai benpensanti”. I più moderati si limitano a dire cose come questa:
“nessuno di noi odia o non accetta gli omosessuali… personalmente ho amici gay da ben 20 anni… l’amore fraterno non deve mai mancare… certo Gesù andava verso i pagani… sull’altra sponda… ma per evangelizzare…”
Dove, per “evangelizzare”, intendasi “uomo con uomo, donna con donna”, slogan ripetuto, insieme a quello nauseabondo dei “tanti amici gay”, da molti commentatori. Tanto che il giovane si sente in dovere di puntualizzare:
“Non era mia intenzione esprimermi in merito alle questioni poste dal FamilyDay e dal ddl Cirinnà”.
Temo che tanta novità comunicativa non dia grandi frutti. Finché restano in vita le solite sovrastrutture e i soliti pregiudizi, vuol dire che non si è comunicato granché. E d’altra parte, finché si tira il sassolino ma si nasconde immediatamente la mano per non perdere audience, non si può attendere il meglio.
Questa cosa mi ricorda un po’ quando, negli anni settanta, si andava matti per le messe beat e le chitarre in chiesa ma poi ci si rifiutava di prendere parte ai movimenti che stavano trasformando il mondo. E si votava acriticamente – la dico tutta – qualunque candidato purché democristiano.
E’ bravo don Alberto. Sicuramente è più in gamba dei cerimonieri vaticani che hanno organizzato il triduo pasquale in San Pietro, a cui non pareva vero di poter cantare tutto in gregoriano (tanto non c’era un’assemblea che non lo capisse) o di escludere qualunque donna che non fosse consacrata. Il nostro giovane non si prende questi strafalcioni sul piano comunicativo. Sa che la comunicazione è sostanza.
Ma allora lo inviterei ad andare più in là: anche la sostanza è comunicazione. Se il problema è essere credibili – e lo è – forse è il caso di sostenere, con lo stesso coraggio, anche valori più credibili.
Per esempio che nessuno, a prescindere dal proprio orientamento sessuale, ha il monopolio dell’amore.