La questione dell’identità. Siamo chiesa di Dio o degli uomini?
Riflessioni del pastore valdese Jonathan Terino
In Occidente le Chiese storiche si confondono spesso con le strutture sociali, politiche, economiche della società: talvolta la società sembra una estensione della Chiesa – ciò spiega l’esigenza che molti cristiani (non solo cattolici) avvertono di esporre simboli cristiani nelle istituzioni civili come segno forte, di rivalsa, di presenza.
Rimane però difficile capire come la Chiesa possa oggi nei Paesi occidentali essere una casa alternativa, una unità familiare distinta dal mondo, aperta ma diversa, non per dominarne lo spirito o per estendere la sua influenza, ma per annunciare la grazia di Dio in Gesù Cristo.
“Ma voi siete una stirpe eletta, un sacerdozio regale, una gente santa, un popolo che Dio si è acquistato, perché proclamiate le virtù di colui che vi ha chiamati dalle tenebre alla sua luce meravigliosa; voi, che prima non eravate un popolo, ma ora siete il popolo di Dio; voi, che non avevate ottenuto misericordia, ma ora avete ottenuto misericordia.” I Pietro 2,9-10
Noi tentiamo di scoprire la nostra identità in quei tratti che ci distinguono dagli altri, che ci rendono unici. L’identità è legata al nostro senso di appartenenza: avere la consapevolezza di far parte di un corpo, di un organismo, di una comunità. Non possiamo riconoscere la nostra libertà di figlie e figli di Dio se non nel nostro appartenere a Lui e gli uni agli altri. Essere di casa, sentirsi a casa.
Il contesto di questo capitolo di I Pietro è l’unità domestica, della famiglia di Dio e non come spesso si ritiene, il sacerdozio universale. Il tema si collega al codice domestico (2,18-3,2). I credenti da poco nati o rinati e inseriti nell’unità della chiesa sono “eletti che vivono come forestieri dispersi nel Ponto, nella Galazia …”. Non-ebrei, pagani, barbari, non certo il popolo di Dio, sono ora inseriti come pietre viventi nella casa di Dio, dove Gesù è la pietra vivente e angolare. Queste pietre saranno rifiutate dai non credenti, ma verranno confermate da Dio. La Comunità è una sola comunità “Una razza scelta, un sacerdozio regale, una nazione santa, il popolo stesso di Dio”.
Alcune di queste espressioni risuonano nelle nostre orecchie come slogan pericolosi e molto vicini a noi, che rafforzano il senso dell’appartenenza per escludere molti altri. In nome della religione (anche cristiana) sono state perpetuate atrocità contro etnie e razze che non venivano riconosciute come parte della propria civiltà. Appellandosi alle proprie radici cristiane, molti europei rivendicano il diritto di affermare i propri simboli religiosi e i privilegi consolidati nei secoli, nella società civile.
Quale comunità ci descrive l’Apostolo Pietro nella sua lettera ai cristiani sparsi per l’Asia Minore (la Turchia di oggi)? Questo pastore di Cristo, che riceve un incarico primario tra gli apostoli, non prevede per sé o per la Chiesa dei privilegi politici, né un primato nella società o sopra di essa. Si rivolge a un popolo di sacerdoti (di cui fa parte) che ha ottenuto misericordia e che è ora chiamato a sua volta a proclamare (annunciare) gli atti misericordiosi (le virtù) di Dio – l’evento della salvezza in Gesù Cristo. A distanza di secoli, in una società cristianizzata e in via di cristianizzazione, abbiamo chiaro in noi e davanti a noi l’Evangelo? Non mi riferisco ad un codice di valori morali, a un modello da imitare.
Abbiamo fatto nostra –abbiamo creduto – alla buona notizia della grazia di Dio, che ci salva per mezzo di Gesù Cristo mediante la sola fede? Abbiamo presente la nostra vocazione di sacerdoti dentro la Chiesa e verso il mondo? (I protestanti non riconoscono un sacerdozio ministeriale distinto da quello battesimale). La Comunità si riconosce nella sua dimensione collettiva, ecumenica.
Come mai l’immagine di un sacerdozio regale, di una razza, che potrebbe sembrare esotica, persino esclusivista? L’apostolo Pietro ha un obiettivo:
1) L’unità dei credenti in un solo corpo. Che si tratti di unità domestica, razza, sacerdozio, nazione, queste immagini servono per creare e mantenere l’identità sociale, comunitaria della Chiesa. La mia identità di cristiano non può essere definita a prescindere dal Corpo. Non sono cattolico senza gli ortodossi, non sono evangelico senza i cattolici romani.
Dio crea un nuovo spazio per coloro che non ne avevano: lo spazio di una Chiesa una, ma diversificata; santa, ma non disincarnata; cattolica perché esprime tutta la diversità ecumenica; apostolica, perché fa riferimento costante agli scritti e alla tradizione degli apostoli. Il linguaggio domestico serve a creare dei confini, che forniscono lo spazio del luogo, della finalità e della comunità. La libertà cristiana si esprime nell’appartenere.
2) Il passo collega la Comunità cristiana a Gesù Cristo, ma non si limita solo alla dimensione sociale. La “casa spirituale” non è un club sociale che si occupa esclusivamente dei bisogni dei suoi soci, né una società di esperti o illuminati che perseguono un loro interesse, né dà origine a un partito cristiano o a una civiltà cristiana.
E’ una casa dove il capo è Dio, e la pietra angolare (quella che dà la direzione e compattezza ai muri) è Gesù Cristo. Dio costruisce la casa; Dio pone alla base la pietra d’angolo. La casa è conosciuta (o rigettata) in relazione alla pietra angolare. In virtù della misericordia di Dio e nulla d’altro.
3) I credenti occupano una nuova posizione, detengono un nuovo status: non più estranei, emarginati dalla loro condizione sociale. Come la prima Pietra Viva (Gesù) i credenti sono scelti e preziosi agli occhi di Dio. Un importante richiamo pastorale: il contesto storico di I Pietro.La Chiesa ha continuamente bisogno nel corso di ciascuna generazione di richiamare alla memoria un fatto fondamentale: Dio ha creato la Chiesa come unità familiare, la cui identità proviene da Gesù Cristo.
I credenti non devono trasformare un dono in un possesso. Non siamo stati inclusi grazie alla nostra bontà e non abbiamo alcun diritto ad escludere nessuno.
Conclusione
Da quale punto di vista, da quale prospettiva partiamo per riconoscere la Chiesa? In Occidente le Chiese storiche si confondono spesso con le strutture sociali, politiche, economiche della società: talvolta la società sembra una estensione della Chiesa – ciò spiega l’esigenza che molti cristiani (non solo cattolici) avvertono di esporre simboli cristiani nelle istituzioni civili come segno forte, di rivalsa, di presenza.
Rimane però difficile capire come la Chiesa possa oggi nei Paesi ricchi di occidente essere una casa alternativa, una unità familiare distinta dal mondo, aperta ma diversa. C’è poi il bisogno di acquisire nuovi membri e di non perdere i fedeli già inseriti nella Chiesa.
La preoccupazione di non diminuire di numero o di influenza nella società può creare un clima poco autentico, dove, per rendersi attraente agli occhi della società, la Chiesa promuove programmi e fa delle scelte che sono una semplice replica di quanto esiste già nella società.
La Chiesa deve avere chiari i suoi confini, la sua missione, la sua identità, il suo significato per la società, perché i non credenti e i credenti di altre fedi cercano nella Chiesa il messaggio specifico: desiderano ascoltare la buona notizia – l’Evangelo – della salvezza che Dio offre liberamente in Gesù suo Figlio. Solo l’Evangelo unisce i cristiani.
La Chiesa e la società non coincidono. Chiesa inclusiva (sacerdozio regale) e specifica (una nazione, una razza). Parole pertinenti in un tempo di nuovo zelo fondamentalista di ripresa degli slanci nazionalisti e razzisti, di orgoglio religioso e ostentazione dei simboli religiosi (non solo il crocifisso). In tempi di fondamentalismo aggressivo, la Chiesa è tentata di assumere questi atteggiamenti protettivi.
Pur avendo chiari i suoi confini, la Chiesa si apre alla società, non per dominarne lo spirito o per estendere la sua influenza, ma per annunciare la grazia di Dio in Gesù Cristo. Amen