La questione Lgbt e il Sinodo: un braccio di ferro dagli esiti incerti
Articolo di Giampaolo Petrucci pubblicato su Adista Notizie n° 35 del 17 ottobre 2015, pag.6
Ad animare il dibattito intorno al Sinodo ordinario dedicato alla famiglia (4-25 ottobre), e in particolare sulla questione dei fedeli cattolici omosessuali e transessuali, si sono susseguiti in questi giorni alcuni fatti che lasciano trapelare un certo dinamismo e una pressante domanda di rinnovamento che investe il laicato (non solo Lgbt) ma anche alcune figure di spicco della gerarchia.
E se è vero che il mondo cattolico è sempre più diviso e polarizzato, è anche vero che – vuoi per lo straripante interesse dei media che hanno mobilitato come mai l’opinione pubblica laica, vuoi per l’appello di papa Francesco a parlare francamente e senza censure – sembra ormai definitivamente caduto quel muro di silenzio che finora aveva relegato nei palazzi il dibattito sulla dottrina e sulla morale sessuale. E, oltre al mondo laico, diversi prelati hanno preso vigorosamente la parola, corroborando l’ipotesi di una profonda frattura all’interno delle mura vaticane il cui esito sarà tutto da vedere nel corso di questo Sinodo.
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Il caso Charamsa
Ad infuocare l’apertura dei lavori sinodali, l’eclatante coming out, durante una conferenza stampa tenuta il 3 ottobre, di mons. Krzysztof Olaf Charamsa, classe ’72, prete polacco, teologo e canonista, saggista, docente alla Gregoriana dei gesuiti e al Regina Apostolorum dei Legionari di Cristo, figura di spicco della Congregazione della Dottrina della Fede sotto il card. Joseph Ratzinger, il quale, appena eletto papa, lo nominò anche Cappellano di Sua Santità.
Un ecclesiastico pienamente inserito nell’apparato vaticano e nelle sue frange più conservatrici, verrebbe da pensare, se non fosse per quell’amore – e quel compagno, Eduardo, catalano, forse ispiratore di quelle posizioni indipendentiste espresse nelle scorse settimane (v. Adista Notizie n. 32/15) – tenuto a lungo nascosto. Tra le altre cose, in conferenza stampa, dopo aver condannato l’ex Sant’Uffizio – «il cuore dell’omofobia della Chiesa cattolica, un’omofobia esasperata e paranoica» – e dopo aver annunciato la prossima pubblicazione del suo libro autobiografico, Charamsa ha dedicato il suo «coming out ai tantissimi sacerdoti omosessuali che non hanno la forza di uscire dall’armadio» e ha invitato il Sinodo ad essere «davvero di tutte le famiglie».
Si può «discutere sull’opportunità, sui tempi e sulle modalità di questa esternazione», è il commento del 5 ottobre di Vittorio Bellavite (coordinatore nazionale di Noi Siamo Chiesa), ma il coming out di Charamsa ha il merito di «riproporre, con urgenza, questa tematica all’attenzione del Sinodo, in un’Assemblea in cui gli omosessuali (e tante altre situazioni familiari) sono assenti. Dietro ad esso non vedo nessun complotto o manovra ma solo l’urgenza da parte di Charamsa di un atto di rottura, non più rinviabile, per uscire da silenzi e da ipocrisie che mi sembra siano piuttosto diffusi negli ambienti ecclesiastici». È giunta l’ora che i vescovi «si guardino allo specchio, vedano le cose come stanno, rifiutino la vecchia logica, sempre pensata e sussurrata, del fare finta di niente (“purché non si sappia”) e riflettano su come affrontare il problema sui tempi lunghi, a partire dall’educazione nei seminari».
«So di essere decisamente drastico – dice Giorgio Bernardelli sul blog Vino Nuovo il 4 ottobre – ma a me pare di vedere nel coming out di mons. Charamsa la quintessenza del clericalismo. Un atteggiamento che non cambia per il solo fatto di andare in scena in versione Lgbt: la ricerca di un pulpito bello grosso e ai primi vespri della festa per fare chiarezza su una vicenda personale; il Vaticano (pubblico e privato) come solo metro di misura per giudicare l’atteggiamento cattolico medio nei confronti di questo tema; la convinzione che se “un prete importante” si espone, finalmente di questo tema nella Chiesa si parlerà».
Il prete polacco sembra però aver colto in contropiede proprio quel mondo Lgbt cattolico che si presumeva avrebbe salutato con favore l’eclatante gesto e che invece si è dimostrato piuttosto infastidito. «Il coming out di Charamsa, così duro verso la Chiesa, non ci rappresenta», commenta Andrea Rubera (presidente di Nuova Proposta, gruppo Lgbt romano, tra i promotori di “Ways of Love”). «Noi siamo parte della Chiesa, è nelle parrocchie che ci incontriamo, i miei figli sono battezzati, le nostre famiglie sono diverse sì, ma sono un dono d’amore. I tempi sono maturi perché dal papa arrivi una pastorale inclusiva del mondo omosessuale, ma non indichi come unica via quella della castità» (la Repubblica, 6/10).
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La sfida di mons. Casale
In un’intervista al quotidiano online Lettera43 dello scorso 6 ottobre, l’ultranovantenne mons. Giuseppe Casale (arcivescovo emerito di Foggia-Bovino) invoca un netto cambio di rotta nella mentalità di «un mondo cattolico chiuso, retrogrado, che commette tante porcherie quando ruba e quando imbroglia, e poi diventa “di naso fine” quando si entra nel campo della sessualità, che è la bellezza di Dio in noi». Il vescovo è estremamente diretto e sfida il Sinodo, puntando il dito contro le contraddizioni del Catechismo, contro la limitante visione della sessualità come genitalità, e contro la castità come unica via per affrontare l’omosessualità. Anche in questo Sinodo il pericolo resto elevato: l’omosessualità è percepita come «una tendenza che si riscontra in alcune persone» e che «non si può esercitare. Si è tornati alla posizione del Catechismo, secondo cui chi è omosessuale deve essere casto».
Ma il vescovo, nel corso dell’intervista, va oltre, invitando la Chiesa cattolica a non «mettere il naso tra le lenzuola delle persone» e ad interpretare l’omosessualità come «un rapporto affettivo, di stima, tendenzialmente duraturo nel tempo», al pari di una qualsiasi relazione eterosessuale. Sebbene sia irrealistico sperare in una legittimazione ufficiale dell’omosessualità, mons.
Casale auspica però «che al Sinodo prevalga una linea media, che almeno apra delle prospettive», che la Chiesa allarghi i propri orizzonti, che comprenda la positività anche delle relazioni gay. E ancora – convinto che la sua posizione sia oggi condivisa, anche se taciuta, da molti “colleghi” – il vescovo conclude col botto, auspicando che il Parlamento approvi presto una legislazione per le unioni omosessuali e che la Chiesa impari presto a benedire le coppie gay che hanno deciso di trascorrere la vita insieme.
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Conferenze a confronto
A Roma, a pochi giorni dall’apertura del Sinodo, si sono tenuti poi due grandi eventi internazionali: il primo – la conferenza “Ways of love” del 3 ottobre – promosso dalla neonata Global Network of Rainbow Catholics, una rete di associazioni Lgbt cattoliche di tutto il mondo (v. notizia successiva); il secondo, di segno nettamente opposto, dal titolo “Living the Truth in Love”, promosso il 2 ottobre presso la Pontificia Università San Tommaso D’Aquino dalla casa editrice “Ignatius Press” (fondata e diretta dal gesuita statunitense Joseph Fessio, fervente ratzingeriano; la stessa che lo scorso anno diede alle stampe il volume Remaining in the Truth of Christ: Marriage and Communion in the Catholic Church che metteva insieme le risposte, contrarie, di cinque cardinali e quattro esperti alla “proposta Kasper” di armonizzare fedeltà e misericordia nella pratica pastorale con i divorziati risposati; e che quest’anno ha dato vita ad un’analoga iniziativa pubblicando Eleven cardinals speak on marriage and family), dal Napa Institute del gesuita Robert Spitzer, e dall’associazione cattolica Courage International dell’ex capitano dei Marines p. Paul Check, “multinazionale” cattolica che si occupa di assistenza spirituale alle “persone con desideri omosessuali”, insegnando loro la dottrina della Chiesa e il valore della castità.
Ed è stata proprio la castità la grande protagonista del convegno che ha visto, tra i suoi relatori, fervidi sostenitori della dottrina in materia di morale sessuale, come il cardinale guineano Robert Sarah, quello australiano George Pell e mons. Livio Melina, teologo moralista, preside del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per gli studi su Matrimonio e Famiglia.
Al convegno si è parlato di “persone con tendenze omosessuali” e mai di “persone omosessuali”; di “stili di vita” che sposano la verità o la menzogna; dell’attrazione per persone dello stesso sesso come di una fase di sbandamento dal corretto sviluppo della personalità, evidentemente “curabile”.
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Da Sinodo a Sinodo
Quanto alla conferenza “Ways of love”, questa rappresenta il secondo appuntamento internazionale dopo quello che si è tenuto, un anno fa, sul tema “Cura pastorale e giustizia sociale per le persone omosessuali e transessuali”, promosso allora dal Forum Europeo dei Gruppi Cristiani Lgbt, con la partecipazione di oltre 200 persone provenienti da ogni latitudine (v. Adista Notizie n. 36/14).
Oggi, per contribuire positivamente alla seconda fase del Sinodo sulla famiglia, la casa editrice della Comunità di Base delle Piagge a Firenze ha ritenuto opportuno pubblicare gli interventi e le testimonianze di quella prima grande Assemblea nel volume Le strade dell’amore (Edizioni Piagge, 2015, pp. 143, 10€, acquistabile sul sito www.edizionipiagge.it).
Due saggi, otto relazioni e due documenti di indirizzo pastorale, tra cui spiccano le firme di p. James Alison (teologo inglese), Francis DeBernardo (direttore esecutivo dell’associazione statunitense New Ways Ministry), Gianni Geraci (del gruppo milanese Il Guado), Joseanne Peregin (presidente dell’associazione cattolica Christian Life Community di Malta e madre di un ragazzo omosessuale), Antonietta Potente (domenicana e teologa), mons. Geoffrey Robinson (vescovo emerito di Sidney, in Australia), Andrea Rubera (portavoce dell’evento e presidente del gruppo romano di credenti omosessuali Nuova Proposta) e Letizia Tomassone (presidente della Commissione su Fede e omosessualità delle Chiese battista, metodista e valdese).
Al centro della riflessione le strade percorribili dalla Chiesa cattolica per superare paure, pregiudizi e discriminazione, per «incamminarsi verso una nuova comprensione delle vite e degli amori delle persone Lgbt», per rendere le persone omosessuali e transessuali pienamente partecipi della vita ecclesiale e «protagoniste di una nuova evangelizzazione più inclusiva e capace di accogliere tutte le diversità».