La realtà di Dio, il bisogno dell’uomo
Riflessioni di Serge Soulié* pubblicate sul sito Protestants dans la Ville (Francia) il 28 ottobre 2014, liberamente tradotte da Giacomo Tessaro
Nel corso degli ultimi due secoli Dio è stato profondamente messo in discussione. Ovviamente il concetto stesso di Dio è sempre rimasto un enigma ma, a partire dalla conversione dell’imperatore Costantino, il potere della Chiesa sembrava potesse proteggerlo per sempre, sembrava non fosse possibile sloggiare Dio dal suo cielo. Questo periodo, che va dal quarto al diciottesimo secolo, è in forte contrasto con i periodi precedenti: molto prima dell’era cristiana, i filosofi greci si interrogavano sulla sua identità. Per quanto riguarda il cristianesimo nascente, sappiamo come sia stato scosso da ogni sorta di eresie. La natura di Gesù conduceva a ridefinire quella di Dio: poteva un uomo essere anche Dio? Poteva un Dio incarnarsi in un uomo? Alcuni vedono, in questi interrogativi polemici e spesso tumultuosi, la causa dell’avvento, nel settimo secolo, dell’Islam, il cui scopo primario è affermare un Dio unico che non può essere messo in discussione, un Dio al tempo stesso misericordioso e intransigente. L’Islam incatena definitivamente il contenuto del concetto stesso di Dio.
Le scoperte scientifiche, quale che sia il campo di esplorazione, hanno permesso di spiegare numerosi fenomeni in cui prima era ritenuto possibile solo l’intervento di Dio: la meteorologia spiega la formazione del temporale, il rumore del tuono e la presenza dei lampi; le malattie non sono dovute a cattivi spiriti, ma a microbi e virus. Dio non può più essere la causa di ciò che rimane inspiegato, non ha più il ruolo di tappabuchi appioppatogli da coloro che giustificavano la sua esistenza a partire dall’ignoto. Tutto ciò che è inspiegato apre un cantiere che non può essere levato fino a che le cause non saranno delucidate.
L’analisi storico-critica dei testi della Bibbia o di qualsiasi altro testo considerato sacro ci dice che questi testi sono stati scritti da uomini. Solamente degli integralisti fondamentalisti possono ancora credere che tali testi siano stati dettati da Dio, direttamente o attraverso un intermediario. Quanto all’ispirazione attribuita dai teologi agli autori dei testi della Bibbia, appare più ragionevole pensare che essi abbiano fatto uso della loro intelligenza, del loro intuito e delle loro capacità, senza l’intervento di un essere esterno. Anche quest’ultimo bastione sta crollando, perché nega all’uomo determinate possibilità per attribuirle, senza prova alcuna, a un Dio; abbassa l’uomo pensando di elevare Dio, che si trova ugualmente abbassato perché è il Totalmente altro e non può sopportare di essere paragonato all’uomo.
Appare dunque del tutto legittimo rinunciare a un Dio in quanto essere che concentra in sé tutti i poteri della terra e la causa di ogni cosa, una sorta di superuomo che interviene nella vita delle persone e del mondo, autore delle cose ottime così come delle peggiori, un essere che bisogna pregare per ottenere le sue grazie, un giudice che decide ciò che è bene e ciò che è male, che punisce o gratifica secondo i casi. Ai nostri giorni, perlomeno nel mondo occidentale, la grande maggioranza degli uomini aderisce, spesso senza confessarlo, a questa concezione teologica che rifiuta un essere esteriore che interviene in maniera arbitraria, o secondo i meriti di ciascuno, negli affari del mondo, così come negli affari personali. Tale atteggiamento ci pare non solamente ragionevole, ma anche gravido di avvenire, perché obbliga a ripensare Dio. Le religioni che andranno in questa direzione potranno rinnovarsi e correggere le credenze che, nel corso della storia, hanno condotto alla violenza e all’esclusione. Il processo non è terminato: si uccide ancora in nome di Dio, quale che sia il nome che gli si dà. Notiamo, di passaggio, che chi dice NO a Dio, apertamente o di nascosto, lo fa perché non ha avuto l’occasione (a causa della rabbia verso le religioni) di scoprire un Dio che possa essere afferrato in termini non antropologici. Contrariamente a quanto si dice abitualmente, non è vero che ci si può avvicinare alla comprensione di Dio solamente facendo riferimento ad attributi umani: i termini di luogo, di spazio, di atmosfera, di forza, di matrice, di amore o, in maniera ancora più congrua, di Spirito, ci sembrano molto migliori. I termini di “padre” o di “creatore” non devono essere esclusi, a condizione di spogliarli degli orpelli di cui li abbiamo rivestiti in passato perché potessero, ancora una volta, designare delle possibilità umane.
In ogni caso, non dobbiamo esitare – ecco il punto del mio discorso – a considerare la seconda parte della mia riflessione su Dio, visto a partire dalle conoscenze attuali. Questa seconda parte riguarda il bisogno che risiede in ogni essere umano e che si manifesta attraverso domande quali: perché veniamo al mondo? Esistiamo prima della nostra nascita? Perché il male? Cosa c’è dopo la morte? Il bisogno ha come origine l’angoscia, che è di due tipi. C’è l’angoscia cosiddetta patologica, che non riguarda che una minima parte della popolazione e si manifesta attraverso una serie di sintomi come le ossessioni, le paralisi e altri disordini fisici. Si tratta, ogni volta, di conflitti intrapsichici. Psicologi e terapeuti sono incaricati di trattare tali sintomi. L’angoscia cosiddetta esistenziale, invece, traduce un malessere e pone la questione del senso della vita. Essa è inerente alla natura umana. Quando diviene importante, è possibile consultare uno psicanalista, o avvicinarsi a una religione, o a un’altra forma di pensiero che proponga un cambiamento di vita. Abitualmente si dice che questa angoscia si manifesta in maniera prominente alla fine della vita: questo spiegherebbe come mai le persone anziane frequentino in maniera più massiccia i culti delle varie religioni. Recentemente un conferenziere turco ci spiegava che in Turchia le nuove moschee costruite dal governo al potere a fini politici sono frequentate dalle persone anziane, mentre i giovani rimangono attaccati alla laicità. Secondo lui, in questo si manifesta la paura di morire e in nessun caso un’adesione politica.
Notiamo che il confine tra questi due tipi di angoscia non è sempre così netto: infatti, l’angoscia patologica non può che svilupparsi sul terreno dell’angoscia esistenziale, dato che quest’ultima tocca l’intera umanità. Nel trovare il punto di equilibrio sta tutta l’arte del terapeuta e di ogni persona che si pone all’ascolto di coloro che desiderano ritrovare la libertà da ciò che li imprigiona. Nella dipendenza dall’alcool, per esempio, troppi pazienti vengono pesantemente curati per “patologie associate” con antidepressivi, ansiolitici e altri barbiturici, quando è il malessere, accentuato dai tormenti della vita, che li ha portati all’alcolismo. Più in generale, in una società in cui il malessere cresce sempre di più, abbiamo un abuso dell’utilizzo della psichiatria e della psicologia messe al servizio dell’angoscia esistenziale: ma quest’ultima non richiede farmaci, bensì pone la questione della finitezza umana. Cosa succede dopo la morte? Dove andiamo? Perché siamo venuti al mondo? Compare il bisogno di una divinità suscettibile di rispondere a queste domande. Ecco allora che risorgono le domande su Dio, che erano state eliminate, sia rinchiudendosi in riti e credenze, sia allontanandosi da ogni religione. Esse si manifestano con un ritorno quasi integralista alla religione o, al contrario, con un irrigidimento, un grande rancore nei confronti di Dio: in tutti i casi si assiste a un meccanismo di difesa, che mira a contenere l’angoscia. Sarebbe pericoloso spezzare questo meccanismo rifiutando tutte le rappresentazioni di Dio conosciute fino a qui con il pretesto di fornire una “immagine” più esatta del divino. Svuotando Dio del contenuto attraverso il quale è stato espresso, vale a dire i riti, i dogmi e le diverse credenze, si corre il rischio di svuotare l’uomo di tutto ciò che lo puntella e gli permette di attraversare la vita terrestre.
Si tratterà allora di cercare un equilibrio tra una rappresentazione di Dio più giusta e corrispondente al mondo moderno e il perenne bisogno umano di sicurezza, tenerezza e pace: noi diremo, più in generale, di amore. Vi sono delle rappresentazioni di Dio che alienano l’uomo e lo rendono prigioniero di determinati atteggiamenti e credenze. La Riforma a suo tempo l’aveva capito e diede, per esempio, un gran colpo di scopa alle rappresentazioni dell’oltretomba; meglio ancora, proclamando il sola gratia, ha liberato l’uomo da ogni servilismo nei confronti di Dio. Non ci si guadagna più il cielo a forza di preghiere, di pellegrinaggi e di confessioni; il cielo ci è dato in anticipo. La Riforma non può che continuare: non è ancora compiuta. Allora non ne aveva i mezzi; ogni cosa a suo tempo.
Oggi sarebbe da imbecilli pensare che l’essere umano non abbia bisogno di sicurezza e di tenerezza e sarebbe un errore credere che Dio faccia pressione su di noi perché ci prendiamo le nostre responsabilità. È Gesù che ci interpella, che ci scuote e vuole renderci responsabili, ingiungendoci di impegnarci per gli altri nel nome dell’amore che riceviamo da Dio e del quale ci impregniamo in ogni momento, anche quando ci manca la terra sotto i piedi. “Dio è amore” significa che Dio non è un combattente, un capo, un dirigente, un interventista. Questo ruolo appartiene a Gesù; essendo egli uomo, questo ruolo è alla nostra portata. Spetta a noi uomini dirigere questo mondo, soccorrere il prossimo. Lo faremo tanto meglio quanto saremo sicuri dell’amore di Dio in qualsiasi circostanza. L’amore placa. L’amore libera. L’amore ci permette di impadronirci di tutta la forza e di tutta l’intelligenza che ci vengono naturalmente date e poi mantenute attraverso la cultura. L’amore di Dio non ci viene dato per intenzione e volontà di un Dio sovrano, che può ritirarlo a capriccio; ci viene dato per la natura stessa di Dio, che non può tornare indietro. Gesù, che ha sofferto il martirio, ne è la prova. Questo è tutto il significato della resurrezione; proclamandola, i discepoli hanno voluto dirci che Dio è sempre amore. L’amore di Dio non si è manifestato in un Gesù morto al nostro posto per volontà di un padre che ha sacrificato suo figlio; un padre infanticida, con l’uomo come intermediario. Quale debito potremmo avere se Gesù fosse morto al nostro posto, o se noi l’avessimo ucciso? Quale senso di colpa! Potremmo ancora dormire tranquilli? L’amore si è manifestato nell’armonia tra la vita di Gesù e il suo messaggio. Egli ha rifiutato la violenza e ci dimostra che l’amore da lui vissuto fino in fondo è disponibile per ciascuno di noi. L’Amore è Dio. Egli non ha abbandonato Gesù. Il Dio che l’ha abbandonato non è quello dell’Amore, è quello che Gesù si è rappresentato in un momento difficile e doloroso della sua passione. Gesù grida “Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?”. Questo grido è il grido che avremmo lanciato noi. Questo è il Dio che noi ci rappresentiamo spontaneamente.
Non dobbiamo solamente cercare di purificare Dio a tutti i costi, dobbiamo anche cercare di rassicurare l’uomo, facendogli presente che l’amore di Dio è senza condizioni. Cogliendo l’amore di Dio, l’uomo comincerà spontaneamente a rigettare le false rappresentazioni di Dio, quelle secondo cui la natura di Dio non è amore. Ma dobbiamo anche smettere di utilizzare, per presentare Dio, termini appropriati per gli uomini. Le parole formano i nostri pensieri e le nostre credenze, forgiano la divinità di cui vogliamo parlare; ora, questa divinità non può essere fatta né da mano d’uomo né da parole che riguardano l’uomo. Se è auspicabile disfarsi di una tale divinità, non è certo che l’uomo possa disfarsi di Dio. Quale Dio?
* Serge Soulié è pastore della Chiesa Protestante Unita di Francia e psicologo clinico.
Testo originale: Réalité de Dieu, besoin de l’ homme