Il cammino delle persone omosessuali nella chiesa valdese
Intervista a Rosa Salamone, vice presidente della REFO (Rete Evangelica Fede e Omosessualità)
Cosa ricordo del 28 agosto 2010, giorno dell’approvazione da parte del Sinodo valdese delle Benedizioni delle coppie dello stesso sesso? L’emozione! Quando sono uscita fuori nel cortile, dopo il conteggio dei voti e l’approvazione delle Benedizioni, non ce l’ho fatta, mi sono messa a piangere. E mentre piangevo, è capitato che venissero ad abbracciarmi persone che non avevo mai visto prima di allora.
Silenziosi e partecipi del pubblico, estranei, qualche coppia lesbica, genitori anziani, fratelli e amici di gay. Non posso paragonare questo pianto senza difese, tra le braccia di perfetti sconosciuti che mi ringraziavano, a niente. Uno deve passarci per capirlo. Ho gioito con persone che non avevo mai visto prima, mi è sembrato stupefacente.
Che cosa vuol dire per la comunità omosessuale, in particolare per quella valdese, la presa di posizione da parte del Sinodo?
Un cammino di liberazione e insieme un percorso di grande responsabilità. La decisione da parte del Sinodo riconosce infatti l’esigenza di visibilità da parte delle lesbiche, gay, bisex e trans (LGBT). A questo appello dobbiamo rispondere con la trasparenza: dove presenti, è necessario intraprendere nelle nostre chiese un cammino di identità, farci conoscere e riconoscere senza paura per ciò che siamo offrendo agli altri e a noi stessi la possibilità di un confronto sereno. Solo allora, quando il cammino è stato compiuto insieme con gli altri fedeli, non contro di loro o nonostante loro, sarebbe giusto iniziare il tempo della condivisione e della benedizione di una coppia.
Ci vorrà del tempo….
Penso sia necessario, non si può pretendere di cambiare il cuore e le menti delle persone da un giorno all’altro. La politica della pazienza e dei piccoli passi è stata una scelta precisa da parte della REFO (Rete Evangelica Fede e Omosessualità), del GLOM e poi del Varco. Da trent’anni, in particolare, la Refo ha avviato un percorso di riflessione sul tema dell’omosessualità all’interno delle nostre comunità, che parte dal lontano 1982, quando ci fu il caso di Fabrizio Oppo, fratello battista che dichiarò la propria omosessualità e il suo desiderio di essere battezzato nella comunità di Cagliari. E’ bene ricordarlo, quando ci sentiamo dire da parte di alcuni fedeli che il tema dell’omosessualità non è stato discusso a sufficienza nelle nostre comunità, perché in realtà se ne discute da trent’anni.
Ci sono delle opposizioni alla decisione del Sinodo all’interno della comunità valdometodiste?
Senz’altro. E aggiungerei che è bene che ci siano. Credo siano concentrate innanzitutto sulla difesa di un certo tipo di interpretazione della Bibbia e sull’idea che la chiesa valdese sembra aver preso una decisione di tipo congregazionalista.
Che cosa si può rispondere a queste critiche?
Sull’interpretazione della Bibbia, a proposito dell’omosessualità, non posso che rispondere che è la stessa Bibbia ad essere nemica di ogni fondamentalismo. Su uno stesso argomento sono diverse le opinioni. E’ difficile affermare che ci sia pari dignità tra uomo e donna nell’Antico e nel Nuovo Testamento per esempio. Con l’unica eccezione di Gesù, che è stato il solo e vero difensore delle donne, c’è poco di cui stare allegri nella Bibbia per noi.
Non c’è nulla che suoni a difesa del genere femminile, relegato a ruoli di emarginazione e di inferiorità: parenti offerte allo stupro in cambio di stranieri, figlie vendute come schiave, serve costrette a congiungersi con mariti infelici al posto delle loro legittime mogli, concubine fatte a pezzi. Coloro che difendono, un’interpretazione più vicina, e letterale diciamo così alla Bibbia, non vanno semplicemente indietro rispetto l’Assemblea Sinodo del 2007, anno in cui la chiesa valdese confessò il peccato dell’omofobia, ma rispetto anche al pastoralato femminile e a molti altri temi come il divorzio e gli stranieri. Infine, anche chi interpreta in modo più letterale la Bibbia non può che riconoscere che questa chiave di lettura esegetica non può essere applicata sempre e in qualunque caso. Altrimenti dovremmo ancora condannare a morte chi bestemmia.
Quindi, che cosa ci spinge a dire: ora sì possiamo prendere alla lettera ciò che è scritto e ora no? Credo che la chiave di volta non sia dunque chi interpreta meglio la Bibbia, ma chi ascolta di più le sofferenze del suo prossimo. Non puoi ignorare che la critica che spesso viene indirizzata a noi credenti omosessuali è quella di far dire alla Bibbia ciò che ci piace, finendo così con il giustificare ogni scelta etica fino all’anarchia. Le stesse critiche che vengono rivolte a noi lesbiche, gay, bisex e trans a proposito dell’interpretazione della Bibbia furono rivolte a suo tempo alle donne e agli oppositori del regime separazionista, giusto per fare un altro esempio.
E’ davvero impressionante quanto la natura umana si ripeta. Basti pensare al Prohibition of Mixed Marriages che in Sudafrica fino a poco tempo fa proibiva il matrimonio interazziale definendo tale atto indicibile e immorale, nonché espressamente proibito dalla Bibbia. Anche allora la paura della dissoluzione della società era una delle critiche più frequenti. Tuttavia, noi non siamo arrivati ad una società dove tutto è permesso, semmai ad una società che diventa sempre più inclusiva e multiculturale, che è una cosa un po’diversa…
E sulla scelta congregazionalista…
Nel febbraio del 2010, il Sinodo delle comunità valdesi Rioplatensi, precedendoci di qualche mese, ha preso una decisione simile sulla benedizione delle coppie omosessuali a quella del Sinodo italiano. La struttura delle chiese sorelle rioplatensi non differisce dalla nostra. Non si tratta infatti di una decisione congregazionalista, della serie “ogni singola comunità decida come più ritiene opportuno”, non è l’oggetto, il contenuto della decisione sinodale intendo dire ciò su cui si discute. Il Sinodo ha dato un’indicazione precisa in questo senso. E’ la tempistica quel che il Sinodo invita a valutare. I tempi di maturità del cuore di ciascuno a partire da ogni singola comunità.
Dunque per i valdesi la Bibbia non è un libro come gli altri…
Diffido, personalmente, dei grandi proclami su cosa è o non è la Bibbia. Quando le persone cominciano a discutere su questi temi, la mia prima reazione è quella di chiedere: sì, ma in concreto tu cosa fai per accogliere tuo fratello straniero? Quando è stata l’ultima volta che hai visitato un carcerato? Come si chiamava l’ultima persona disperata che hai consolato? Su queste cose mi piacerebbe discutere e poi vedere se c’è tanta differenza in questo tipo di pratica evangelica tra un fratello eterosessuale e uno omosessuale
E’ strano, ma di solito tra perseguitati e persecutori noi omosessuali finiamo con l’essere accusati di perseguitare quelli che non la pensano come noi…
E’ strano, sì, perché si ignora quanti pestaggi, insulti, omicidi e soprusi si commettono ancora contro lesbiche, gay, bisex e trans in Italia. Non si può far finta di nulla o nascondere la testa sotto la sabbia. Davanti a questo genere di cose non si può dire semplicisticamente cosa è o non è la Bibbia. Noi siamo chiamati a interrogarci come cristiani, che credono in Gesù, un Dio-uomo che non ha mai esitato a schierarsi dalla parte dei perseguitati.
Credere che noi lesbiche, gay, bisex e trans viviamo bene in Italia e che in fin dei conti nessuno ci perseguita, se stiamo zitti, nascosti e non chiediamo diritti per noi, è come dire che la clandestinità è un modo di vivere civile. E’ affermare che che per stare bene basta non essere perseguitati.
Se passa una legge sull’omofobia molte chiese non si sentiranno più libere di esprimere la loro opinione a riguardo
Non dobbiamo fare certe confusioni. Una legge sull’omofobia non è una legge contro la libertà di opinione, diritto assolutamente sancito dalla nostra Costituzione. Qui non si tratta di dire che tutte le lesbiche, i gay, i bisex e i trans sono buoni e belli.
Si tratta di non incitare all’odio, alla persecuzione e alla violenza per motivi di orientamento sessuale. Che è una cosa un po’ diversa. Se il nodo del contendere è questo, a questo punto non si tratta più di chiederci se crediamo o non crediamo più nello stesso vangelo, ma se condividiamo o no la stessa Costituzione.
Perché dunque le Benedizioni? Era proprio necessario chiederle?
Lasciami dire che chiedere non è il termine più esatto. Chiedere fa pensare ad uno che chiede e all’altro che concede in un rapporto gerarchico e non fraterno. Se impostiamo le cose in questo modo, una relazione tra chi concede e chi riceve, chi autorizza si sente legittimato ad opinare sull’oggetto della richiesta. Si trova, cioè, automaticamente in una posizione di superiorità, anche nelle migliori intenzioni. Così si può finire con il pensare che la richiesta di benedizione sia un capriccio, per esempio. Una richiesta derogabile, concedibile solo dopo che altre priorità verranno ricomposte… E inutile dire che di solito le priorità vengono stabilite da chi concede, appunto
E dunque?
Dunque non si chiede ad una persona di andare ad una festa, dove due persone innamorate riconoscono la presenza di Dio nella loro vita. La si invita. Non ci sono più rapporti gerarchici, c’è un fratello che chiede ad un altro fratello di condividere con lui questa gioia. E’ Dio che benedice, concedendo un dono immenso nella vita di due persone, non la persona invitata. I valdesi, al Sinodo del 2010 hanno dimostrato di volere accettare questo invito. E hanno riconosciuto, anche, la legittimità di chi non si sente di accettare questo invito. Mi pare una decisione saggia.