Uno studio dimostra che la salute dei giovani omosessuali è influenzata dalla loro famiglia
La salute dei giovani omosessuali è direttamente influenzata dall’atteggiamento della loro famiglia. Secondo uno studio pubblicato sulla rivista americana Pediatrics. I giovani gay e le lesbiche, i cui parenti hanno reazioni negative quando essi rivelano il loro orientamento sessuale, sarebbero maggiormente soggetti al suicidio, a cadere in gravi forme di depressione o a drogarsi.
“I genitori amano i propri figli e vogliono per essi ciò che di meglio c’è. Adesso che abbiamo valutato tutti questi comportamenti, possiamo osservare che alcuni tra essi predispongono i giovani a rischi estremamente elevati, mentre invece altri favoriscono il loro star bene” spiega Caitlin Ryan, direttrice di ricerca incaricata del progetto dall’Università di San Francisco.
Secondo Caitlin Ryan, queste ricerche suggeriscono che i genitori che reagiscono con calma piuttosto che respingendo il loro figlio omosessuale possono migliorare considerevolmente le sue prospettive sul piano della salute mentale.
Per realizzare questo studio, l’equipe di ricercatori ha dapprima intervistato 53 famiglie di adolescenti omosessuali per identificare 106 comportamenti specifici che potevano essere considerati come di “accettazione” oppure di “rifiuto”.
Dire a un giovane che se a scuola viene tiranneggiato è per colpa sua, tenerlo in disparte dal resto della famiglia o denigrare il suo aspetto perchè non corrisponde ai codici sociali sono ad esempio atteggiamenti classificati nella categoria “rifiuto”. I ricercatori hanno poi interrogato 224 omosessuali bianchi e latino-americani di età compresa tra i 21 e i 25 anni riguardo al comportamento dei loro familiari.
Anche se questi risultati possono sembrare intuitivi, Caitlin Ryan afferma che lo studio è il primo a stabilire un legame tra i problemi di salute che affliggono i giovani omosessuali e il loro ambiente familiare, ed ha utilizzato queste informazioni nel corso di lavori di gruppo con genitori o tutori che avevano relazioni tese con i loro adolescenti omosessuali e, secondo lei, in questo molti hanno preso coscienza in modo sufficiente per cambiare immediatamente alcuni aspetti del loro rapporto con questi giovani.
Nel suo articolo (Family Rejection as a Predictor of Negative Health Outcomes in White and Latino Lesbian, Gay, and Bisexual Young Adults, Caitlin Ryan, David Huebner, Rafael M. Diaz e Jorge Sanchez, PEDIATRICS Vol. 123 No. 1 gennaio 2009, pp. 346-352) per la rivista Pediatrics di gennaio 2009, la ricercatrice raccomanda ai professionisti della sanità di interrogare i loro giovani pazienti sul modo in cui la loro famiglia ha reagito al loro “coming out”.
In concordanza con altri studi, i giovani interrogati nel quadro di questa ricerca avevano in media meno di 11 anni quando hanno provato per la prima volta un’attrazione sessuale per il loro stesso sesso e avevano appena compiuto 14 anni quando hanno compreso di essere omosessuali e l’hanno fatto sapere alla famiglia prima dei 16 anni.
Sten Vermund, pediatra all’Università Vanderbilt, in Tennessee, ha scoperto il lavoro di Caitlin Ryan questa estate in occasione di una conferenza internazionale a Città del Messico e condivide il suo punto di vista.
E fa notare che “tantissime famiglie che hanno un figlio omosessuale, bisessuale o transessuale, e in particolare le famiglie di ragazzi omosessuali, pensano che essendo duri con questo ragazzo e dicendogli in che misura il suo stile di vita (…) è insoddisfacente per la famiglia egli cambierà”.
“Le persone possono non sempre possono essere a loro agio con l’orientamento sessuale del loro figlio, ma se cercano di accettarlo facendo del loro meglio per comprenderlo, questo farà un gran bene al giovane. Per me questo è un messaggio importante”, conclude il dr Vermund.
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