La “Santità” di Sciarra. Quando il trascendente entra nelle vite delle persone queer
Dialogo di Katya Parente con il regista Giuseppe Sciarra
Una coppia si reca in una bellissima chiesa a pregare. Che c’è di strano? Gli edifici religiosi sono spesso dei capolavori architettonici; un po’ meno frequente è il pregare insieme. Ma tant’è. Quello che mi preme sottolineare, in questo corto intitolato “Santità” (clicca qui per scaricarlo), è l’approccio al misticismo, e lo scioglimento finale quanto meno insolito. Ma andiamo con ordine. Il regista di questo piccolo gioiello è il giovane regista pugliese Giuseppe Sciarra, che con questo suo lavoro si occupa di un tema fin troppo trascurato anche dalla comunità queer: il cross-dressing e il transgenderismo, e il loro rapporto con la fede.
Perché realizzare “Santità”?
“Santità” è nato dalla mia esigenza di avvicinarmi a una dimensione “altra” in punta di piedi, con estrema umiltà e curiosità. Il cinema, e l’arte in generale, danno la possibilità di connettersi al trascendente, di poter accedere alla sfera spirituale attraverso la creatività, che è caos. Il caos è il nostro inconscio, il nostro mondo interiore, quello segreto, quello che fa comunicare vita e morte attraverso i sogni.
Ho sempre pensato che la sfera onirica fosse un tramite tra il mondo dei vivi e quello dei morti. “Santità” nasce dalla mia curiosità verso questa tensione tra due aspetti dell’esistenza umana apparentemente opposti. Realizzarlo significa palesare il mio desiderio di far coincidere pienamente vita e morte, conscio e inconscio. Come essere umano faccio parte di un inconscio collettivo, a quello attingo quando faccio lavori sperimentali come questo. Mi rivolgo ad esso e mi lascio prendere per mano e, se sono coraggioso, mi faccio trascinare in territori inesplorati, e ovviamente, se arrivo a destinazione non posso che esserne felice e sentirmi un privilegiato.
La tecnica di realizzazione del tuo corto – bianco e nero, frame by frame, e una musica (quasi)classica – è, quanto meno, insolita. Perché l’hai scelta?
L’arte per me è sperimentazione. Avevo voglia di mettermi in discussione come artista e indagare quel mistero che ci appartiene e che chiamiamo anima – ed io quest’anima la volevo (e la voglio) comprendere e assecondare, per quanto mi è possibile farlo.
Una mia amica fotografa bravissima, che si chiama Antonella De Angelis, ha collaborato con me per delle foto di backstage in un corto precedente a “Santità”, ed è stato talmente bello lavorare con lei che ho deciso di fare un nuovo cortometraggio (“Santità”, per l’appunto), fatto interamente di sue foto. Così le ho proposto questa operazione, col monito che avremmo lavorato come un regista lavora con un direttore della fotografia. Da cosa nasce cosa, mi sono lasciato guidare dal mio istinto e dai miei sogni, e man mano il lavoro ha preso corpo spontaneamente.
L’estasi della coppia protagonista è resa come un “trip” che ci fa entrare in noi stessi e ci sovrasta portandoci in un “altrove mistico”. È difficile rendere visivamente una sensazione così profonda e totalizzante. Mi sembra che tu ci sia riuscito egregiamente…
“Santità” è stato concepito grazie a tre figure femminili: la fotografa Antonella De Angelis, l’attrice Marta Angelini e la montatrice Martina Garofoli. Con questo tre amiche nell’ambito del montaggio, della messa in scena e della fotografia c’è stata una fusione come quella dei due protagonisti del corto: siamo diventati un tutt’uno, e abbiamo dato vita a qualcosa che mi soddisfa pienamente perché, tra noi, c’è stata una sinergia spontanea e senza sovrastrutture, autocompiacimenti o fantasie deliranti, che talvolta possono accompagnare questo tipo di operazioni con risultati discutibili, mendaci e trash.
Nel nostro caso c’erano solo amore, passione, rispetto. La bellezza di ciò che ha fotografato Antonella, la straordinaria mimica facciale di Marta e l’estro di Martina mi hanno permesso di poter dare vita a quello che avete visto.
Una coppia, unità – bellissime le inquadrature delle mani che si stringono – e singolarità. Credi che la fede sia qualcosa di privato, o che debba essere condivisa?
Io credo che la fede, qualsiasi tipo di fede, debba essere vissuta come la si vuole, purché ci sia il rispetto degli altri e delle loro fedi o idee. Questo a volte viene a mancare. Alcune persone credenti pensano di avere la vita in tasca, e sono così lontane invece da loro stesse. Poverine.
Alla fine del corto, lui subisce una sorta di metamorfosi, e la sua compagna lo aiuta, condividendo il suo essere più profondo. La fede è liberante?
Nel caso di “Santità” parliamo non solo di fede cristiana come modo per essere e esserci, ma di fede in se stessi, nel proprio sé più profondo. La fede ci libera solo se siamo fedeli a questo sé profondo, al di là del nostro credo religioso o non credo religioso, poi per carità, il mezzo religioso, artistico o politico, se portato avanti con onestà e anche mettendolo in discussione – rifiutandone certi aspetti che non appartengono alla nostra verità personale – può anche agevolare il nostro riconoscimento interiore.
Il soggetto della tua opera è decisamente insolito. Perché hai deciso di affrontare un tema così delicato?
Io non sono credente, ma credo e sento che la religione debba non mettere barriere ai suoi fedeli, ma piuttosto agevolarli nel riconoscimento della loro natura, qualsiasi essa sia, perché ciascuno di noi è un essere umano straordinario e unico, questa unicità è la nostra santità.
Credi che “Santità” farà storcere il naso a qualche benpensante?
Credo proprio di sì. Il riconoscersi crossdresser mediante la fede è una scelta che potrebbe far storcere il naso ad alcune persone della comunità LGBT, soprattutto quelle che vedono Chiesa e fede come un’unica cosa: questi potrebbero obiettare che sono stanchi di vedere nella religione un mezzo per conoscere la natura più profonda delle persone, soprattutto quella delle persone LGBT, che la Chiesa ha perseguitato per secoli.
Per non parlare di tutti quei cattolici che si scagliano contro il gender. Per loro questo lavoro è pura blasfemia, senza se e senza ma, benché non ci sia al suo interno alcun tipo di provocazione sensazionalistica o volgarità gratuita.
Non sei nuovo a lavori a tematica LGBT. Perché questo tuo interesse?
Io sono gay, e parlo di quello che conosco. Mi piace fare lavori LGBT, ma mi piace anche uscire dai territori queer. In poche parole, come artista devo poter fare ciò che mi pare, parlare di chi mi pare, che sia etero, gay, bianco o nero, purché ne senta l’esigenza e la curiosità. Quindi, per ora nei miei ultimi lavori sono LGBT, poi in futuro, chi vivrà vedrà.
Che programmi hai per il futuro?
Mi piacerebbe portare il mio corto sul bullismo “Ikos” ovunque mi sarà possibile. Probabilmente il prossimo anno lo presenterò in ogni dove, punto però in primis alle scuole. Presto uscirà una docu-serie di sei puntate che ho diretto con altri due registi, Andrea Natale e Ennio Trinelli. Sto realizzando con Andrea Natale – con molta lentezza – un documentario su un ex calciatore del Napoli. Inoltre sto scrivendo un romanzo per gaiaitalia edizioni. Ma chissà, forse bolliranno tante altre cose in pentola. Non mi fermo un attimo.
Pentola da cui uscirà senza dubbio qualcosa di gustoso. Nell’attesa godiamoci “Santità”: un piacere per gli occhi, le orecchie, il cuore la mente e l’anima.