La scarpa cinese. Perchè l’omosessualità sfugge al giudizio morale
Brano tratto dal libro di Carolina del Río Mena*, ¿Quién soy yo para juzgar? Testimonios de homosexuales católicos, Editorial Uqbar, Santiago (Cile), anno 2015, pp.283-291, liberamente tradotto da Dino
L’inadeguatezza delle risposte teologiche, molte volte basate su cattive interpretazioni e comprensioni della Scrittura, si traduce oggi in suggerimenti dottrinali e nelle tante difficoltà attuali di dialogare con le scienze umane e integrare i loro apporti. Queste difficoltà si fanno particolarmente gravi in relazione alla sessualità, e soprattutto all’orientamento omosessuale.
Pedro Labrin afferma con convinzione che l’omosessualità “è una condizione pre-morale in quanto non compromette in assoluto la libertà. L’orientamento non è frutto di una decisione e, da questa prospettiva, esso è pre-morale, cioè naturale”.
Concorda con Labrin l’attuale Arcivescovo di Concepcion monsignor Fernando Chomali, che afferma che “la tendenza omosessuale è un disordine che sfugge a qualsiasi giudizio morale perché manca dell’elemento cardinale che la renderebbe imputabile: la libertà. Dato che nella tendenza omosessuale non c’è libertà, perciò non c’è nemmeno colpa” (cit. tratta da Chomalì, Fernando, Mons et altri, Algunas consideraciones para el debate actual acerca de la homosexualidad. Antecedente cientificos, antropologico, etico y juridicos en torno a las personas y las relaciones homosexuales, Centro de Bioetica – Facultas de Medicina, Pontificia Universidad Catòlica, 2008, p.32).
Gli autori dello studio citato, sebbene considerino l’omosessualità come un disordine rispetto a ciò che è naturale – cioè le relazioni eterosessuali – chiariscono che nella libertà è insito un aspetto fondamentale della questione: la libertà è valutata allo stesso modo in persone etero e omosessuali come ciò che conferisce all’uomo la sua peculiare dignità. La libertà, e la possibilità e il diritto di esercitarla, non risiedono nell’orientamento sessuale, ma nella persona stessa.
Tuttavia si suole dire che le persone omosessuali sono libere di scegliere il loro orientamento sessuale e perciò sono anche libere di scegliere se realizzare o no un atto omosessuale. Nel corso di queste pagine ho tuttavia cercato di dimostrare che le persone omosessuali non sono assolutamente libere di scegliere o no la loro omosessualità. L’orientamento sessuale non lo si sceglie, ma le persone omosessuali lo sperimentano come un dato di fatto, cioè come naturale. Ciò che fanno è prenderne coscienza, presto o tardi, e scelgono cosa fare di questa scoperta: viverla pienamente o rinunciare all’esercizio della sessualità. Pertanto, se è naturale, ci si deve chiedere perché viene sanzionato un atto che nasce da una tendenza della quale non c’è una responsabilità personale? E perché questa condizione sessuale naturale non dovrebbe potersi esprimere in relazioni affettive omosessuali?
Il Magistero della Chiesa stabilisce chiaramente la sua opinione riguardo all’omosessualità tenendola distinta dagli atti omosessuali. Il Catechismo della Chiesa cattolica afferma che “La Scrittura li presenta sempre [gli atti omosessuali] come gravi depravazioni [pertanto] la Tradizione ha sempre dichiarato che ‘gli atti omosessuali sono intrinsecamente disordinati (…). Sono contrari alla legge naturale. Precludono all’atto sessuale il dono della vita. Non sono il risultato di una vera complementarietà affettiva e sessuale. In nessun caso possono essere approvati“. (N° 2357).
Nel N° 2358 si evidenzia che “Un considerevole numero di uomini e di donne presentano tendenze istintive. Non scelgono la loro condizione omosessuale; questa per la maggior parte di essi costituisce una prova. Devono essere accolti con rispetto, misericordia e delicatezza. Si eviterà nei loro confronti qualsiasi marchio di ingiusta discriminazione. Queste persone sono chiamate a realizzare la volontà di Dio nella loro vita e, se sono cristiane, a unire al sacrificio della croce del Signore le difficoltà che possono incontrare a causa della loro condizione“.
Nonostante ciò che si potrebbe pensare, queste dichiarazioni del catechismo costituiscono un importante passo avanti rispetto agli insegnamenti precedenti. Per la prima volta infatti si riconosce che l’omosessualità è una condizione stabile che colloca la persona in una situazione che viene prima della libertà, cioè non c’è una decisione di esserlo, non si sceglie di essere omosessuali. Si chiede un atteggiamento rispettoso, misericordioso e gentile e si chiede di evitare ogni “ingiusta discriminazione”. In prospettiva il Magistero ha fatto un passo importante riguardo a quello che si sosteneva con la lettura tradizionale della Scrittura, nel suo avvicinamento ai Padri della Chiesa, l’influenza stoico-greca, l’accettazione della teologia di Agostino, San Tommaso, ecc..
Secondo Pedro Labrin questo è un cambiamento davvero considerevole perché risulta chiaro che “la persona non è responsabile, pertanto secondo i criteri morali la colpevolezza soggettiva risulta molto attenuata o addirittura non esiste. E’ un’ottima cosa che la Chiesa riconosca che l’omosessualità non è un peccato perché è da poco che questo concetto è stato compreso. La persona omosessuale come soggetto di un particolare orientamento che definiva la sua struttura psicologica, spirituale e umana, non esisteva. Esistevano eterosessuali ai quali improvvisamente si aprivano scomparti un po’ misteriosi. Fare questo salto e dire che tra gli esseri umani esistono alcuni che sono omosessuali di per sè, è stato antropologicamente senza dubbio un progresso“.
Bene, ciò che da un lato appare come un progresso -la separazione tra l’orientamento e l’atto sessuale- rispetto ad affermazioni e concezioni precedenti, in realtà complica le cose perché la persona risulta divisa in una situazione opprimente. Il fatto di focalizzarsi soltanto sugli atti omosessuali, svincolandoli dall’esperienza della persona, la sua realtà, le sue relazioni, l’autopercezione e il contesto di vita, abbandona le persone stesse in una situazione quasi impossibile da sopportare. Spiego brevemente seguendo il pensiero di Stephen Pope, Dottore in Teologia Etica dell’Università di Chicago. Se Dio ama ogni uomo e ogni donna, creati a sua immagine e somiglianza, li ama “tutti interi”, completamente, compresa la loro identità sessuale. E in questo amore è insita la dignità della persona, anche della persona omosessuale.
Nel catechismo della Chiesa cattolica, al n° 2333 si dice che “spetta a ciascuno, uomo e donna, riconoscere e accettare la sua condizione sessuale“. Questo è valido solo per gli eterosessuali o lo è per tutti? Per tutti, senza dubbio. Uomini e donne, eterosessuali e omosessuali, devono riconoscere e accettare la propria identità sessuale. “In quanto aspetto costitutivo della persona, l’orientamento [sessuale] colloca la condizione per l’atto del peccato [l’atto sessuale omosessuale] più profondamente nella persona [di] quanto non lo facessero i termini anticamente impiegati di tentazione o ‘concupiscenza disordinata’, dato che quest’ultimo gode della possibilità di guarigione, correzione o riordinamento per opera del potere della grazia. Se uno deve ‘odiare il peccato, obietterebbero i critici, come può non odiare l’orientamento personale del quale il peccato è espressione? E se l’orientamento [omosessuale] è essenziale nell’identità personale, allora ‘odiare il peccato’ che esprime tale orientamento sembra implicare anche di ‘odiare il peccatore’ necessariamente“.
In altre parole, se l’atto sessuale omosessuale consegue alla condizione omosessuale della persona e in essa è istintivamente radicato, la condanna di questo atto non sarebbe forse un’azione violenta e discriminatoria? Possiamo condannare, ad esempio, un atto di furto. Il ladro -la persona che ruba- viene giudicato, condannato, ripara il danno con una pena e corregge la sua strada. Ma, come ‘ripara il danno’ -di un atto omosessuale- e come ‘corregge la sua strada’ -smette di essere omosessuale- chi agisce in accordo alla sua natura omosessuale?
La classica affermazione “Agere sequitur ese” – l’agire segue l’essere – significa, come spiega la filosofia di San Tommaso, che l’essere è la fonte dell’agire. In che situazione viene a trovarsi allora la persona omosessuale? In una scarpa cinese difficile da calzare. Queste affermazioni, secondo Pope, risultano molto complesse perché sono state fatte in base ad argomenti deduttivi, a posizioni filosofiche, teologiche , a determinate ideologie, ma si sono svincolate dalla vita reale, non hanno tenuto conto dell’esperienza delle coppie omosessuali.
Così come è stato espresso ultimamente, il messaggio del Magistero riguardo all’orientamento omosessuale è fortemente stigmatizzante e disumanizzante. E’ anche, nemmeno tanto tacitamente, ma esplicitamente, suscettibile di essere utilizzato per avallare proprio quelle ingiuste discriminazioni che la Chiesa stessa ha ripetutamente condannato. La descrizione dell’identità sessuale di una persona come ‘gravemente disordinata’ potrebbe dare origine a sospetti, sfiducia ed alienazione. Questa conclusione è avvalorata dalle dolorose esperienze psicologiche dirette che sono costrette a vivere molte persone gay e lesbiche. Si può quindi comprendere perchè gli osservatori concludono che gli insegnamenti del Magistero riguardo all’omosessualità sono in netto contrasto con la sua affermazione che ogni persona gay e lesbica è stata creata a immagine di Dio (…). Il tono e il contenuto dei suoi scritti esemplificano in modo estremamente chiaro il risultato del parlare dei gay e delle lesbiche ma non con loro.
Gli atti sessuali omosessuali – come si è visto nelle testimonianze di questo libro- per le persone omosessuali sono naturali, logici e morali, proprio come gli atti sessuali con persone del sesso opposto lo sono per gli eterosessuali. Li considerano naturali perché costituiscono la loro primaria inclinazione sessuale; logici perché, dopo aver compreso la propria realtà, la propria situazione e deciso liberamente cosa fare in accordo con la propria natura sessuale omosessuale, significa agire in accordo a ciò che Dio vuole da loro; e morali perché constatano che dopo la loro comprensione e la loro decisione, il fatto di accettarsi come omosessuali e di impegnare la loro attività sessuale in una relazione amorosa stabile, li aiuta nel loro cammino di umanizzazione e ad essere persone migliori, più generosi e più onesti con se stessi e con la società.
Secondo Pablo Romero, “il grande passo che la Chiesa deve fare, la meta verso cui dobbiamo camminare, è la dignificazione della coppia omosessuale, ma sento che siamo ancora ad anni luce da ciò. Credo però che questo sia il grande passo che essa debba compiere per una vera riconciliazione col mondo omosessuale. La chiesa deve essere un luogo in cui gli omosessuali sentono che possono manifestare i loro desideri più profondi e i loro progetti di vita umanizzatori ed essere protagonisti della propria vita e della vita della Chiesa“.
Gli stessi concetti sono proposti dal Dottore in teologia Erik Borgman. E’ convinto della necessità di dialogare con coppie gays e lesbiche, non solo come un modo di includere e accettare la loro realtà ma, soprattutto, perchè si potrebbero scoprire nelle loro relazioni amorose possibilità nuove e liberatrici “ed essere un valido apporto all’umanità e pertanto alla comunità della Chiesa (…). Se dobbiamo accettare l’omosessualità non è perché non ci sia altro rimedio (…) ma è perché ciò apre nuove possibilità di esprimere e coltivare la vita buona, possibilità che erano nascoste e represse, ma che contribuiscono alla pienezza di felicità che è il futuro degli esseri umani in Dio“.
Il fatto che una parte importante della persona omosessuale – le sue manifestazioni affettive e la sua manifestazione sessuale e genitale – sia ignorata, repressa, negata o mal compresa dalla nostra società è moralmente tragico e socialmente disastroso. Ma non è facile cambiare lo schema eteronormativo dalla sera alla mattina.
Una società integrata, inclusiva, rende possibile l’esistenza di persone migliori, nella misura in cui si progredisca, avendo come punto di partenza il Vangelo, nell’offrire spazi di apertura sessuale e di realizzazione dell’omosessualità, che non rimanga relegata alle scalinate di notte, ai sotterranei, ai parchi in cui è morto Zamudio, alla caverna; che non sia esposta a quelli che ci lucrano sopra, ma che sia integrata nella pubblica piazza, nell’insegnamento, ecc., tutto questo -necessariamente- si tradurrà nel fatto che ci siano migliori persone eterosessuali e omosessuali.
In questa complessa questione vale la pena tener presente ciò che affermava il cardinal Ratzinger prima di essere Benedetto XVI: “Non tutto quello che esiste nella Chiesa dev’essere considerato come legittima tradizione; in altre parole, non tutta la tradizione presente nella Chiesa è una celebrazione vera e testimonia il mistero di Cristo. C’è una distorsione (…) e di conseguenza non ci si deve approcciare alla tradizione soltanto accettandola come valida, ma in modo critico“.
Il credente ha bisogno della Tradizione, ma essa deve essere viva e nutriente perchè possa alimentare e rafforzare la fede. L’attuale tradizione del Magistero riguardo alle relazioni omosessuali testimonia il mistero di Cristo, dà vita in abbondanza, risulta liberatrice e costituisce una vera celebrazione? E’ necessario considerare coraggiosamente questa domanda e le sue conclusioni.