Questioni di cuore. La scommessa di vivere
Lettera inviata a Natalia Aspesi* tratta da Il Venerdì di Repubblica del 21 dicembre 2012, pag.19
Ho letto con sgomento di quel ragazzo romano che si è tolto la vita perché sbeffeggiato dai compagni per il suo modo eccentrico di vestire.
Sono un uomo di ottant’anni anch’io da ragazzo venivo umiliato dai miei compagni che mi chiamavano femminella, forse perché preferivo partecipare ai giochi delle ragazzine.
Ricordo una volta, in tempo di guerra: io giocavo con le bambine, mia madre discorreva con altre donne, alcuni ragazzini cominciarono a chiamarmi femminella. Le donne li zittirono, mia madre piangeva, mi afferrò per un braccio e gridando mi abbassò i pantaloncini mostrando a tutti il mio sesso e io cominciai a piangere per la vergogna.
Imparai a farmi rispettare, assestando calci a chi mi derideva. Un pomeriggio andai al cinema da solo, mi venne vicino un uomo che cominciò a toccarmi e lo lasciai fare, poi scappai via, imprecando perché Dio mi aveva creato in quel modo.
Nel 1949, a 17 anni, ebbi dalla vita il regalo più bello. Un giorno, uscendo dal liceo, venni investito da una Vespa guidata da un giovane molto bello e distinto di una trentina d’anni.
Non mi feci quasi niente, ma volle accompagnarmi all’ospedale e cominciammo a frequentarci. Sentivo che potevo fidarmi ciecamente di lui e un giorno mi disse con una luce negli occhi che non ho mai dimenticato che voleva stare per sempre con me.
Ho vissuto con lui una vita meravigliosa, se ne è andato a marzo di quest’anno a 92 anni, lasciandomi solo e con un dolore immenso. È con questo dolore che mi chiedo perché un ragazzo abbia potuto togliersi la vita oggi che non è più come una volta, e uomini politici e di spettacolo dichiarano apertamente di essere omosessuali.
Conosco l’amarezza che si prova quando ragazzi crudeli e forse inconsapevoli ti si accaniscono contro, divertendosi alle tue spalle, ma arrivare a togliersi la vita, non lo voglio capire!
Antonio di Napoli
La risposta…
Certo è una storia tristissima e ingiusta, quella del ragazzino suicida. Non voglio attenuare la responsabilità dei suoi compagni, ma è vero che a quell’età si è crudeli e si è fragili, e il gruppo, che si sente forte perché è insicuro, sfoga il suo bisogno di affermazione scegliendo un capro espiatorio: il ragazzino obeso, la ragazzina brutta, l’extracomunitario, il timido, il secchione, e appunto quello che non si adegua all’idea adolescente della virilità e del successo.
E purtroppo capita che in quell’età di sperdimento e paura, non si abbiano mezzi per difendersi: certe volte persino un cattivo voto può portare a un gesto così tragico.
Sono sicura che i compagni di quel ragazzino suicida, non se lo perdoneranno mai. Poi lei ha ragione, oggi le coppie dello stesso sesso si sposano e adottano bambini, non in Italia naturalmente, dove però in certi comuni, come a Milano, esiste almeno un registro delle coppie che dà all’unione omosessuale un valore almeno simbolico e civico.
Comunque esistono ancora resistenze non solo da parte del Vaticano e della politica che le è succube, ma anche in persone che non riescono a giudicare gli altri per quello che sono, magari cittadini esemplari, ma per la loro attitudine sessuale.
Ancora c’è chi non si indigna per chi evade le tasse obbligando gli altri a pagarle anche per loro, ma fa fatica ad accettare due donne, due uomini che si amano. Grazie per aver ricordato la sua bella, lunghissima, storia d’amore.
* La giornalista Natalia Aspesi conduce da anni, su Il Venerdì di Repubblica, la rubrica ‘Questioni di cuore”.