La sfida dei cristiani è nel riconoscersi pastori gli uni degli altri
Riflessioni bibliche su Giovanni 10, 27-30 di Fabio Trimigno del gruppo Zaccheo, cristiani LGBT di Puglia
IL CREATO: “In quel tempo Gesù disse: “Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono.
LA CREATURA: Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre.
IL CREATORE: Io e il Padre siamo una cosa sola” (Giovanni 10, 27-30)
“Io e il Padre siamo una cosa sola”
Un legame tra il Creatore che ama e la sua Creatura che è amata; un legame tra il Creatore che è amato e la sua Creatura che impara ad amare; un legame tra il Creato amato/amante e il suo Creatore amante/amato.
Un legame indissolubile le cui radici affondano nella nostra carne, nei rami degli alberi, nei petali dei fiori, nel cuore pulsante degli animali, nelle ali di una farfalla, nella linfa delle piante, nel pungiglione delle api, nelle branchie dei pesci, negli uccelli del cielo e nei gigli del campo …
Un legame che disegna un progetto, un progetto che scava, uno scavo che edifica una vita, una vita che fa nascere relazioni che lega l’uomo a Dio, l’uomo all’uomo, e l’uomo al creato.
Dio non ha voluto che gli elementi della sua creazione restassero soli, ma li ha pensati in compagnia: il sole e la luna, la luce e le tenebre, il mare e la terra, Adamo ed Eva, Giacobbe e Rachele, Davide e Betsabea, Anna e Gioacchino, Maria e Giuseppe, il bue e l’asinello, i magi e i pastori, Gesù e i dodici, il Centurione romano e il suo amato servo, le tre Marie sotto la croce, Felicita e Perpetua, i guerrieri romani Sergio e Bacco, Giovanni da Matera e Guglielmo da Vercelli, S. Chiara e S. Francesco, Madre Teresa e Jacqueline De Decker, Giovanni Paolo II e Chiara Lubich …
Soli si è più deboli.
Soli si è indifesi.
Soli non si va lontani.
Una cosa sola con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, l’uno il prolungamento dell’altro, l’uno il collegamento con l’altro, gli uni uniti agli altri in una rete di relazioni: una storia che incontra un’altra storia fino a perdersi, un ricamo di intrecci di amori, di tradimenti, di gioie, di viaggi, di sogni… la vita nelle sue molteplici epifanie delle relazioni.
“Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono”
C’è un affetto tra il pastore e il gregge: le pecore riconoscono la voce del pastore, il richiamo, il timbro della sua voce è familiare e denota protezione. Quando a casa ho tanti ospiti, Lucrezia, la mia capretta tibetana si agita. Ma basta che io la chiami con l’intonazione giusta, e lei in mezzo alla confusione riconosce la mia voce, risponde al richiamo, si volta verso di me e cerca protezione, si avvicina e mette la testa sotto la mia ascella.
Ogni volta questa scena mi ricorda il Salmo 91: “Ti coprirà con le sue penne, sotto le sue ali troverai rifugio; la sua fedeltà ti sarà scudo e corazza”. Non era così fino a poco tempo fa, quando nella stessa casa convivevano insieme alla famiglia anche gli animali domestici? Animali non solo per compagnia, ma disponibili alla cura reciproca fatta di collaborazione, nella forza lavoro e nel sostentamento.
Storie di volti rivolti, di mani e zampe, di silenziosi versi diversi, di parole e alito, di orecchie accarezzate e di gomiti leccati, di creature che si accolgono sotto lo stesso tetto, che corrispondono alla chiamata del Creatore: “Dominate la terra”, ovvero “Abbiatene cura”.
“Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano”
L’evangelista Giovanni ci parla di mani pronte ad accarezzare, a proteggere, a guidare quelle pecore: dalla mano di Gesù alla mano del Padre, senza che mai nessuno le strapperà e le porterà via. Le pecore sono segno di docilità affettuosa che dovrebbe corrispondere nel cuore dell’uomo alla voce del Pastore. Ed è inevitabile pensare all’Agnello Immolato, perché sul nostro capo di pecore pende la croce dell’Agnello, il Crocifisso Risorto.
Ma l’Agnello Immolato non è colui che toglie i peccati del mondo con una bacchetta magica, ma Gesù diventa l’Agnello che porta il peso del mondo, il peccato del mondo inteso nel suo vero significato: “mancare il bersaglio”. Gesù pertanto è l’agnello che non toglie semplicemente i peccati del mondo, ma che li porta addosso: è l’agnello che si porta addosso tutti i bersagli mancati da parte dell’uomo. E in nome di quell’Agnello noi chiediamo: “dona a noi la pace”.
Ma anche la pace rientra in quel progetto di relazioni tra Creato, Creatura e Creatore. Infatti la preghiera di Gesù ci insegna a chiedere a Dio Padre “rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori”. L’azione misericordiosa di Dio, quale buon pastore, viene fatta dipendere esclusivamente dal precedente comportamento umano, dalla scelta e dalla libertà dell’uomo: Gesù fa dipendere nel modo più chiaro l’azione di Dio dalla libertà dell’uomo, giudicato capace di scegliere se perdonare o no.
Quando Dio ha pensato al creato ha preso a modello se stesso, la Trinità, modello di comunione e di unità, esempio di unicità e diversità di tre persone che in una danza corale creano un unico movimento, la cosiddetta “pericoresi della Trinità”: un passo a tre, un tango nuovo intriso di passione, un movimento dell’uno verso l’altro, degli uni verso gli altri, rispettando i tempi che occorrono all’uno e rispettando gli spazi che l’altro occupa attorno a sé. E l’azione liberante e salvifica del perdono non può che esistere e coesistere se non in questa danza dell’alterità.
Non ha senso essere solo pecore gli uni gli altri: la sfida sta nel riconoscerci anche pastori gli uni degli altri, non perdendo mai di vista il Buon Pastore, quale il più grande modello nella storia dell’uomo.
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