La sfida della chiesa Valdese, far camminare insieme le diversità
Riflessioni della pastora Anne Zell tratte da Riforma del 24 settembre 2010
A farci cambiare punto di vista, a trasformarci spesso non sono degli argomenti più o meno convincenti, ma l’incontro con la vita e la fede altrui, l’ascolto e la condivisione di storie vissute. Almeno a me questo è successo in tanti anni di lavoro pastorale a Milano, e poi a Brescia.
Non l’avevo scelto io allora, l’impegno pastorale nella grande città, crocevia di tante culture, di tante persone così diverse, ma l’ho accettato come sfida – come non ho scelto io il compito di «pastora di riferimento» per sempre più persone omosessuali, uomini e donne in ricerca di fede.
Sinceramente, non era neanche una mia priorità – ma lo spirito soffia dove vuole e il suo vento mi ha portato a contatto con queste persone: non le ho scelte io, semplicemente mi sono state affidate, donate. E sono rimasta coinvolta nella loro ricerca di un altro modo di poter essere credenti, senza dover nascondere parte della loro personalità, senza sensi di colpa, senza discriminazione.
Ho trovato tanto desiderio, tanto coraggio e tanta tenacia nella ricerca della fede, ma soprattutto tanta sete di evangelo e tanta fame della parola di grazia incondizionata e amore accogliente.
Perché questa premessa così personale? Perché credo che il Sinodo (Valdese) nel suo ordine del giorno sulla benedizione delle coppie omosessuali ci chiede in primo luogo di tener conto delle persone omosessuali e della loro fede, di confrontarci con la loro storia di uomini e donne che hanno un volto, un nome, che hanno un progetto di vita e di relazione, e non di intavolare semplicemente una discussione sull’omosessualità.
Benedizione come dono, condivisione dell’amore: negli anni del mio ministero ho potuto condividere con tante persone diverse un pezzo di strada, dei percorsi di fede, il tentativo appassionante di vivere l’amore concretamente, responsabilmente, fra cui diversi fratelli e sorelle omosessuali – e spesso questo intrecciarsi delle nostre storie di vita per me personalmente è stato dono e benedizione. Oso perciò dire che ancor prima di chiedere la benedizione del loro amore dalle nostre chiese, la presenza e la testimonianza di fratelli e sorelle omosessuali nelle nostre comunità è dono, è benedizione per noi.
Non tutti e tutte, lo so, condividono questa visione. Sia da interventi nella discussione sinodale, sia da una recente lettera pastorale del collega ghanese Elymas Newell e da qualche colloquio personale comprendo che invece, soprattutto per tanti fratelli e sorelle africani (e non solo), la decisione del Sinodo a proposito della benedizione di coppie dello stesso sesso mette in crisi, è una prova e sarà una grande sfida per le comunità che vivono l’esperienza di «Essere Chiesa insieme» fra credenti provenienti da culture e sensibilità diverse.
Oggi sono pastora in una di queste comunità, a maggioranza africana, fortemente impegnata nel progetto «Essere Chiesa insieme ». E di nuovo mi rendo conto di quanto anche questo percorso (non scelto, ma messoci davanti semplicemente dall’arrivo di fratelli e sorelle africane nelle nostre chiese) per me e per la comunità sia non solo sfida, ma anche dono e benedizione.
Già in un anno a Brescia la mia fede e spiritualità, la mia vita si è arricchita, e insieme ai miei membri di chiesa vivo momenti sorprendenti e modi nuovi di esprimere la stessa fede: che emozione per esempio, esprimerla gioia del credere anche danzando! Voglio continuare a camminare insieme a loro – senza per questo dover abbandonare altri compagni e compagne di viaggio. Il mio cuore non può essere diviso e neanche le mie cure, la mia attenzione pastorale.
Spero perciò che tutti e tutte insieme possiamo continuare il cammino– affrontando serenamente e senza giudicarsi le sensibilità diverse. Non siamo e non vogliamo essere una chiesa «del pensiero unico», perché l’invito paolino ad«avere un medesimo sentimento » significa il contrario: sentirsi fratelli e sorelle, figli e figlie di Dio e membri della stessa chiesa con e nonostante le nostre diverse sensibilità.
Faccio perciò mia, nonostante l’interpretazione diversa della questione, l’esortazione del collega Newell di evitare un modo conflittuale nell’affrontare il tema nelle nostre chiese. Bisogna invece trovare la possibilità di rimanere in dialogo, in un confronto che non rischi di diventare uno scambio di argomenti o addirittura uno scontro fra posizioni diverse, ma invece l’ascolto sereno e rispettoso di storie di fede e vita diverse.