La sfida di Bonhoeffer: ‘pensare a Dio pensando al mondo’
Intervento del pastore battista Raffaele Volpe tenuto* il 16 marzo 2006
Lutero diceva delle sacre scritture che hanno un naso di cera, ed il loro volto può essere cambiato in un modo o nell’altro, e anche sfigurato, mediante un’interpretazione arbitraria.
Credo che questa allocuzione proverbiale potrebbe applicarsi anche a Dietrich Bonhoeffer. Ormai si è riusciti a fargli dire tutto quello che si vuole.
Mi accingo quindi a parlarne con timore e tremore.
Non vi è alcun dubbio che un’attenta riflessione su Dietrich Bonhoeffer è l’antidoto migliore contro la schiera di atei religiosi o credenti integralisti di oggi che concepiscono Dio come una realtà “utilizzabile” nel mondo.
Per Bonhoeffer la mondanità, l’essere senza Dio del mondo, sono di per sé “più vicine” a Dio di questi esecrabili tentativi contemporanei.
Anche tutto il discorso intorno alle radici cristiane dell’Europa nasconde una utilizzabilità di Dio. Vi è in Bonhoeffer un’accentuazione della mondanità del mondo.
Bonhoeffer non parla di secolarizzazione, cioè della riduzione allo stato laicale di verità originariamente cristiane. La legittimità alla sua propria autonomia non è concessa al mondo dalla chiesa perché la chiesa riconosce in questo una forma cristiana secolarizzata.
Questa legittimità ha il suo proprio fondamento. E questo fondamento, nella rilettura teologica di Bonhoeffer, è Gesù Cristo. Il centro della riflessione teologica di Bonhoeffer è Gesù Cristo.
La sfida di Bonhoeffer è di pensare Dio pensando nello stesso tempo il mondo. Ma pensare Dio e il mondo insieme vuol dire porre la domanda: come Dio possa essere pensabile in un mondo che pensa senza Dio?
La mondanità, o meglio: questa epoca moderna, o ancora: il mondo che si fa autonomo e che vive senza l’ipotesi Dio assumono, specialmente nell’ultimo Bonhoeffer, una valenza positiva.
E’ in atto un processo del mondo, inarrestabile, verso la sua propria maturità. Ma tutto questo, ed è la novità di Bonhoeffer, è Dio stesso che lo vuole!
Dio vuole la mondanità del mondo. Questo allontana subito la possibile obiezione: ma come si può ancora affermare tutto questo in questo periodo storico in cui si parla di post-secolarità e del ritorno del sacro?
Il processo di mondanizzazione del mondo, che Dio vuole, porta con se un’ambiguità: questo mondo può non accogliere fino in fondo il dono di Dio e vivere una mondanità monca.
Nell’ottica di Bonhoeffer, Dio non è più necessario affinché il mondo possa pensarsi in quanto mondo. Ed è Dio stesso che ci porta a riconoscere tutto questo. La frase di Bonhoeffer: “Di fronte a Dio e con Dio viviamo senza Dio”, dice nella sua più estrema drammaticità la non-necessità di Dio.
Questa interpretazione si dà soltanto per mezzo della chiave cristologica: è in Cristo che noi comprendiamo Dio come colui che si lascia cacciar via dal mondo sulla croce, e proprio in quando scacciato, Dio è di fronte a noi e con noi!
L’evento della croce, della scacciata di Dio dal mondo (parodia umana della scacciata di Adamo ed Eva dall’Eden), ci chiama a vivere senza l’ipotesi Dio non solo verso il mondo, ma verso Dio stesso.
Ed è questo Dio soltanto in grado di aiutare. E’ soltanto in questa forma crocifissa che Dio sopporta un mondo che non lo sopporta ed è, quindi, di fronte al mondo che vive senza Dio.
La presenza si dà nella sua assenza; Dio è presente in quanto colui che non solo si fa da parte, ma lo fa donandosi all’altro.
Breve excursus
E su questo permettetemi una nota che riguarda Karl Barth. Poiché l’orientamento cristologico in Bonhoeffer è senz’altro legato alla teologia barthiana.
Sesso leggo anche nella rivista una acritica accentuazione di una distanza tra Barth e Bonhoeffer, non accompagnata sufficientemente dal grande riconoscimento che Bonhoeffer ha nei riguardi di Barth.
Senza Barth oggi forse non staremmo nemmeno parlando di Bonhoeffer. Eraldo Affinati nel suo: “La vita della generazione che viene” dice che Bonhoeffer non pensò di conservare una coscienza immacolata: la mise anzi costantemente a rischio nelle relazioni interpersonali, a costo di alienarsi le simpatie di chi gli stava accanto, ad esempio Karl Barth.
Beh, credetemi, Barth non conservò per niente la sua coscienza immacolata, la mise a rischio se non più di Bonhoeffer, almeno quasi quanto Bonhoeffer.
Così si arriva che Enzo Mazzi dica: “Karl Barth incita a resistere oltre ogni limite, ma lo fa dal sicuro rifugio svizzero”. Anche in questo caso non si fa nessuno sforzo di riconoscere l’impegno anche rischioso che Barth assume contro il regime, il suo essere sospeso, l’importanza della Dichiarazione di Barmen di cui è praticamente l’autore e così via.
Credo sarebbe interessante un lavoro di confronto tra Barth e Bonhoeffer…
Onestà intellettuale
Quel che abbiamo detto finora ha due maggiori conseguenze, una riguarda il modo in cui il credente si pone di fronte al mondo e l’altra riguarda la chiesa.
Bonhoeffer parla di onestà intellettuale del credente. Significa mantenere il pensiero in accordo con la realtà. Ora alla realtà dell’uomo dell’epoca moderna appartiene la scoperta dell’autonomia della ragione e conseguentemente il dovere imprescindibile di usare la ragione autonoma. E’ onestà intellettuale verso il destino dell’epoca moderna.
Qui ovviamente si apre un interessante capitolo sul rapporto tra ragione e fede. Bonhoeffer non accoglie né l’affermazione che la fede uccide la ragione (e potremmo immaginare anche il contrario), né che la fede sia in sintonia con la ragione (o anche che la ragione sia in sintonia con la fede).
Nell’una e nell’altra maniera fede e ragione vengono viste come due grandezze poste sullo stesso piano che lottano vicendevolmente per il possesso del proprio spazio vitale oppure stabiliscono una divisione pacifica ed amichevole di questo spazio a favore o dell’una o dell’altra.
La fede viene vista come un organo concorrenziale o di completamento della ragione, come una ragione prolungata nel sovrarazionale.
La ragione e la fede entrano in conflitto con il rischio che la fede possa pensare necessario l’indebolimento della ragione. Iniziare una crociata, uso questo termine visto che è di moda, contro l’epoca moderna.
E qui Bonhoeffer scrive: “Io ritengo gli attacchi dell’apologetica cristiana alla maggiore età del mondo… assurdi … perché mi assomigliano al tentativo di ricondurre alla pubertà un individuo ormai uomo, cioè di riportarlo a dipendere da cose dalle quali egli si è reso di fatto indipendente, di ricacciarlo verso problemi che di fatto per lui non sono più tali”.
La fede quindi deve essere interessata a che la ragione sia ragionevole ed obiettiva. E la sua onestà intellettuale è data dal fatto che non è presa dall’angoscia di fronte ad un aspetto della realtà e cerca di ignorarlo, ma si faccia fede in sintonia con la realtà.
Quindi interpretazione non religiosa non significa altro che interpretazione concreta.
La chiesa
Tutto questo ci offre un’immagine della chiesa che non può essere una chiesa curva su se stessa (per usare il linguaggio luterano), che lotta solo per la sua propria autoconservazione, ma una chiesa che sia chiesa per gli altri.
Non può trattarsi di una chiesa arroccata nelle sue posizioni per difendere una certa morale pretesa eterna, ma inevitabilmente storica, come tutte le morali.
Scrive Bonhoeffer: “La chiesa deve assolutamente uscire a respirare l’aria libera del confronto spirituale con il mondo”. Il problema dell’annuncio diventa un problema del linguaggio: “… verrà il giorno, scrive Bonhoeffer, in cui gli uomini saranno nuovamente chiamati a pronunciare la Parola di Dio in modo che il mondo ne sarà trasformato e rinnovato”.
L’interpretazione non religiosa del messaggio biblico è legata a questo rinnovamento del linguaggio, che soltanto può restituire una centralità all’annuncio .
Chi è il religioso, chi il non religioso e cosa vuole Gesù Cristo dal mondo
Permettetemi di concentrarmi su tre punti: chi è il religioso, chi il non-religioso e cosa vuole Gesù dal mondo.
Cos’è la religione?
E’ il pensare Cristo e il mondo come due sfere separate; è la preoccupazione di riservare uno spazio a Dio, dice Bonhoeffer, “… io pretendo che Dio non venga ficcato di contrabbando in qualche segreto ed estremo ricettacolo”; l’al di là come infinitamente lontano; Dio come il prolungamento delle virtù umane e quindi Dio è più buono, più potente, e così via; il parlare di Dio quando la conoscenza umana è giunta al limite, scrive Bonhoeffer: “… la chiesa non risiede là dove la capacità dell’uomo non ce la fa più, ai confini, ma in mezzo alla città”; come risolutrice di problemi irrisolti; in quanto offerente di un Dio che tappa i buchi; l’uso delle debolezze umane come dimostrazione di Dio; la concezione dell’essere cristiano come esistenza umana separata; una concezione individualista e intimistica della salvezza con il conseguente abbandono del mondo a se stesso; il mascherare l’ateismo del mondo; il misconoscere i doni che Dio fa al mondo.
Chi è il non religioso
Sembrerebbe alla fine che egli ce l’abbia soltanto con il religioso e abbia invece una concezione positiva del non religioso.
Questa impressione è falsa. Se egli giudica positivamente l’età adulta del mondo, non vuole evidentemente intendere il piatto e banale essere di questo mondo degli illuminati, degli indaffarati, degli indifferente e dei lascivi (parole di Bonhoeffer).
L’uomo moderno è nella faticosa condizione della realtà da solo ad affrontare la vita e la morte. Qui potremmo far riferimenti a tratti leopardiani.
In quanto uomo adulto egli e’ l’uomo posto nella libertà e chiamato quindi, senza possibilità di farsi sostituire o rappresentare da altri, alla libera responsabilità.
E Dio non lo incontra lì dove soccombe, ma al centro di questa libertà. Ritorniamo al punto dal quale eravamo partiti: il Dio che è con noi è il Dio che ci abbandona.
“La maggiore età del mondo… viene realmente compresa meglio di quanto non si comprenda essa stessa, ossia partendo dal vangelo e da cristo”.
E’ qui l’intersezione tra il riconoscimento della realtà con onestà intellettuale e la testimonianza (l’annuncio e la prassi) della fede cristiana.
Gesù non chiama ad una nuova religione, ma alla vita. Cristo non è più oggetto della religione, ma qualcosa di completamente diverso, veramente il Signore del mondo.
Gesù rivendica per sé e per il regno di Dio l’intera vita umana in tutte le sue manifestazioni. Gesù Cristo è il centro della vita.
La chiesa non sta dove la capacità dell’uomo va in frantumi, ai confini, ma al centro della città. L’uomo deve essere confrontato con Dio dalla sua posizione più forte.
E qui dobbiamo necessariamente tornare alla teologia crucis, dove Dio appare non necessario, ma per usare una formula del teologo Juengel: più che necessario!
L’alternativa a completamento della realtà davanti a Dio del religioso, o del cavarsela con la realtà senza Dio del non religioso, appare il mantenimento della realtà davanti a Dio.
Le parole di Bonhoeffer: “Più tardi ho capito ( e si riferisce a quando cercava ancora la strada della santità), e lo capisco istante per istante ancora, che si impara a credere solo nel pieno essere di qua della vita.
Quando si è rinunciato del tutto a fare qualcosa di se stessi – un santo, un peccatore convertito,o un uomo di chiesa, un giusto o un ingiusto, un malato o un sano – ed è questo che io chiamo essere di qua, cioè nella pienezza degli impegni, dei successi e degli insuccessi, delle esperienze acquisite e delle perplessità -, allora ci si getta interamente nelle braccia di Dio, allora si prendono sul serio non le proprie, ma le sofferenze di Dio nel mondo, allora si veglia con Cristo nel Gethsemani e, io penso, questa è fede, questa è metànoia; così si diventa un uomo, un cristiano…”.
L’uomo integro, non diviso, è quindi l’uomo disponibile, l’uomo per l’altro. Ed in questo è uomo davanti a Dio, o meglio scopre il Dio disponibile davanti a sé.
* Testo letto in occasione della presentazione a Firenze del numero monografico su Dietrich Bonhoeffer della Rivista Testimonianze.