Il coming out e le mie radici cattoliche
Testimonianza di Emanuele Macca
Per quanti anni ho vissuto dentro un mondo che dava tutto per scontato, tutto ma proprio tutto! Che dovessi crescere eterosessuale, magari laurearmi e trovare un lavoro soddisfacente, e poi – essendo nato in una nazione e in una famiglia di tradizione cattolica – ripetere a memoria quello che dice il Magistero della Chiesa e continuare a scrivere versi che illustrano le bellezze e i valori che tutti gli altri hanno sempre declamato! E invece no…
Il destino mi ha “costretto” a vivere strade tortuose e “diverse”! E questo ha reso tutto più difficile, tutto remendamente difficile! Sin da piccolo scrivevo versi – come il Malandrino di paese di “branduardiana” memoria, e scrivendo riflettevo e in verità rimettevo sempre tutto in discussione.
E’ pesante e difficile ricominciare sempre tutto da capo! Ma non posso farne a meno, è più forte di me; la natura stessa mi ha fatto diverso. E col tempo sto capendo come di questa diversità possa farne un dono a me stesso e agli altri. Non so se la mia omosessualità sia la radice di questo stato di cose o se sia la conseguenza.
Non voglio essere sessuocentrico e far ruotare tutto attorno ad essa. Ma una cosa è sicura. Averla accettata senza vergogna è il pilastro del mio cambiamento.
Per quanto tempo e per quanti anni ho sublimato “insanamente” la dimensione spirituale per rinnegare la mia fisicità e il mio desiderio di ragazzi!
Sono arrivato a trascurare completamente la mia integrità fisica e col senno di poi anche quella psichica. Perché curare la postura, la pettinatura, l’abbigliamento, se quel che conta è lo spirito?
Del resto si legge nel Vangelo di Matteo: “Considerate come crescono i gigli della campagna; essi non faticano e non filano; eppure io vi dico che nemmeno Salomone, con tutta la sua gloria, fu vestito come uno di loro.
Or se Iddio riveste in questa maniera l’erba dei campi che oggi è e domani è gettata nel forno, non vestirà Egli molto più voi, o gente di poca fede?” (Matteo 6:26-30)
Cosa c’era di più facile che usare malamente questi versetti per convincermi che facevo bene a trascurarmi…? E così, giorno dopo giorno, attimo dopo attimo, ho appreso l’arte del negarmi l’autostima! Allo stesso modo ho cercato nei libri degli amici fedeli che non mi avrebbero mai potuto tradire; essi non avevano alcuna sensualità carnale, ma avevano un grosso fascino intellettuale ed erano anche un’ elemento per definirmi di fronte agli altri.
Io ero Emanuele il “secchione” (agli occhi dei miei compagni di scuola) o l’ “amante degli studi” (agli occhi dei miei genitori, dei parenti e dei pochi amici di famiglia). Per questo non uscivo mai la sera e per questo non avevo mai la ragazza! Ero portato per gli studi e per le “cose spirituali”, ero una sorta di “mezzo prete e mezzo laico”!
Quella porta, quella cantata da Federico Salvatore … la sfida è stata oltrepassare quella porta! E guardare quell’Emanuele che indossa “la maschera di fango bagnata nell’argento” per usare la definizione che Salvatore fa per indicare quella “falsa morale” di cui mi sono autoconvinto e che ora critico con la ragione, ma che mi trascino ancora dietro e con la quale il mondo che mi circonda mi costringe a mediare tutti i santi giorni!
Gli strascichi di questo passato ci sono tutti. Il corpo sta gridando vendetta per la trascuratezza con cui l’ho trattato in passato e me lo dice quasi ogni istante. Mi richiama senza sosta e senza pietà ai miei errori!
E l’animo che sente un’infinita nostalgia ogni volta che pensa all’età infantile prepuberale quando tutto filava così liscio… e l’animo che piange ogni volta che vede un adolescente sereno che gioca, che ride, che scherza, che sa prendere le cose con leggerezza, che cosa mi rappresenta? Non rispondo perché questa è una dimensione da cui devo ancora guarire….
Ma se oggi sono qui a raccontarvi questa storia forse è perché c’è un Emanuele nuovo! E la novità sta nel fatto che con tutte le difficoltà e gli inciampi che ci saranno Emanuele ha imparato a guardare in faccia alla realtà e si sente libero di parlare di queste cose non solo su un blog anonimo, ma mettendoci la faccia di fronte ad altre persone in carne ed ossa.
Per questo sono diventato fortemente insofferente a chi mi chiede ancora di mediare, di mediare al ribasso… L’ho già fatto da solo per tanto tempo e non accetto più che gli altri mi costringano a rifarlo… Mi costasse la carriera o la reputazione o le false gentilezze di chi garbatamente mi allontana!
Un mio amico, essendo ancora minorenne, senza genitori e senza parenti, è stato ospite presso un “Centro per minori” gestito da religiosi e laici consacrati e convenzionato col Comune.
Il racconto del “coming out” fatto al prete – suo responsabile – è esemplare di cosa intendo per “mediazione al ribasso” : il don è rimasto sorpreso e gli ha detto di non farlo sapere agli altri ragazzi perché sono maghrebini o di chi sa quali altri angoli del pianeta!
Forse questo responsabile non sapeva dire altro? O forse si è lavato la coscienza facendo ricadere su altri le sue difficoltà ad affrontare il tema? Il fatto che si debba essere cauti a comunicare la propria omosessualità a ragazzi che provengono da culture fortemente omofobe mi sembra ovvio; ma questa “cautela” si dovrebbe declinare prima di tutto nel trovare una scusa per affrontare il tema con questi ragazzi stimolandoli a rifletterci e poi nel permettere al ragazzo omosessuale di dichiararsi! E invece la risposta del prete in questione si era limitato al “Non dirlo agli altri!”…
Sempre la solita storia…. “Ti accetto ma non farlo sapere a Tizio, Caio e Sempronio!” Quanto tempo ci vorrà a quelli che parlano in questo modo a capire che questo è un linguaggio di accettazione formale, ma di “non accettazione” sostanziale? E la forma – mi spiace – ma non è sostanza. La forma qui nasconde una sostanza del tutto opposta! Diventa una forma intrisa di “ipocrisia”!
Io non guardo né con rancore né con rabbia a “questa Chiesa”. Però la guardo con immensa tristezza e con altrettanta tristezza osservo come essa voglia apparire agenzia educatrice!
Davvero mi domando come possa poter educare chi non insegna a guardare in faccia la realtà. E come può proclamare la “verità divina” chi elude la “verità umana”?
Non mi basta essere cattolico perché il cattolicesimo fa parte della nostra tradizione culturale. Io vivo il presente, non il passato! Il passato non può diventare uno maschera che mi fa giustificare o accettare come “mali minori” gli errori del presente! Ma dico grazie a quel cattolicesimo che mi ha donato la spirito critico, la gioia di essere me stesso, la forza di guardare gli altri vedendo nei loro occhi gli occhi di Cristo, la voglia di stare sempre accanto agli altri!
Leggendo Erhman (“Gesù non l’ha mai detto – Millecinquecento anni di errori e manipolazioni nella traduzione dei Vangeli”) ho travato un pezzo di risposta che avevo intuito da tempo ma non sapevo definire. Non bisogna temere a rimettere in discussione le tradizioni cattoliche-cristiane perché così facendo non perdiamo tutto il bene che queste tradizioni ci hanno trasmesso!
Esse, però, accanto al bene hanno portato con sé inevitabili incrostazioni storiche e credo che il male derivi dall’aver assolutizzato queste incrostazioni! Cosa fa crescere un bambino se non la capacità di staccarsi dal grembo materno e vivere in autonomia la sua vita?
E perché noi dobbiamo temere a comportaci allo stesso modo con la “Madre Chiesa”, imparando ad amarla e rispettarla senza però rinunciare alla centralità della nostra coscienza?