La storia di Marina, la prima allenatrice trans di una squadra parrocchiale
Articolo di Katia Moro pubblicato sul sito BariInedita il 2 marzo 2015
SALERNO. «Il calcio è un mondo per soli uomini eterosessuali? È un vecchio pregiudizio e io sono la prova che non è così». Come dare torto a Marina Rinaldi, 33enne allenatrice del San Michele Rufoli, formazione salernitana che milita nel girone A del campionato provinciale di terza categoria? Marina infatti è un transessuale, o meglio lo era fino a 10 anni fa, quando a seguito di un’operazione ha cambiato sesso, passando dal genere maschile a quello femminile.
Qualcosa che assume il carattere dell’incredibile, vista l’omofobia (e il maschilismo) che contraddistingue il calcio, un mondo in cui mai nessun giocatore ha mai dichiarato di essere omosessuale e che ha visto più di una volta i suoi protagonisti prendere le distanze dal “fenomeno” (come dimenticare la dichiarazione dell’ex allenatore della Nazionale Marcello Lippi: “Gay nel calcio? Mai visto uno”).
E quindi la storia del primo mister transessuale d’Italia va assolutamente raccontata, anche se è proprio mister Rinaldi a buttare acqua sul fuoco. «Non capisco perché tutto ciò debba suscitare scalpore. Cosa c’è di strano? – incalza Marina – Non esistono omosessuali o transessuali, ma solo individui che fanno delle scelte personali che nulla hanno a che vedere con la propria attività e passione sportiva e non».
In realtà a suscitare meraviglia è anche il fatto che ad offrire la panchina del San Michele Rufoli a Marina sia stato Michele Alfano, il parroco di Rufoli, frazione collinare di circa 1000 abitanti a 7 km dal centro cittadino di Salerno. «Il nostro è un piccolo borgo che non offre grande varietà di stimoli per i giovani residenti e una squadra di calcio mi sembrava un’importante risorsa – sostiene il sacerdote -. Così quando l’abbiamo istituita non ho potuto che proporla a una delle nostre parrocchiane più attive che gioca a calcio sin da quando era in tenera età: Marina».
Quindi non solo un trans nel calcio, ma addirittura un trans in una squadra parrocchiale. A Rufoli si sta cambiando il mondo. «Non ci vedo nulla di strano – commenta però il coraggioso don Michele -. D’altronde il pontificato di Papa Francesco si dirige proprio verso questa direzione, quella dell’accoglienza e della valorizzazione dell’individuo e non certo quella del giudizio e della condanna. Sono stato io a presentare Marina come allenatore della squadra a tutta la comunità riunita in parrocchia e ai giovani calciatori – aggiunge -. Lei e la sua famiglia erano già conosciuti da tutti come parte attiva della nostra parrocchia e quindi è stata accettata e accolta facilmente. Poi in una collettività c’è sempre chi è meno aperto e pronto alle critiche ma noi abbiamo rispettato le opinioni di tutti e chi non è stato d’accordo semplicemente si è allontanato dalla squadra».
E forse più del pregiudizio e della diffidenza hanno prevalso la curiosità e il desiderio di conoscere e capire cosa si nasconde dietro la femminilità sfacciata e prorompente della determinata Marina, che sottolinea come i giovani del paese abbiano fatto a gara per poter entrare nella sua squadra. «Ho da subito instaurato uno splendido rapporto con tutti i ragazzi della squadra – afferma il mister -. Con loro riesco a far emergere quello spirito materno che è in me e che non potrò mai realizzare diversamente. Ma nello stesso tempo rappresento per questi ragazzi una guida sicura e forte».
I giovani calciatori e le loro famiglie si sono imbattuti così nella grande passione calcistica dell’allenatrice, figlia di un ex calciatore della Battipagliese. Marina non ha mai smesso di giocare sino a quando, dieci anni fa, ha deciso di operarsi per poter diventare finalmente una donna, desiderio coltivato e maturato dall’infanzia. La cura ormonale le ha impedito temporaneamente di giocare a calcio, ma quando il parroco le ha proposto di allenare la nuova squadra, non ci ha pensato due volte e si è rimessa in gioco.
«La mia fortuna sono state le belle persone che Dio ha messo sul mio cammino – conclude Marina -. Innanzitutto i miei genitori che mi hanno sempre sostenuta e compresa senza giudicarmi né mai condannarmi dimostrando intelligenza e apertura mentale. E poi don Michele che rappresenta la mia guida spirituale e mi ha concesso questa grande opportunità. Spero che la mia esperienza possa essere d’esempio per tutti i trans e gli omosessuali che non si accettano e si nascondono. Perché noi non siamo diversi dagli altri e io, mister Rinaldi, ne sono la prova vivente».