La persecuzione Nazista degli omosessuali all’Holocaust Museum di Washington
Articolo di Elizabeth Olson tratto dal New York Times (Stati Uniti), 4 Gennaio 2003, liberamente tradotto da Maurizio C.
Venivano chiamati “quelli del 175”, gli omosessuali che i nazisti arrestarono, picchiarono, misero ai lavori forzati e, qualche volta, castrarono. Le accuse venivano mosse in base al Paragrafo 175 del codice criminale tedesco, che metteva al bando l’”indecenza contro natura” tra uomini, a partire dal 1871. I nazisti ampliarono lo statuto facendo del “mero guardare” e del “semplice toccare” ragioni sufficienti per dare la caccia e rastrellare uomini gay. Per questo il The United States Holocaust Memorial Museum di Washington (Museo alla Memoria dell’Olocausto degli Stati Uniti), dove due milioni di visitatori ogni anno apprendono della persecuzione degli ebrei sotto il regime di Hitler, ha deciso di dedicare degli allestimenti ad altri gruppi (di perseguitati), partendo dagli omosessuali.
Per due anni i ricercatori del museo hanno passato al setaccio le testimonianze, principalmente in Germania. Ne è il triste risultato la mostra la “Persecuzione Nazista degli Omosessuali, 1933-1945” (“Nazi Persecution of Homosexuals, 1933-1945”), (…). Mentre decine di migliaia di loro vennero incarcerati e una parte ancora sconosciuta di questi venne uccisa, pochi omosessuali raccontarono le loro storie allora o più tardi.
Per decenni in seguito alla vittoria degli alleati, furono oggetto del medesimo statuto criminale che il regime di Hitler aveva utilizzato per perseguitarli. La legge è stata abrogata nel 1994, ed è stato solo nel maggio 2003 che i colpevoli del “175”sono stati graziati dal governo tedesco.
Si è a conoscenza solo di informazioni frammentarie riguardo al trattamento brutale che subirono (i gay) nell’epoca nazista. Ad esempio, Robert T. Odeman, che scriveva canzoni da cabaret, fu incolpato per reati omosessuali a Berlino e mandato in prigione. Dopo il suo rilascio, la polizia lo arrestò di nuovo, citando le sue lettere a un amico per metà ebreo. Odeman fu mandato in un campo di concentramento, da cui lui e due altri fuggirono nel 1945.
Morì a Berlino 40 anni dopo senza sapere che la sua storia sarebbe diventata parte di uno sforzo volto a ricordare le altre vittime dell’Olocausto, che includono non solamente gay, ma anche handicappati, zingari, polacchi, prigionieri di guerra sovietici e Testimoni di Geova.
Poiché era così scarsa la testimonianza delle vittime o dei sopravvissuti, il museo ha allestito la mostra intorno ai documenti inquietantemente meticolosi dei nazisti. Fotografie, animazioni e produzioni artistiche dell’epoca mostrano che il soffocamento dell’omosessualità divenne una priorità per i nazisti, nonostante un gay dichiarato, Ernst Röhm, capo delle truppe d’assalto (le S.A.), contribuì a portare Hitler al potere.
Quando questi fu assassinato nel 1934, gli ostacoli alla persecuzione dei gay vennero spazzati via, e l’omosessualità venne equiparata al tradimento. In un paese dove i legami cominciavano presto in gruppi giovanili composti da soli uomini, i nazisti portarono avanti una campagna pubblica per soffocare gli atti “indecenti”.
Tuttavia, un considerevole numero di casi di pratica omosessuale venne riscontrato quasi in ogni parte dell’apparato nazista, dalle truppe d’assalto al movimento Giovanile Hitleriano”, suggerisce Geoffrey Giles, storico dell’Università della Florida, che ha messo a disposizione alcune delle sue ricerche per l’allestimento.
Mentre gli atti “devianti” erano un comodo strumento di denuncia nella Gioventù Hitleriana, dove l’omosessualità era citata per il 25 % degli espulsi, sussisteva anche la paura che tale comportamento fosse appreso e potesse diffondersi tra i corpi militari. I nazisti sostenevano che tale comportamento dovesse essere corretto, in quanto gli omosessuali avrebbero potuto mettere a rischio le generazioni future della Germania, non essendo in grado di mettere al mondo dei figli.
Le lesbiche, al contrario, erano spesso risparmiate, poiché potevano essere rieducate al fine di assumere i ruoli di mogli e di madri. Nella Repubblica di Weimar, i tribunali limitarono la legge 1871, che comportava una sentenza di imprigionamento per due anni in seguito ad atti di contatto fisico. Erano state condannate circa 400 persone fino all’inizio dell’epoca nazista, poi il numero di condannati è cresciuto dieci volte tanto.
Nel 1936 il capo della Gestapo, Heinrich Himmler, aveva istituito l’Ufficio Centrale Contro l’Omosessualità e l’Aborto, e la vigilanza dei gay venne legalizzata. Complessivamente vennero arrestati ben 100.000 uomini e accusati di atti omosessuali. Circa la metà di costoro vennero condannati e imprigionati. Più di 15.000 furono rinchiusi nei campi di concentramento, dove cucirono sulle loro uniformi dei triangoli rosa – come la stella di David di colore giallo che gli ebrei dovevano indossare -. Alcuni prigionieri indossavano entrambe.
Malgrado il fervore nazista, nessuna legge ostacolava gli omosessuali nel prestare servizio nell’esercito tedesco. Il Partito Nazista temeva che un’esenzione “potesse escludere ben tre milioni di uomini”, aggiunge Giles, il quale sta scrivendo un libro riguardante gli omosessuali e il partito (nazista).
Quando cominciò la II Guerra Mondiale, ”quelli del 175” accusati e condannati, poterono legalmente unirsi alle truppe. Circa in 7000 vennero condannati, ma furono poi costretti a tornare al servizio militare, dove venivano occasionalmente impiegati nelle missioni suicide presso le linee del fronte.
I nazisti distinguevano tra rei che avevano “appreso” il loro comportamento da altri e gli “incorreggibili”, che andavano attivamente alla ricerca di partner. I cosiddetti incorreggibili venivano mandati nei campi di concentramento, e nel 1943 ai responsabili dei campi venne data facoltà di poter castrare gli omosessuali. La mostra include una fotografia di un tavolo operatorio.
“Costoro credevano che gli omosessuali potessero essere corretti”, suggerisce Edward J. Phillips, il curatore della mostra. “Ciò includeva trattamenti ormonali oltre ad altri esperimenti. Inoltre, era diffusa l’opinione che l’omosessualità fosse dovuta allo sviluppo comportamentale e quelli, obbligati a lavorare in condizioni di una dura attività disciplinata, avrebbero potuto superarla”.
Secondo gli storici, il caso di Odeman era inusuale, poiché alcune delle canzoni e delle poesie che questi scrisse nel campo di concentramento mostravano che faceva parte di un gruppo di supporto gay.
Una teoria riguardante la motivazione per cui i gay venissero trattati così malamente nei campi, prevede che questi venissero isolati per paura che potessero raggrupparsi tra di loro, mentre così potevano essere più facilmente vittime dei responsabili dei campi, ipotizza Giles.
Ma perché i nazisti erano degli anti-omosessuali così zelanti? Ci sono state ipotesi riguardo una presunta omosessualità dello stesso Hitler, ma Giles crede che l’attenzione nazista ai gay derivasse dagli stretti rapporti tra gli uomini tedeschi nelle trincee durante la guerra.
“Il rapporto di riferimento per i nazisti veterani era quello della I Guerra Mondiale, e questi, negli anni ’20, cominciarono a riprodurre quel sentimento nel cameratismo”, conclude Giles, “ma tali rapporti potevano sfociare nell’area omoerotica, cioè proprio in quello che temevano”.
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Testo originale: Gay Focus At Holocaust Museum