La storia scomparsa. L’olocausto gay
Articolo di Peter Tatchell* (Gran Bretagna), 30 ottobre 1997, liberamente tradotto da Angela Di G.
A differenza di molti luoghi della memoria dedicati all’Olocausto, il magnifico Museo dell’Olocausto a Washington DC, negli Stati Uniti, si rifiuta di ignorare la persecuzione nazista dei gay. All’entrata del Museo dell’Olocausto di Washington viene consegnato ad ogni visitatore un documento identificativo di una persona che fu vittima di persecuzione durante il regime nazista.
Ogni carta d’identità dà all’Olocausto un viso e contiene la foto della vittima, il contesto familiare da cui proveniva, la ragione per cui fu arrestata e la fine che fece. Per caso, il mio documento fu quello di un uomo gay, Karl Gorath, arrestato nel 1938 dopo essere stato denunciato alla Gestapo da un amante geloso. Imprigionato nel campo di concentramento di Neuengamme, vicino Amburgo, egli sopravvisse solo perché aveva studiato infermieristica e ciò lo rese utile agli occhi dei Nazisti.
Il Museo dell’Olocausto rende testimonianza di quello che fu senza dubbio il periodo più oscuro della storia umana. Affascina e lascia senza fiato allo stesso tempo, risultando piuttosto unico nel suo genere. Mentre mi addentravo nel labirinto di orrori rappresentato dalla carta d’identità di Gorath, mi resi conto che, durante il Terzo Reich, non c’era stata solo la sofferenza di milioni di persone in generale, ma anche il terrore particolare di ogni singolo essere umano.
Venire a conoscenza della persecuzione di Gorath ha aggiunto intensità emozionale alla visita di questo pregevole museo e degli orribili crimini che documenta. L’edificio in sé, progettato da James Ingo Freed, è pieno di allusioni riguardanti i confini dei campi di concentramento. L’eleganza dello stile post-moderno e neoclassico dell’esterno nasconde una più rude architettura interna.
Entrando nell’enorme cortile interno, i visitatori vengono immediatamente colpiti dalla tetra atmosfera di prigionia, data dalle travi d’acciaio dei soffitti e dalle facciate di mattoni tipiche dei capannoni deposito. Questo simbolismo brutale si associa alle stranianti angolazioni della struttura e conferisce al museo un brivido di disorientamento misto a disturbo, che riflette appropriatamente i posti spettrali e gli eventi documentati.
Tale atmosfera vagamente sinistra è mantenuta anche nelle aree espositive, tramite numerose strettoie, create appositamente per costringere i visitatori ad accalcarsi claustrofobicamente, come se loro stessi venissero radunati nei convogli come bestiame, per essere trasferiti nei campi di sterminio.
Il museo documenta l’ascesa e il declino del regime di Hitler attraverso un archivio di filmati, foto personali, memorabilia di vario tipo, incluso un logoro stemma triangolare rosa indossato da un gay prigioniero nei campi di sterminio.
Queste migliaia di reperti tracciano nell’insieme la mappa, comprendente il chi, il come, il quando e il perché, del male più grande che il mondo abbia mai conosciuto. Ricordi della macchina della morte che era il Nazismo sono esposti all’interno del museo in una sequenza agghiacciante, proprio come accadeva nella vita reale durante il Terzo Reich.
Si possono vedere gli oggetti personali che le SS strappavano via dai corpi delle loro vittime prima che venissero prelevati per lo “smaltimento”: orologi, valigie, cappotti, gioielli, scarpe, occhiali – perfino denti e capelli! Nonostante la storia della persecuzione nazista contro gli ebrei predomini, anche la guerra contro omosessuali, zingari, comunisti e altri è una parte altrettanto rilevante della vicenda dell’Olocausto.
I Nazisti cominciarono ad adottare misure restrittive nei confronti dei gay già nel primo mese dall’ascesa al potere di Hitler. I film, le opere artistiche gay a sfondo erotico e le associazioni per i diritti omosessuali furono banditi. In seguito la sede centrale del movimento gay tedesco fu devastata e i libri che conservava furono bruciati pubblicamente. Poco dopo, i bar gay vennero chiusi.
Entro la fine del 1934, fu dato il via all’arresto di massa degli omosessuali e la Gestapo iniziò a compilare la famigerata “lista rosa” di omosessuali destinati ad essere deportati nei campi di concentramento. Reperivano i nomi requisendo le liste dei membri dei locali e delle riviste gay, confiscando le rubriche e le lettere di omosessuali conosciuti e, naturalmente, torturando i gay arrestati finché non facevano i nomi degli altri.
Si stima che, tra il 1933 e il 1945, furono arrestati circa 100.000 omosessuali. Dal momento che i registri sono incompleti, non sapremo mai quanti finirono nei campi di concentramento. Devono essere stati molte migliaia. Nei campi, i prigionieri gay erano trattati come la feccia della feccia, disprezzati dalle guardie SS -ma anche dagli altri detenuti. Erano solitamente reclusi all’interno di speciali unità di punizione e gli veniva assegnato il lavoro più duro. Molti uomini gay venivano letteralmente ammazzati di lavoro, attraverso la combinazione di denutrizione e ritmi di lavoro massacranti.
Uno dei compiti più sadici, tra quelli assegnati ai gay internati nel campo di concentramento di Sachsenhausen, consisteva nel testare la durata di nuove suole sintetiche. Ciò significava che erano costretti a correre per 40 km al giorno senza mai fermarsi, forzati con le bastonate oppure inseguiti da branchi di cani feroci. In base al racconto di un testimone, erano costretti a correre finché non si accasciavano al suolo.
Una ricerca, condotta dal Prof. Ruediger Lautmann dell’Università di Brema, mostra che tra gli internati non-ebrei, la cifra degli omosessuali sterminati è la più alta (53% rispetto al 40,5% di prigionieri politici e al 34,7% di Testimoni di Geova). Tre morti su quattro, riguardanti uomini gay, avvennero durante il primo anno del loro internamento.
Alcuni omosessuali venivano uccisi sistematicamente. Ogni giorno, nel campo di concentramento di Buchenwald, molti tra i più deboli non facevano ritorno dalla cava. Venivano presi in disparte e sparati. Per il “divertimento” delle guardie SS e per precisi obiettivi di eliminazione programmata, ad altri venivano deliberatamente assegnati compiti impossibili. Obbligati a trasportare enormi massi, inevitabilmente collassavano sotto il peso insostenibile. Questi uomini venivano quindi destinati allo sterminio. I prigionieri gay erano anche sottoposti a ignobili esperimenti medici. A Buchenwald, i medici nazisti annunciarono di aver sviluppato un ormone maschile artificiale che avrebbe estirpato l’omosessualità.
Tuttavia, quando lo somministrarono ai detenuti gay, due morirono e gli altri non mostrarono alcun cambiamento nel loro orientamento sessuale. I dottori si vantarono comunque con il capo delle SS, Heinrich Himmler, affermando che “l’impianto, detto 3A, è in grado di convertire l’omosessualità in una condotta sessuale normale”.
Dopo la guerra, questi abusi medici non furono mai citati durante il processo di Norimberga e nessuno dei dottori nazisti coinvolti venne perseguito. I crimini nazisti contro l’omosessualità non devono essere dimenticati. Se non ricordiamo noi le vittime gay, chi lo farà? Molti monumenti, film e musei non menzionano nemmeno la vicenda dell’imprigionamento e assassinio degli omosessuali. Una delle poche eccezioni è rappresentata dal Museo dell’Olocausto di Washington DC. Straziante e sconvolgente, può suscitare lacrime oppure spingere all’azione. In ogni caso, è semplicemente indimenticabile!
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Il capo delle SS Heinrich Himmler sull’omosessualita’
“Tutti gli omosessuali sono vigliacchi; mentono proprio come i Gesuiti… L’omosessuale è un traditore della sua stessa gente e deve essere estirpato”. “Questo squilibrio di due milioni di omosessuali… ha sconvolto l’assetto sessuale della Germania e provocherà una catastrofe”.
“Li sradicheremo come ortiche, ne faremo un cumulo e lo daremo alle fiamme… (questo è) l’annientamento di una esistenza anormale”. “Se continueremo a sopportare questo fardello (l’omosessualità) in Germania… allora sarà la fine della Germania e la fine del mondo germanico”.
“Dobbiamo sterminare questa gente (gli omosessuali) totalmente… Non possiamo permettere ad un tale pericolo di mettere a rischio il paese; gli omosessuali devono essere completamente eliminati”.
Parla un sopravvissuto gay
Nome: Karl Gorath
Data di nascita: 12 dicembre 1912
Luogo di nascita: Bad Zwischenahn, Germania
Crimine: omosessualità
Anno di arresto: 1938
Internamento: Neuengamme & Auschwitz
Liberato: maggio 1945
Karl Gorath nacque nella piccola cittadina di Bad Zwischenahn nella Germania settentrionale. Quando aveva due anni, i genitori si trasferirono al porto di Bremerhaven. Il padre era un marinaio; la madre lavorava come infermiera in un ospedale locale. Gli studi di Gorath in infermieristica vennero improvvisamente interrotti: “Avevo 26 anni quando il mio amante geloso mi denunciò. Fui prelevato da casa in base al paragrafo 175 del codice penale, che definiva l’omosessualità come un atto “innaturale”.
Nonostante questa legge esistesse da alcuni anni, i Nazisti ne ampliarono il raggio e la usarono come giustificazione per l’arresto di massa degli omosessuali. Fui imprigionato nel campo di concentramento di Neuengamme vicino Amburgo, dove i “175ini” dovevano indossare un triangolo rosa”, racconta Gorath.
“Poiché avevo studiato per diventare infermiere, fui trasferito nel sotto-campo di Wittemberg per lavorare nell’ospedale dei prigionieri. Un giorno, una guardia mi ordinò di ridurre la razione di pane dei pazienti prigionieri di guerra polacchi. Io mi rifiutai, dicendogli che era inumano trattare così i polacchi. Come punizione fui spedito ad Auschwitz e, questa volta, invece che essere marchiato come un “175ino”, dovetti indossare il triangolo rosso dei prigionieri di guerra. Ad Auschwitz avevo un amante polacco; si chiamava Zbigniew”.
Gorath fu uno dei fortunati. L’essere riclassificato come prigioniero politico gli risparmiò molta della brutalità spesso inflitta ai detenuti con il triangolo rosa. Nel maggio del 1945, Gorath fu finalmente liberato quando gli Alleati liberarono Auschwitz. Tuttavia, quando si seppe che era stato deportato in base al paragrafo 175, fu ostracizzato e incontrò grosse difficoltà a trovare lavoro. Gorath era sopravvissuto all’Olocausto, ma era ormai un uomo marchiato. (…)
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* Peter Gary Tatchell è un attivista australiano naturalizzato britannico, conosciuto per il suo lavoro in favore del Movimento di liberazione omosessuale. Scrive regolarmente per il ‘The Guardian’ nella sua rubrica online Comment is Free
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Testo originale: Hidden From history – The Gay Holocaust