La storia Transgender. Le radici di una rivoluzione
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Dialogo di Katya Parente con Susan Stryker
È appena arrivato in libreria “Storia Transgender. Radici di una rivoluzione” (editrice Luiss University Press, 2023, 280 pagine), un interessantissimo saggio di Susan Stryker, docente emerita dell’Università dell’Arizona ed autrice del documentario “Screaming Queens: The Riot at Compton’s Cafeteria”.
Raccontaci qualcosa di te…
Ho 61 anni e sono una donna T che ha iniziato il suo percorso di transizione più di trent’anni fa. Sono cresciuta in una famiglia di militari, vivendo in parecchie basi USA in tutto il mondo ma per la maggior parte in Oklahoma. Ho conseguito un Ph.D. in storia americana presso l’University of California-Berkeley nel 1992.
Come lesbica trans dichiarata per un po’ ho avuto difficoltà a trovare lavoro, a causa della discriminazione, ma sono riuscita a racimolare sempre qualcosa con cui vivere grazie alle mie ricerche accademiche, all’attivismo e alla pratica creativa. Col tempo tutto ciò è sfociato in una carriera che mi sta dando molte soddisfazioni.
Per molti anni ho lavorato come direttrice degli archivi LGBTQ di San Francisco e ho curato la regia di un documentario. Alla fine sono diventata professoressa di ruolo di ‘gender studies’ e ho contribuito a fare diventare i ‘transgender studies’ un campo di studio riconosciuto, ho co-fondato la pubblicazione interdisciplinare peer-reviewed “TSQ: Transgender Studies Quarterly“.
Nel 2019 mi sono ritirata dall’insegnamento a tempo pieno e adesso sto lavorando a parecchi progetti di libri e film. Vivo a San Francisco con la mia compagna – con la quale sto da più di vent’anni – e tra tutt’e due abbiamo quattro figli adulti avuti da precedenti relazioni.
L’edizione italiana di “Transgender History” (Storia Transgender – Radici di una rivoluzione) da noi è uscita in questi giorni. Ce ne illustri l’impianto?
All’inizio il libro è stato pensato come testo da usare in classe, parte della collana ‘Feminist Studies‘ dell’editore Seal Press. Sebbene il titolo sia “Transgender History” avrebbe dovuto chiamarsi Transgender History in the US since WWII” (che in italiano suona più o meno “Storia Transgender negli USA dalla seconda guerra mondiale“) l’editore ha voluto “ampliare il territorio” con un titolo più inclusivo e più breve. Comunque penso che il libro sia utile anche in altri contesti nazionali visto che, in misura significativa, le modalità in cui è emersa e si è sviluppata la “questione trans” negli Stati Uniti hanno avuto un impatto globale. Se non altro, il libro dà l’opportunità di confrontare le diverse storie nazionali.
Negli anni ho avuto parecchie discussioni, con gli accademici italiani Vick Virtù e Stefania Voli, membri del MIT di Bologna, riguardo somiglianze e differenze tra la storia trans italiana e quella statunitense. Il libro è già stato tradotto in coreano e spagnolo e so, dalle occhiate ai miei social media e alla pagina di Academia.edu, che il libro è parte integrante delle discussioni sulle tematiche trans.
“Storia Transgender” inizia con un’introduzione scritta da me e prosegue con un primo capitolo riguardante contesti, concetti e terminologia. Un secondo indaga la storia trans dalla metà del XIX secolo alla metà del successivo, mentre il terzo si concentra sul movimento radicale di liberazione trans degli anni ’60.
Segue un capitolo sui contraccolpi degli anni ’70 e ’80, quando è emerso un discorso femminista transfobico insieme ad un aumento della patologizzazione e del controllo sociale delle vite delle persone trans.
Il capitolo successivo esplora la seconda ondata di attivismo trans, dagli anni ’90 all’inizio del XXI secolo, e un ultimo è dedicato al cosiddetto “punto di non ritorno transgender” degli anni 2010 (“The Transgender tipping point” era il titolo originale di un articolo della rivista “Time” con l’attrice Laverne Cox in copertina, per i non anglofoni consigliamo la lettura di un articolo del Corriere della sera), fino al punto in cui si è verificato un altro profondo contraccolpo.
La prima apparizione del libro, negli USA, risale al 2008. Cos’è cambiato da allora?
La prima edizione è decisamente sorpassata, scritta in un periodo in cui pensavo fossimo ancora nel pieno dell’ondata di attivismo iniziata negli anni ’90, che doveva ancora fare il suo corso e il futuro sembrava pronto per ulteriori progressi. Da allora termini e concetti sono piuttosto cambiati, e il futuro è diventato più buio.
La seconda edizione rivista e accresciuta (2017) è quella tradotta in italiano ed è aggiornata a quel periodo; include la storia T fino all’elezione di Donald Trump, e la profonda reazione politica di allora, dove le questioni trans stavano appena iniziando a diventare sempre più militanti nelle guerre culturali.
Credo che il libro possa fornire preziose informazioni di base su come siamo arrivati allo stato attuale delle cose ma, ovviamente, ci sarebbe bisogno di una terza edizione riguardante i profondi cambiamenti degli ultimi sette anni, in particolare i modi in cui un’ideologia anti-gender, che fa da capro espiatorio e prende di mira le persone trans, è diventata una parte così importante della retorica di estrema destra e populista, discorsi e movimenti sociali a livello globale.
Quanto è importante la prospettiva delle minoranze per cambiare la realtà che ci circonda?
Penso sia molto importante. Ed è interessante che tu sollevi la questione della “realtà“. Molto spesso si accusano le persone trans di non essere in contatto con la realtà; che crediamo in qualcosa che sia impossibile che si avveri, che “un uomo può essere una donna o che una donna può essere un uomo“.
Ma ci sono un paio di cose in gioco in questa affermazione cui le vite e le esperienze trans si oppongono. Una è che le persone T dimostrano chiaramente che è possibile per un tipo di corpo biologico sviluppare più di un tipo di identità di genere o senso di sé. Penso che sia come essere mancini: molti corpi umani hanno una simmetria bilaterale, e molte persone sono destrimani.
Ma alcuni di quelli che vivono in un corpo simmetrico, rispetto a questo hanno un orientamento diverso, sperimentandolo in modo diverso rispetto alle altre persone, ma perfettamente funzionanti e funzionali – e poi, ovviamente, così come non tutti i corpi hanno simmetria bilaterale e sono comunque ok, non tutte le persone trans sono binarie.
Vedo tutto questo semplicemente come parte della diversità umana, un modo di essere meno comune che è anche perfettamente routinario e ordinario.
Ma la questione della realtà è più profonda, e porta a quello che i sociologi chiamano la “costruzione sociale della realtà”. Sicuramente ci sono molte cose riguardanti la “realtà” che non sono costrutti sociali – alla gravità non interessa cosa penso di essa.
Ma come una data società intende il significato delle differenze biologiche nella capacità riproduttiva, come usa (o non usa) la biologia per assegnare alle persone categorie che attengono all’individuo, come collega queste pratiche di assegnazione a visioni del mondo o cosmologie scientifiche o metafisiche e come usa ciò che crede della realtà per amministrare e burocratizzare la totalità delle nostre vite e governare popoli e territori è assolutamente e totalmente – al 100% – un “costrutto sociale.”
Così tanto della violenza e del disprezzo nei confronti delle persone trans è radicato in questa “guerra ontologica”. Alcuni di quelli il cui costrutto sociale della realtà considera persone come me un’assoluta impossibilità sono determinati nell’affermare: “questo imperatore non ha vestiti, non ho intenzione di accettare che il loro modo di vedere e le cose in cui credono abbiano una base di verità, e non voglio che mi impongano la loro falsa realtà“.
Ciò rende la questione trans il terreno perfetto per condurre le guerre culturali contemporanee, dove stiamo assistendo a una lotta molto più ampia su quali fatti siano fatti e quali siano “fatti alternativi”, cosa sia realmente accaduto e cosa sia una teoria del complotto. In questo contesto di “post-verità”, la costruzione sociale della realtà è ciò che è in palio in questo momento.
Più studio la storia trans, più sono profondamente convinta che la dimensione del costrutto sociale dominante della realtà che sia impossibile “cambiare sesso” è radicata in ideologie necessarie a sostenere l’ordine mondiale eurocentrico emerso dalla colonizzazione globale post-1492 e profondamente connesso al credo e alle pratiche razziste che hanno usato le differenze biologiche per cercare di legare alcuni corpi in una classe permanentemente schiavizzata o sfruttata – credenze che cercano di trasformare la propria carne in una prigione inevitabile.
Il “determinismo biologico” nella classificazione razziale e sessuale è radicata in una logica carceraria. Secondo il mio modo di pensare, questo non è negare la biologia ma contestare il “biologismo” o l’uso ideologico di qualcosa di fisicamente reale.
Ciò che i movimenti di liberazione trans hanno in comune con gli analoghi movimenti anti-razzisti e femministi è l’asserzione che “la biologia non è destino.” Piuttosto, siamo noi viventi, in comunità con gli altri, a dire cosa significano i nostri corpi realmente esistenti. Questa è in definitiva una questione politica e culturale, legata ai valori che sosteniamo.
Attivismo politico o attivismo culturale, ovvero è nato prima l’uovo o la gallina?
Sono due facce della stessa medaglia. Sono una grande fan del concetto di “rivoluzione molecolare” propugnata da Félix Guattari. Cambiamenti profondi e radicali gorgogliano sempre giusto sotto la superficie, poiché tutti sperimentiamo cambiamenti su piccola scala nelle cose da cui ci sentiamo attratti o da cui ci sentiamo distanti, cose che preferiamo e cose che preferiremmo non sperimentare o che sentiamo estranee.
Penso che la maggior parte di ciò avvenga nel mondo culturale e che le opere d’arte e l’immaginazione possano avere un’enorme influenza nel plasmare desideri e avversioni. E a volte moltitudini di cose su micro scala si allineano tra loro e iniziano a spostare molte persone, allo stesso tempo e nella stessa direzione. La politica è l’arte di attingere a quei movimenti molecolari ammassati, dando loro nomi e storie e accelerando intenzionalmente le loro tendenze.
Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
L’anno prossimo la Duke University Press pubblicherà una raccolta di saggi che ho scritto tra gli anni ’90 e il 2010, curata da McKenzie Wark e intitolata When Monsters Speak. Ho alcuni progetti massmediali a diversi stadi di sviluppo, ma cose di questo genere sono spesso “bolle di sapone” e magari non sempre si concretizzano.
Sto cercando di finire un libro ambizioso, sotto l’egida di uno dei maggiori editori statunitensi, che mescola narrazione storica, autoetnografia, prosa letteraria e teoria culturale.
Nei prossimi due anni piacerebbe fare una terza edizione di “Transgender History”. Viviamo in tempi così precari – ecologicamente, politicamente ed economicamente – e vorrei fare ciò che è nelle mie possibilità per aiutare a rendere il mondo migliore.
Cosa che dovremmo tutti impegnarci a fare. Ringraziamo Susan Stryker per la sua disponibilità, con l’augurio di poter portare felicemente a termine i suoi progetti.
Testo originale: Transgender History. The roots of a revolution