La teologia indecente di Marcella Althaus-Reid
Recensione di Leopoldo Cervantes-Ortiz* del libro Indecent Theology di Marcella Althaus-Reid pubblicata sul blog Lupa Protestante (Spagna) il 10 luglio 2006, liberamente tradotto da Marianna
Come enuncia e puntualizza il sottotitolo (Indecent Theology: Theological Perversions in Sex, Gender and Politics), il libro si sviluppa attraverso vari obiettivi, dal momento che l’autrice manifesta una posizione iconoclasta verso i seguenti punti specifici: il sesso, il genere e la politica nel suo tessuto sociale e ideologico.
L’introduzione chiarisce molto bene gli obiettivi dell’analisi redatta dalla scrittrice messicana Josefina Estrada, mettendo a fuoco la metafora che presiede tutto il libro: le donne che non usano biancheria intima. Questa attitudine provocatoria inonda ogni pagina e si fa sentire fortemente.
Le domande iniziali sono contundenti: “La donna, quando è in giro, deve portare le mutande o no? Deve togliersele, diciamo, quando decide di entrare in chiesa, come raccomandazione più intima della sua sessualità in relazione con Dio?” (p. 11).
Data questa posizione, la teologia, effettivamente, diventa indecente, però non nel senso convenzionale della parola, bensì nella ricerca di un radicale smascheramento, un via i vestiti! via le apparenze! via i falsi atteggiamenti liberatori!
Althaus-Reid lancia un rimprovero a tutta la teologia recente e, dal nocciolo di una teologia eminentemente contestuale (perché l’autrice ha assimilato questa teologia nei suoi anni da studentessa all’ISEDET di Buenos Aires), scuote l’albero delle credenze cristiane occidentali per lasciare il tronco pulito e apprezzare le sue debolezze e le sue possibilità.
In rigorosa continuità con la teologia della liberazione, pone una premessa indiscutibile, che svilupperà fino alle sue ultime conseguenze: “Ci allontaniamo dalla consapevolezza che ogni teologia implica una prassi sessuale e politica, cosciente o meno, basata su riflessioni e azioni sviluppate a partire da determinati codici accettati” (p. 15).
Qualsiasi teologia femminista impallidisce davanti alla profondità delle intenzioni così definite, che nella loro essenza non rivendicano solo un sesso, ma vanno alla radice del problema: la teologia patriarcale ha “contaminato” il nucleo della fede della maggioranza nel matrimonio con ideologie repressive, assolutiste e irrispettose delle sfumature della vita umana.
Per questo, nonostante si consideri debitrice e continuatrice della teologia della liberazione, Althaus-Reid reclama un supremo approfondimento, che in realtà si limiti al potenziale umano espresso nella sessualità invasiva, che definisce tutte le relazioni e pratiche umane, inclusa, naturalmente, la religione. Per quello la sua esigenza è sottolineata con forza: “La teologia della liberazione è da intendersi come processo continuo di ricontestualizzazione, esercizio permanente di un profondo dubbio nella teologia” (p. 17).
Per questo la teologia indecente non cerca di demolire la teologia della liberazione “all’europea, bensì a esplorare a fondo questo circolo contestuale ed ermeneutico di sospetto, mettendo in discussione il modo di fare teologia nel contesto liberazionista tradizionale” (p. 16). La decostruzione teologico-ideologica che mette in atto Althaus-Reid sostiene che l’umanità non si può definire solamente con le sue pulsioni sessuali (Freud), ma piuttosto per i modi in cui la sessualità o le metafore sessuali vincolano le sue pratiche, costumi e abitudini quotidiane.
Di qui la convinzione che il dubbio sia il metodo teologico capace di contestualizzare la teologia liberatrice “per mettere in dicussione i principi ermeneutici che hanno portato in primo luogo i liberazionisti all’indifferenza di fronte alla realtà delle venditrici di limoni [indigene esiliate a Buenos Aires]” (ibidem).
L’inesistente neutralità della teologia, proclamata dai teologi latinoamericani, non è stata contestata dall’attenzione alle realtà umane epidermiche, perché a quelle fanno riferimento le osservazioni così puntuali effettuate dall’autrice. La minuziosità con la quale si sofferma sui comportamenti veicolati dalla sessualità è la condizione ideale per portare avanti con decisione un progetto tanto ambizioso quanto necessario.
Per quanto riguarda i principali punti di riferimento, Althaus-Reid afferma che la teologia indecente è concepita “come continuazione critica della teoria della liberazione femminista mediante un approccio multidisciplinare, che si rifà alla teoria sessuale (Butler, Sedgwick, Garber), alla critica postcoloniale (Fanon, Cabral, Said), agli studi e alle teologie sull’omosessualità (Stuart, Goss, Weeks, Daly), agli studi marxisti (Laclau y Moffe, Dussel), alla filosofia continentale (Derrida, Deleuze y Guattari, Baudrillard) e alla teologia sistematica” (p. 19).
Questo dimostra come sia ampio l’amalgama di punti di vista, risultato di una critica globale e integrale della teologia. Un progetto simile include, come di rado si vede nel campo della teologia, la partecipazione di discipline che dialogano intensamente per raggiungere orizzonti e conclusioni inedite fino ad oggi.
Un tema particolarmente inquietante e pertinente è una possibile spiritualità che incorpori, cosciente e liberamente, gli elementi che contribuiscono alla sessualità. In altre parole, il rapporto quotidiano con Dio non potrà essere lo stesso se si accoglie pienamente la “retorica della sessualità” (Trible) per riferirsi a tutto ciò che ha a che fare con la religione, senza false superiorità né inganni mistici.
I titoli dei capitoli sono provocatori: Proposte indecenti per donne che vorrebbero fare teologia senza biancheria; La Vergine indecente; Cantare oscenità alla teologia; La teologia come atto sessuale; La teologia delle relazioni sessuali; Grandi media economici: Raccontare i processi di erezione globale.
Ognuno sviluppa la sua tematica con un rigore ammirevole, fedele all’intenzione di fornire un input per la lotta, in tutti i fronti possibili, contro le varie perversioni conosciute dal sesso, dal genere e dalla politica; è questo l’obiettivo profondo di questa riflessione, estratto di un’esperienza segnata dal totalitarismo di una “donna latinoamericana cresciuta nella povertà di Buenos Aires”.
* Leopoldo Cervantes-Ortiz, nato a Oaxaca, in Messico, nel 1962, è medico, teologo e poeta, laureato in teologia alla Universidad Bíblica Latinoamericana del Costa Rica e in lettere latinoamericane alla Universidad Nacional Autónoma de México. È pastore presbiteriano e direttore del Centro Basilea de Investigación y Apoyo di Città del Messico, e lavora per la Facultad Latinoamericana de Teología Reformada. È membro della Commissione per la Formazione del Consiglio Latinoamericano delle Chiese e coordinatore di una pagina permanente in lingua spagnola su Giovanni Calvino: www.juan-calvino.org . Ha collaborato alla redazione di un Grande dizionario enciclopedico della Bibbia.
Testo originale: La teología indecente de Marcella Althaus-Reid