La tormentata scoperta della mia omosessualità
Testimonianza di Joey pubblicata sul sito Anxiety Canada il 29 luglio 2020, liberamente tradotta da Chiara Benelli, parte prima
In questo articolo e in quello successivo Joey ci parla di come la sua omosessualità abbia influenzato la sua capacità di trovare una vera rete di supporto e di gestire la propria salute mentale, soprattutto a causa della sua educazione religiosa.
A dieci anni, seduto sulla panca della chiesa, c’era un pensiero che continuava a balenarmi in testa: “Probabilmente andrò all’inferno”. Quando veniva casualmente tirata in ballo l’omosessualità in uno dei tanti sermoni religiosi a cui ho assistito in tredici anni di scuola cattolica, mi voltavo sistematicamente verso i fedeli seduti accanto a me e annuivo, concordando sul fatto che il matrimonio tra persone dello stesso sesso fosse giustamente proibito e che l’unica possibilità per chiunque avesse tendenze “intrinsecamente deviate”, come me, fosse una vita di castità. Ascoltare quei sermoni era davvero dura. Ricordo che mi ribolliva il sangue, mi tremavano le mani, e la sola cosa che volevo fare era correre via e piangere.
Ho iniziato a preoccuparmi del futuro; se crescendo avessi scelto di vivere la mia vera vita apertamente, sarei andato all’inferno? E se così fosse stato, mi sarei dovuto aspettare tutto quel fuoco e quelle catene, come si vedeva in TV? Da bambino già incline a preoccuparsi e fare una tragedia per tutto qual ero – merito anche della mia lotta quotidiana con un disturbo d’ansia generalizzato (GAD) non ancora diagnosticato – lo trovavo un posto decisamente spaventoso, sia da un punto di vista mentale che emotivo. Mi preoccupavo già abbastanza per i compiti, per tutte le occasioni di socialità o quasi e, in generale, per gli eventi futuri. Aggiungere a tutte queste preoccupazioni anche quelle per il destino della mia anima, francamente mi pareva eccessivo.
Gettato in un mondo che aveva che fin da subito imposto restrizioni al mio modo di essere, sono stato costretto a mettere in discussione tutto quello che mi circondava. Con le suddette restrizioni arrivò anche lo stigma. Era indubbiamente qualcosa di cui “non parlare”. Notai che parlarne in un momento sbagliato poteva portare cattive conseguenze, non solo per me, ma per la mia famiglia, specie all’interno della comunità ecclesiastica.
Non potendo parlare apertamente del mio orientamento sessuale, decisi che non avrei nemmeno parlato della mie eccessive preoccupazioni. Era più sicuro tacere e non dire nulla, piuttosto che rischiare di rivelare troppo, anche a persone di cui avrei potuto fidarmi, come i miei genitori.
Considerando che la maggior parte della mia famiglia, dei miei amici e dei miei compagni di classe facevano tutti parte della stessa comunità religiosa, sentivo di non aver nessuno a cui rivolgermi, eccetto le innumerevoli ansie che avevo in testa. Una cosa era la paura di subire un’eternità di pene infernali; altra cosa, se possibile ancor più insopportabile, era – per farla breve – la sensazione di rimanere solo.
Alla ricerca della certezza
Da bambino naturalmente tranquillo e timido qual ero, nei miei primi anni di vita non incontravo abitualmente persone di diversa estrazione sociale. Ma quando sono entrato all’università, mi sono subito reso conto che il mondo andava ben oltre quella ristretta bolla cattolica in cui ero cresciuto. Ho incontrato persone di diverse religioni, provenienza e idee, alcune delle quali non vedevano nulla di sbagliato nel condurre una vita da persona apertamente omosessuale. Ad alcuni di loro, effettivamente, non importava proprio un bel nulla. Pur incrociando sulla mia strada persone tolleranti, non mi convinsi ancora ad aprirmi. La paura di parlarne ad altre persone era diventata troppo grande.
Più passava il tempo e più mi risultava difficile vivere la mia vita senza una vera rete di supporto. Ogni volta che mi sbarazzavo di alcuni dei miei precetti cattolici, avevo sempre l’impressione che il proverbiale tappeto mi venisse tolto da sotto i piedi. Vivevo un costante stato di scetticismo, dubbio e incertezza. Da persona a cui era stato diagnosticato un disturbo d’ansia generalizzato, l’incertezza era particolarmente difficile da sopportare per me. Volevo vedere a tutti i costi il mondo in termini di bianco e nero, così da poter distinguere nettamente il bene dal male e trovare finalmente il mio posto nel mondo, ma l’unica cosa che riuscivo a vedere era uno sterminato vuoto grigio.
Avevo fame di risposte. Leggevo la Bibbia, iniziai a leggere libri e articoli per cercare di comprendere le radici culturali, intellettuali e filosofiche e i contesti storici delle restrizioni e dello stigma che stavo vivendo. Negli anni ho parlato con alcuni leader religiosi (anche all’interno della medesima denominazione), e tutti mi hanno fornito visioni diverse sull’omosessualità. Ma per quanto mi sforzassi, la certezza delle risposte tutte bianche o tutte nere che tanto desideravo non è mai arrivata. Ho continuato invece a sentirmi sempre più solo, e le mie ansie hanno continuato a crescere. Più leggevo e analizzavo, più sorgevano domande, dubbi e isolamento.
Testo originale: Growing Up Gay and Catholic: The Quest for Acceptance