Le persone lgbt, la vedova e la vita solidale (At 9:36-43)
Riflessioni bibliche* di Angela Bauer-Levesque, Alma Crawford e Tat-Siong Benny Liew tratte dal progetto Out in Scripture (Stati Uniti) del gennaio 2007, liberamente tradotte da Giacomo Tessaro
In Atti 9:36-43 troviamo una comunità di seguaci di Cristo composta da un buon numero di vedove. Nel mondo greco-romano del primo secolo le vedove, analogamente alle persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender di oggi, erano emarginate, al di fuori della famiglia patriarcale tradizionale.
Ancora peggio, il loro sostentamento era a rischio, a meno che avessero dei figli che potevano provvedere a loro. A Giaffa un gruppo di vedove ha ovviamente formato e trovato una famiglia alternativa nella comunità dei seguaci di Cristo.
In realtà non sappiamo se Tabità o Gazzella sia una vedova, ma è senza dubbio molto amata da loro. Non sappiamo nemmeno se sia una donna ebrea con un nome greco o una Gentile con un nome ebraico o aramaico. In ogni caso, il fatto che questa donna dall’identità ambigua si sia ammalata e sia morta fornisce l’occasione non solo per un miracolo di vita negli Atti ma anche per riflettere su diverse questioni di particolare rilevanza per le persone LGBT.
– In che modo le persone LGBT vivono la perdita e affrontano la realtà della morte?
Dobbiamo ammettere che è inappropriato, sotto molti punti di vista, “usare” la morte di qualcuno come occasione per qualcosa. Questo è particolarmente vero all’interno delle comunità LGBT, che vivono a stretto contatto con la minaccia – e l’esperienza – della pandemia di HIV/AIDS.
Molti nelle nostre comunità hanno pianto e hanno visto con i propri occhi le persone amate cercare di tirare quel prezioso ultimo respiro senza riuscirci. Dobbiamo anche riconoscere che molti di questi passi di “resurrezione dai morti” costituiscono un’offesa per chi ha pregato su un letto di morte solo per vedere cessare il respiro e il cuore smettere di battere. Non dobbiamo sottovalutare o minimizzare la dolorosa e inevitabile realtà della morte.
Tabità/Gazzella è morta.
Dobbiamo guardarci dalla tentazione di leggere passi come Atti 9:36-43 come il miracolo della vita senza la morte, altrimenti potremmo coltivare così tanto la speranza di alcuni di una guarigione miracolosa da finire per zittire o abbandonare la persona morente. La comunità di seguaci di Cristo di Giaffa non fa così. Essi comprendono il miracolo della vita che si estende oltre la morte.
Non solo si prendono cura del corpo di Tabità/Gazzella ma escono, comunicano la notizia della sua morte a Pietro e gli chiedono di andare da loro a fornire sostegno e aiuto. Come Atti 9:39 ci dice che le vedove piangono e cercano di ricordare Tabità/Gazzella attraverso le vesti che ha confezionato e lasciato dietro di sé, Apocalisse 7:16-17 riconosce la realtà non solo della fame e della sete, ma anche del caldo cocente e delle lacrime versate. La morte e la perdita devono essere vissute appieno, non negate né minimizzate, anche e soprattutto facendo riferimento alla promessa della resurrezione.
In aggiunta alla presenza tangibile degli altri potremmo avere bisogno di una visione, magari di una fantasia, per affrontare e riconoscere il dolore e la perdita della morte. Gli studiosi suggeriscono che la letteratura apocalittica come l’Apocalisse o Rivelazione sia una forma di letteratura fantastica simile al fantasy. Un passo come Apocalisse 7:9-17, con le vesti candide e i rami di palma, dovrebbero ricordare alle persone LGBT come il travestirsi, la recitazione, la creatività, l’invenzione e l’immaginazione hanno aiutato molti di noi nei momenti dolorosi della perdita e della morte.
Non c’è nessun bisogno di rendere inoffensiva la morte e non dobbiamo avere vergogna ad ammettere il nostro bisogno di soffrire e di far fronte alla perdita. La promessa di Dio nel Salmo 22 (23) non consiste solo nel “rinfrancar[ci]” e nel “dar[ci] sicurezza”, ma di farlo attraverso la “valle oscura” e “sotto gli occhi dei [nostri] nemici”.
Al tempo stesso la promessa della resurrezione e della vita eterna ci dà la forza di affrontare la morte e la perdita dei nostri cari. La scena descritta in Apocalisse 7:9-17, con la sua moltitudine “avvolta in vesti candide”, è più di una fantasia e di una promessa per il futuro. Sappiamo, per esempio dalle culture di molte tribù, ma forse anche dalla nostra esperienza personale, delle persone o degli antenati la cui presenza è ancora viva e attiva e rimane nonostante la loro dipartita. Dal modo in cui le vedove di Giaffa hanno reagito alla morte di Tabità/Gazzella si può dedurre con sicurezza che, anche se non fosse stata resuscitata, avrebbe continuato a vivere nella vita e nel ricordo della sua comunità.
– Come concepite la vita oltre la morte? In che modo la vostra fede vi spinge a prendervi cura di chi sta morendo e ad affrontare la vostra morte?
Abbiamo fatto cenno all’identità ambigua di Tabità/Gazzella, tanto in termini socio-economici che etnici. Forse sta con il suo popolo, per così dire; forse è una persona che sta in mezzo a una frontiera, che vede le necessità delle vedove, si identifica con loro e si unisce a loro nella solidarietà e nel sostegno. Ciò che sappiamo di certo su di lei è che è una costruttrice di comunità. Ha fatto parte della vita di queste vedove, confezionando tuniche e altri capi di vestiario.
Atti 9:36 ci dice che “abbondava in opere buone e faceva molte elemosine”. Forse la sua attività di confezionare vestiti è la sua opera buona, il suo modo di collaborare ai bisogni materiali delle vedove. Visto il modo in cui Tabità/Gazzella viene ricordata attraverso il suo lavoro, si può forse fare un collegamento tra le persone vestite di bianco in cielo di Apocalisse 7:9-17 e gli abiti che Tabità/Gazzella confeziona in Atti 9:39.
Che siamo LGBT o etero, che lavoriamo per alleviare i bisogni della nostra comunità o solidarizzando con gli emarginati, è nel dare la vita per gli altri – prestando loro attenzione e provvedendo ai bisogni reali delle persone vulnerabili – che le nostre vite progrediscono. Gesù, in risposta alla richiesta di rendere nota la sua identità in Giovanni 10:22-30, asserisce che le sue opere testimoniano della sua identità e della sua credibilità. Similmente, le nostre opere – in particolare quando diamo la vita per coloro che sono come morti, all’interno o al di fuori della nostra comunità – non solo costituiranno la vera storia della nostra vita, ma determineranno se questa storia continuerà oltre la nostra morte.
– Come possiamo vivere alla luce della morte?
Assicurandoci sulla vita al di là della morte, i nostri passi di oggi, in particolare Giovanni 10:28-29, Atti 9:36-43 e Apocalisse 7:9-17 in effetti affermano l’inevitabilità e il carattere definitivo della morte. La pandemia di HIV/AIDS ha aiutato molte persone LGBT ad affrontare l’inevitabile. Come il Gesù di Giovanni è sempre consapevole che “l’ora” della crocefissione è venuta (vedi Giovanni 2:4, 7:30, 8:20, 12:23,27), molti LGBT hanno imparato a vivere la vita in modo pienamente presente invece di essere preoccupati solamente per il futuro.
Questo ha permesso a molti di sfidare le convenzioni della società dominante e di vivere al suono di una musica diversa. Essere pienamente presenti ci libera e ci rende più forti per porre la nostra fiducia e vivere le promesse del Salmo 22 (23) così da investire nella buona opera di dare la vita in solidarietà e in sostegno ai bisognosi. Se facciamo così, la promessa è che gli altri continueranno a sperimentare “felicità e grazia” anche molto tempo dopo la nostra dipartita (versetto 6).
La nostra preghiera
Leggete in silenzio o ad alta voce la poesia di David Whyte “Autoritratto”. Lasciatevi trasportare nella preghiera o nella meditazione.
Non mi interessa se c’è un solo Dio
o molti dèi.
Voglio sapere se ti senti accolto o abbandonato.
Se puoi conoscere la disperazione o la vedi negli altri,
voglio sapere
se sei preparato a vivere nel mondo
con la sua dura esigenza
di cambiarti. Se puoi guardare indietro
con lo sguardo fermo
e dire io sto qui. Voglio sapere
se sai
come fonderti a quel feroce calore del vivere
mentre cadi verso
il centro della tua brama. Voglio sapere
se sei disponibile
a vivere, giorno dopo giorno, con le conseguenze
dell’amore e l’amara
indesiderata passione della tua sicura sconfitta.
Ho sentito che, in quel feroce abbraccio, anche
gli dèi parlano di Dio.
David Whyte, from Fire in the Earth www.davidwhyte.com
* I brani biblici sono tratti dalla Versione della Conferenza Episcopale Italiana
Testo originale: Easter to Pentecost Year C