La vedova, il giudice e il grido di coloro che soffrono (Lc 18,1-8)
Riflessioni di José Antonio Pagola tratte da cristianosgays.com del 17 ottobre 2010, liberamente tradotte da Dino
Il giudice senza scrupoli, il capo insuperbito, il “fariseo” che si crede buono in confronto al pubblicano… tre facce della stessa medaglia: quella di chi vive alle spalle della sofferenza umana e si rifiuta di concedere ad essa ciò che le spetta di diritto…
La parabola della vedova e del giudice senza scrupoli è, come tante altre, un racconto aperto capace di suscitare differenti reazioni in chi lo ascolta.
Secondo Luca è un’esortazione a pregare senza scoraggiarsi, ma è anche un invito ad aver fiducia che Dio farà giustizia a chi lo invoca giorno e notte.
Cosa può smuovere oggi in noi questo drammatico racconto che ci ricorda tante vittime ingiustamente abbandonate alla loro sorte?
Nella tradizione biblica la vedova è il simbolo per eccellenza della persona che vive sola e abbandonata.
Questa donna non ha marito né figli che possano difenderla. Non può contare su appoggi né raccomandazioni.
Ha soltanto nemici che abusano di lei, e un giudice senza religione né coscienza al quale non importa della sofferenza di nessuno.
Ciò che chiede la donna non è un capriccio. Invoca soltanto giustizia. Questa è la sua protesta ripetuta con fermezza davanti al giudice: “Fammi giustizia”.
La sua richiesta è quella di tutte le persone oppresse ingiustamente. Un grido che è in linea con ciò che Gesù diceva ai suoi: “Cercate il regno di Dio e la sua giustizia”.
E’ certo che Dio ha l’ultima parola e farà giustizia a chi lo invoca giorno e notte. Questa è la speranza che Cristo ha acceso in noi, resuscitato dal Padre da una morte ingiusta.
Ma, nell’attesa che quest’ora arrivi, non cessa il clamore di quelli che vivono gridando, senza che nessuno ascolti il loro grido.
Per la maggior parte dell’umanità la vita è un’interminabile notte di attesa. Le religioni predicano la salvezza. Il cristianesimo proclama la vittoria dell’Amore di Dio incarnato in Gesù crocifisso.
Nel frattempo milioni di esseri umani sperimentano soltanto la durezza dei loro fratelli e il silenzio di Dio.
E molte volte siamo noi stessi credenti che nascondiamo il Suo volto di Padre coprendolo col nostro religioso egoismo.
Perché la nostra comunicazione con Dio non ci fa finalmente ascoltare il clamore di quelli che soffrono ingiustamente e in mille modi ci gridano: “Fateci giustizia”?
Se con la preghiera ci incontriamo veramente con Dio, perché non siamo capaci di ascoltare con maggior forza le richieste di giustizia che arrivano fino al suo cuore di Padre?
La parabola pone interrogativi a tutti noi credenti. Continueremo a dedicare energie alle nostre devozioni personali dimenticando chi vive nella sofferenza?
Continueremo a pregare Dio per metterlo al servizio dei nostri interessi, senza dare molta importanza alle ingiustizie che ci sono nel mondo?
E se invece pregare consistesse in realtà dimenticarci di noi e cercare con Dio un mondo più giusto per tutti?
Testo originale: El clamor de los que sufren (Lucas 18,1-8).