«La vera famiglia è quella che mi accoglie». Una riflessione teologica sulle coppie gay
Articolo del 7 marzo 2013 di Sergio Rostagno pubblicato su sito vociprotestanti.it
La discussione sulle coppie omoaffettive e sui loro diritti si avvale spesso della formula biblica di Genesi 1, 27: «E Dio creò l’uomo a sua immagine: ad immagine di Dio lo creò, maschio e femmina li creò». Inoltre fa riferimento alla Costituzione italiana art. 29 c.1: «La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio.»
Non dimentichiamo però anche Matteo 12,49 : «E indicando con la mano i suoi discepoli, [Gesù] disse: Ecco mia madre e i miei fratelli.»
La famiglia tradizionale viene di solito dichiarata naturale perché fondata sull’unione di maschio e femmina. Vogliamo discuterne anche in sede teologica?
Nella teologia del XX secolo si può trovare l’affermazione secondo cui la costituzione umana nella forma del maschio e femmina ha un valore programmatico e fondamentale; si indica questo con una parola tedesca (Grundverfassung) che vuol dire: costituzione fondamentale del genere umano. Essere maschio e femmina è un dato fondamentale dell’umanità.
Tale affermazione pare appoggiarsi su una ovvia constatazione empirica, dato che l’animale uomo ha una discendenza perché esiste maschio e femmina. Si può inoltre ritenere ovvio che l’unione di maschio e femmina sia in qualche modo connessa con il fatto che la specie umana esista in forma maschile e femminile.
A questa «forma fondamentale» sembra che la Costituzione faccia riferimento, ritenendo il «matrimonio» come una conseguenza ovvia del fatto che l’essere umano sussiste in due sessi. Bisognerebbe indagare i verbali della Costituente. La famiglia è dunque una conseguenza, perché appare fondata sul matrimonio di due esseri umani di sesso diverso. Ogni altra unione non può pertanto essere considerata famiglia, non almeno in questo senso – sostengono molti in base a Cost. 29, 1.
Ora a proposito di ciò che è fondamentale si può fare una duplice osservazione:
a) Genesi 1, 27 può anche voler dire che l’essere umano ha la sua essenza costitutiva non in una autofinalità, e neppure in un riscontro metafisico, in un assoluto comunque definito, ma nella reciprocità. Non è insomma fine in sé, ma rapporto aperto e quindi indeciso. A prova di tale visione il testo invoca la sussistenza nei due sessi. Ma la «forma fondamentale» è nella reciprocità (carne della mia carne: Genesi 2, 23; non è bene che Adamo sia solo: 2, 18), più che nella sessualità in sé. Non tutti lo ammetteranno, ma la cosa appare sostenibile. Se noi diamo alla reciprocità e quindi alla diversità (che può sussistere anche tra omosessuali) un valore primario, di cui la duplice sessità sarebbe solo una, per quanto la più diffusa, applicazione, allora ci si può chiedere se ciò che la Costituzione pretende essere ovvio, sia così ovvio, vista l’evoluzione del problema in Europa occidentale e in USA per esempio.
b) Si può inoltre obiettare a chi voglia fare della famiglia tradizionale un dato naturale e perciò fondamentale, in primo luogo che tra naturale e fondamentale non sussiste nessun rapporto evidente (uno non è fondamento e non fornisce cognizione sicura dell’altro); in secondo luogo che anche Gesù, richiesto “chi sia la sua famiglia”, risponde indicando i discepoli. Questo gesto indica che la reciprocità, nella visione di Gesù, può essere più fondamentale che la familiarità.
Per i motivi suddetti concludiamo: Il fatto di dare maggior valore programmatico alla reciprocità, comprendendo anche l’atteggiamento delle Coppie omosessuali, relega in second’ordine il dato biologico del sesso. Come insegna Dickens (Davide Copperfield) la vera famiglia è quella che mi accoglie, mi offre affetto e mi instrada per essere adulto, ecc. Il che, dopotutto, potrebbe anche essere la famiglia «cristiana» più «naturale» che ci sia, abbia o no i due sessi.
Del resto tutta la cultura dei romanzi ottocenteschi può essere una illustrazione della preferenza per la liberazione da vincoli – paternalistici, legalistici, ecc. – giudicati oppressivi. È una cultura «fondata» sull’emancipazione. Tale cultura ha un parallelo facile da dimostrare nel pensiero biblico (e anche molto vicino al movimento della teologia degli ultimi due secoli).
Soltanto dopo che ciò sia acquisito, affermato e confermato, sarà concesso passare a una critica della famiglia e rilevare, in essa o in suoi componenti, condizioni, difetti, comportamenti, abitudini da mantenere o da correggere. Tuttavia i difetti, essendo generali e molto umani, non sono da far dipendere specificamente da questa o quella abitudine sessuale.
Chi li volesse riservare in linea di principio a un «tipo» sessuale sarebbe inoltre pericolosamente vicino a sessismo e razzismo. Chi volesse derivare il proprio pensiero da dati assunti come «naturali» dovrebbe approfondire a che cosa egli si vincola e pretende di vincolare altri.