La verità vi farà liberi. A Parma la nostra veglia per il superamento dell’omotransfobia
Testimonianza di Antonio De Caro del gruppo Spiritualità Arcobaleno di Parma
Fix me, Jesus significa “riparami, Gesù”. È il titolo di una bellissima canzone tratta dalla colonna sonora del film Joyful Noise. La cantante ha una voce intensa, vibrante, da gospel. Abbiamo scelto così di iniziare la nostra Veglia di preghiera, a Parma, chiedendo al al Signore di prendere su di sé le nostre fragilità, le nostre sofferenze, i nostri errori, e di risanarci.
Anche quest’anno la Veglia si è svolta, come in passato, presso la Chiesa Evangelica Metodista, che accoglie con amore le nostre iniziative. La porta aperta della chiesa significa che siamo attesi, che siamo i benvenuti. E che tutti, giovani e anziani, eterosessuali e LGBT+, persone in ricerca, possiamo trovare consolazione, ristoro e illuminazione in compagnia di Gesù, che ci ripara. Questo vale anche per chi ancora non è capace di amare, quindi anche per chi pensa o agisce con odio omofobico. Gesù può riparare anche te.
Nella prima parte della Veglia abbiamo letto e commentato, dal libro della Genesi, la visita degli angeli alla casa di Lot, a Sodoma e la violenza dei sodomiti (19.1-13). Grazie ad un autorevole commento esegetico, abbiamo avuto l’opportunità di capire che il peccato dei sodomiti non riguarda in alcun modo l’omosessualità, ma l’abuso sessuale come forma di violenza contro lo straniero; contro chi, inerme, cerca rifugio e protezione. È questo il peccato che reclama giustizia al cospetto di Dio, poiché è una ferita contro la comunità umana. Tale interpretazione, suffragata anche da altri passi dell’Antico e del Nuovo Testamento, ristabilisce una notevole coerenza etica all’interno della Scrittura, poiché anche gli altri peccati che secondo la Tradizione “gridano vendetta al cospetto di Dio” (omicidio volontario, oppressione dei deboli, defraudare il compenso ai lavoratori) mettono a fuoco comportamenti violenti e distruttivi di un essere umano contro altri esseri umani.
Ci è sembrato giusto meditare su questa corretta interpretazione della Scrittura, dato che comprenderne il vero significato ci libera da quelle interpretazioni false e distorte che condannano l’omosessualità in quanto “sodomia”. La vera sodomia, invece, consiste nella violenza contro i deboli, i rifugiati, gli stranieri. Curiosamente, se si legge con attenzione il passo, si ha l’impressione che l’assalto dei sodomiti alla casa di Lot sia condotto proprio con modalità “squadriste” (tanti contro uno, la forza bruta contro il dialogo…); e ancora più curiosamente, spesso le fazioni politiche più severe contro la sodomia (fraintesa come omosessualità) sono anche xenofobe e intolleranti contro gli stranieri. Cioè sono sodomite…
È stato poi il momento delle testimonianze. Quest’anno abbiamo scelto non di leggere testimonianze -per quanto autentiche e toccanti- scaricate da Internet, ma di far parlare persone vive, reali, con la loro esperienza autentica.
Djane ha così raccontato la sua storia dolorosa di donna che, scopertasi omosessuale, ha dovuto lasciare il suo Paese in Africa, dove non sarebbe stato possibile parlare di sé, né chiedere accettazione, né cercare una relazione; ed è arrivata in Italia con la viva speranza di trovare una comunità accogliente e sicura, dove potere studiare, lavorare ed amare con libertà e dignità. Djane ha parlato in francese: ma più che le sue parole, ha colpito il suo sguardo, ferito ma pieno di forza e di dolcezza. La presenza di Djane ci ha permesso di comprendere che siamo tutti migranti, tutti in cammino verso una dimensione di vita che solo l’amore e l’accoglienza possono rinnovare. La sua testimonianza è stata seguita dal brano di violino che rappresenta il tema musicale di Schindler’s List e quindi esprime la compassione per le vittime di tutte le discriminazioni.
Successivamente, ci hanno presentato la loro esperienza un papà e una mamma, che avevano sempre vissuto una fede cattolica intensa e severa, all’interno di una comunità in cui sembrava regnare un assoluto ordine morale. La loro vita è stata cambiata quando il loro figlio ha rivelato la propria omosessualità: gli altri membri della comunità hanno isolato la famiglia, che si è ritrovata sola e confusa, nella necessità di gestire questo cambiamento così inatteso. I genitori, tuttavia, hanno gradualmente compreso che una fede che si manifesta nel rifiuto dell’altro, nell’abbandono e nella condanna non può scaturire dal Dio dell’Amore; e hanno scelto di rimanere accanto al loro figlio e di condividerne tutte le sofferenze. La verità (cioè il coming out del figlio) li ha resi liberi, cioè capaci di amare in modo autentico e costruttivo, e di cercare una fede ed una comunità gioiose e misericordiose, coerenti con il volto di Dio rivelato in Gesù Cristo. Sono così approdati al gruppo della parrocchia Regina Pacis di Reggio Emilia e al gruppo Davide di Parma, dove continuano il loro cammino offrendo a tutti la consolazione e la speranza che hanno trovato.
Hallelujah di L. Cohen ha introdotto la lettura del Vangelo di Giovanni (8.28-36), da dove è stato tratto il versetto La verità vi farà liberi. Il Vangelo è stato proclamato da un presbitero cattolico e poi è stato commentato dalla ministra della Chiesa Evangelica Metodista. Un segno straordinario di comunione, che rivela come nell’Amore autentico del Vangelo possiamo superare le divergenze e farle diventare invece differenze che arricchiscono tutta la comunità.
Il sermone sul Vangelo ha colto, nell’omofobia, la caratteristica negativa del giudizio e della condanna. Giudicare e condannare i fratelli crea una comunità incoerente con il messaggio di perdono e fiducia annunciato da Gesù Cristo. È una forma di violenza che a sua volta genera odio e divisione: soprattutto, aggredisce e frantuma l’autostima delle persone più fragili, impedendo loro un sereno percorso evolutivo e soffocando in loro la piena e libera dignità di creature umane. L’unica verità che Gesù ha da offrire è il Suo amore per noi, che ci rende figli e non schiavi, e per questo ci permette di rimanere nella casa del Padre.
Il silenzio seguito al sermone ha poi permesso l’emergere delle riflessioni e delle preghiere spontanee. La comunità ha in tal modo espresso che cosa significhi, per chi è vittima di discriminazione omofobica, la verità vi farà liberi. Significa non negare se stessi, non cadere nella trappola dell’omofobia interiorizzata che condanna e avvelena dall’interno ogni espressione dell’individuo. Significa combattere ogni tentativo di chi vorrebbe forzare l’identità delle persone con il pretesto di “guarirle”; significa smettere di vivere nella finzione. Molti di noi sanno bene come si vive quando si è “spaccati” dentro, per il desiderio disperato di aderire ad un’identità che non è la propria; e molti, anche se non arrivano realmente al suicidio, imparano giorno per giorno a odiare se stessi e a ritenersi indegni dell’amore di Dio e della propria comunità. Questo fa l’omofobia, anche quando le persone LGBT scelgono loro malgrado una relazione eterosessuale, cui non appartengono, e condannandosi alla disperazione di una vita interiormente ed esteriormente infelice.
Abbiamo invece chiesto al Signore di essere una comunità aperta, gioiosa, piena di fiducia nella bontà del Padre che nulla disprezza di quanto ha creato, poiché ama la vita. Abbiamo chiesto, per i ragazzi e le ragazze LGBT, il dono dell’armonia interiore, che accorda le risorse della persona (corpo, mente, emozioni, spirito) e le permette di fiorire, cioè di amare ed essere amata, di generare pace e forza per sé e per gli altri. La verità ci fa liberi quando accettiamo da Dio il dono di essere quello che siamo e, con l’aiuto di una comunità accogliente, impariamo ad amare certi della bellezza di quello che siamo e che possiamo fare per gli altri, anche all’interno di una relazione di coppia.
In conclusione, ci siamo sciolti i polsi dallo spago opaco con cui ci eravamo legati all’inizio, poiché la verità dell’amore ci ha liberati; e abbiamo preso su di noi i colori dell’arcobaleno, segno dell’alleanza amorosa fra Dio e l’umanità, resa bella dalle sue differenze.
Il sottofondo questa volta è la canzone Fix you (“Ripararti”), dei Coldplay: perché il Signore ci ha ascoltati ed è capace di ripararci, come gli abbiamo chiesto all’inizio.
È stata una Veglia semplice, ma intensa. Sento il vivo desiderio di ringraziare di cuore la Chiesa Evangelica Metodista di Parma, che ospita il gruppo Spiritualità Arcobaleno e ha accolto, anche quest’anno, la preghiera per le vittime dell’omofobia con generosità, sostegno e cura pastorale. Ringrazio il gruppo Davide di Parma, che con noi condivide talvolta l’esperienza dell’esilio e del rifiuto, ma ciononostante sa ancora offrire, a genitori e figli, conforto, sostegno e luce nella ricerca del progetto di Dio. Ringrazio il Comune di Parma che ha promosso ed accompagnato con leale favore la Veglia, cogliendone, al di là del valore confessionale, il messaggio di comunione e pace, rivolto a tutte e a tutti.
Affidiamo al Signore ogni buona intenzione, ogni dolore, ogni speranza. Soprattutto quella di essere, un giorno non troppo lontano, compresi e accolti anche dalla Chiesa Romana.
Perché katholikoi lo siamo già, tutti, uniti nell’abbraccio universale di Dio.