La visione dei cristiani Ortodossi sull’omosessualità
Riflessioni a cura di M.
Jean-Claude Larchet è un noto patrologo ortodosso francese appartenente al patriarcato di Serbia. Autore di numerose opere teologiche e spirituali d’alto livello (in Italia è quasi sconosciuto) è senz’altro una delle personalità di spicco e il suo parere è decisamente autorevole, non essendo unicamente personale ma ecclesiale.
Riporto in traduzione una sua recensione su un recente libro, scritto da un sacerdote ortodosso romeno in Francia, riguardo all’omosessualità. Abbiamo l’opportunità di vedere cosa ne pensa l’uno e l’altro, dal momento che nel mondo ortodosso possono esserci approcci differenziati.
Se da un lato Jean-Claude Larchet rivela inconsistenze e fragilità nel pensiero teologico e antropologico del sacerdote romeno (fragilità e confusioni assai diffuse pure nel pensiero religioso occidentale e cattolico), dall’altro pone il discorso sull’omosessualità su un piano molto rigido: l’omosessualità viene classificata tout-court come una patologia, una malattia, con possibili nefaste ripercussioni nella società.
Il patrologo francese, mantiene intatti i principi sui quali dipana il suo discorso: principi ascetici anche condivisibili da un cristiano ma uniti a passi biblici letti in modo letteralistico e a passi patristici forse decontestualizzati poiché sicuramente lontani culturalmente dalla nostra sensibilità attuale.
Con questi principi intatti, non fa alcuna differenza tra il libertinismo sessuale (come poteva esserci pure anticamente) e una pratica sessuale in un quadro monogamico di affetto fedele.
Il relativismo etico del mondo odierno è un dato di fatto ma non è per relativismo che un omosessuale desidera avere una relazione d’amore. Non è per aver “scelto” di essere omosessuale che desidera amare in questo modo. Si ritrova così e cerca il modo e il senso migliore per viverlo.
Queste prospettive non sono considerate. Pur di sottolineare eventuali comandi di Dio nella Bibbia su questo tema, pare dimenticarsi che la stessa Scrittura è stata scritta da uomini e subisce la cultura del tempo in cui è stata scritta.
Questa rigida visione si scontra contro un’altra evidenza: il libertinismo sessuale e ogni genere di libertinismo sconsiderato non sono necessariamente in relazione con l’omosessualità come l’autore pare suggerire, ponendola in un elenco di mali che affliggerebbero il mondo presente e minerebbero le fondamenta della famiglia tradizionale.
D’altra parte, se uno pensa che Jean-Claude Larchet sia ingenuo si sbaglia: capisce benissimo che anche un omosessuale può essere animato da altruismo e abnegazione (caratteristiche vere dell’amore), cosa che il prete rumeno da lui criticato non pare affatto riconoscere, accontentandosi di un giudizio tanto sommario quanto pacchianamente ingiusto.
Ma, nonostante ciò, non attribuisce a questo affetto alcuna valenza positiva mostrando che la vera soluzione sta nella pratica ascetica, nell’abnegare questi sentimenti (visti semplicemente e solo come passioni). La conclusione della sua recensione, con la citazione del patriarca di Mosca, corona alla fine questo tipo di pensiero. Ancora oggi, in questo Cristianesimo, animato in buona parte da una visione molto tradizionale, all’omosessualità non è concessa alcuna espressione. Sarebbe interessante se, in luogo di un teologo eterosessuale, pur stimabile e rinomato, parlasse un omosessuale ortodosso. Infatti, spesso, parlano di omosessualità solo le persone che non ne sono coinvolte con tutti i rischi del caso.
Mi sembra significativo proporre questa traduzione, che mostra effettivamente quale sia la tendenza prevalente nell’affrontare l’omosessualità da parte dell’Ortodossia oggi.
Marc-Antoine de Beauregard, “Regard chrétien sur l’homosexualité”. Articolo di Jean-Claude Larchet*
Pur restando assai minoritaria, l’omosessualità da decenni diviene sempre più evidente, si diffonde e si banalizza nelle nostre società occidentali, a causa:
1) della propaganda attiva delle associazioni e delle lobby omosessuali;
2) della volontà dell’ideologia liberale (di destra e soprattutto di sinistra), in nome di una certa concezione di libertà e di uguaglianza, nel fare un istituto che sfrutti tutte le possibilità e tutte le assicurazioni previste dalla Legge che supporta le coppie sposate e le famiglie;
3) dell’appoggio dei media, soprattutto televisivi che, per ragioni di audience, valutano le minoranze devianti, sia nei reportages che nelle serie televisive e danno l’illusione della loro rappresentatività;
4) di un’ideologia filosofica (la “teoria del gender” o di genere), assai diffusa per la quale è la scelta dell’individuo e non la sua natura a definire il sesso.
Questo movimento nel suo insieme intende decolpevolizzare gli omosessuali ma, al contrario, colpevolizza coloro che non accettano di riconoscere l’omosessuale come una forma normale di sessualità per cui ogni critica sull’omosessualità e sulle rivendicazioni proprie agli omosessuali vengono tacciate di “omofobia”, una sorta di amalgama che si è dimostrata in altri settori.
Già al tempo del precedente governo in Francia, le associazioni omosessuali hanno ricevuto dal Ministero della Pubblica Istruzione il privilegio di entrare nelle scuole elementari per insegnare ai bambini con cartoni animati di animali, la normalità delle relazioni d’amore tra esseri dello stesso sesso; la “teoria del genere”, secondo la quale l’essere umano si definisce più per il suo orientamento sessuale personale che per la sua identità sessuale naturale, è stata introdotta ufficialmente nei licei francesi nel 2011 nei manuali SVT (scienze della vita e della terra) della classe di prima, benché, a rigor di termini, non c’entri nulla poiché si tratta di una teoria filosofica che non ha alcun carattere scientifico. Gli adolescenti che, al giorno d’oggi e in molti casi, sono senza punti di riferimento religiosi e morali, giungono a considerare l’omosessualità come il termine di un’alternativa il cui altro termine è l’eterosessualità.
Questi due termini sono ugualmente possibili e legittimi e si offrono entrambi, a priori, alla loro scelta. La parola “eterosessualità”, che designa la sessualità normale, è stato posta per farla sembrare come opzionale all’omosessualità, così come la parola “eteropaternalità” viene diffusa per rivelare la parentela normale (di un padre e una madre) come una semplice opzione. Sono introdotte deliberatamente altre variazioni di vocabolario per cambiare gli atteggiamenti (ad esempio, “genitori”, invece di “padre e madre”, “famiglie” invece di “famiglia” per includere con questi concetti gli pseudo-genitori e le pseudo-famiglie formate da coppie dello stesso sesso …).
Il matrimonio omosessuale e la possibilità per le coppie omosessuali d’avere figli (per adozione o per la riproduzione assistita attraverso l’uso di madri surrogate) sono già divenute istituzioni in diversi paesi e sono in procinto di divenirlo in Francia, facendo così correre alla società il grave rischio d’una distruzione della cellula familiare sulla quale essa è fondata.
Una moltitudine di bambini acquisiti artificialmente e cresciuti da due genitori dello stesso sesso subiscono significativi disturbi psicologici (mancanza di beneficio dal rapporto psico-emotivo e spirituale inerenti alla gravidanza e alla filiazione naturale, non riuscendo ad avere nella loro crescita psicologica, modelli d’identificazione maschile e femminile per costruirsi).
La legittimazione dell’omosessualità non è certo nuova: è esistita nella società greca e romana antica in cui l’omosessualità era più diffusa e comune che nelle moderne società occidentali e dove gli dei ci offrono pure degli esempi.
Ma questo non è qualcosa che ci possa rassicurare: il movimento attuale rappresenta un ritorno al paganesimo delle società pre-cristiane. Altri fatti lo testimoniano attualmente, promossi dalla stessa corrente ideologica che in alcune sue componenti non nasconde la sua ostilità al cristianesimo e alle religioni che hanno come riferimento l’antropologia biblica.
Legalizzazione (e quindi legittimazione sociale) dell’omosessualità, dell’eutanasia, delle droghe leggere e distribuzione dei sostituti delle droghe pesanti, hanno lo stesso effetto per gli organismi riconosciuti dallo Stato, proprio come la facilitazione e la normalizzazione dell’aborto e la promozione della cremazione.
Fanno parte dello stesso piano, applicato gradualmente (i protagonisti di ciò parlano ogni volta di un “progresso”), non solo in Francia, ma nella maggior parte dei paesi occidentali, e sostenuto dalle istituzioni europee e internazionali. Mirano a minare i valori cristiani che sono ancora il fondamento della nostra civiltà per creare, invece, un “nuovo ordine” e anche una “nuova religione” (come spiegato di recente in modo chiaro dal Ministro della Pubblica Istruzione Vincent Peillon), dove la libertà di fare tutto, il desiderio e il godimento individuale hanno la precedenza su tutti gli altri valori. Non ci sono che i cristiani per constatare la deriva della moderna civiltà occidentale. Si legga, ad esempio, l’analisi del filosofo americano Christopher Lasch nel suo lavoro fondamentale “La cultura del narcisismo”.
Nel dibattito attuale sull’istituzione del matrimonio gay e la possibilità offerta dalla legge a coppie omosessuali di “avere” ed allevare dei figli, la riflessione proposta dal padre Marco Antonio Costa de Beauregard, decano delle parrocchie di Francia della Metropoli ortodossa romena, è particolarmente provvidenziale anche perché se i cattolici hanno prodotto una vasta letteratura su questo argomento, pochi ortodossi ne hanno finora parlato.
Questo piccolo libro (« Regard chrétien sur l’homosexualité » di Antonio Costa de Beauregard, Éditions de L’Œuvre, Paris, 2013, 127 pagine) ha tre parti.
Il primo prende in esame “il senso teologico della differenza sessuale”, il secondo “l’omosessualità e la legge biblica,” e il terzo l’ “attività pastorale della Chiesa”. Si possono approvare il significato generale e gli intenti dell’autore, che offre un’ampia riflessione, approfondita, contemporaneamente aperta e ferma, interessante, sovente originale.
La prima parte, che mira a chiarire i fondamenti teologici e antropologici della differenza sessuale, tuttavia, è assai confusa. Volendo fondare la dimensione sessuale dell’antropologia sulla teologia stessa, l’autore si sbaglia poiché, le persone e la natura divina sono estranee alla sessualizazione, ed è oltrepassando la sessualizzazione che l’uomo si trova pienamente unito a Dio (cfr Gal 3, 28: “In Cristo non c’è né maschio né femmina”).
Nell’espressione della Genesi (1, 27: “E Dio fece l’uomo a immagine di Dio, lo fece maschio e femmina”, “maschio e femmina li fece” non è preceduto da due punti (come in questo autore p. 23). Questa non è una spiegazione del concetto d’immagine, ma un’altra affermazione che aggiunge a quella precedente un altro piano. Differentemente, significherebbe che l’immagine di Dio si riduce alla differenza sessuale, il che è assurdo, sia in relazione a Dio sia in relazione all’uomo. Dire che “l’alterità sessuale, che suggerisce l’alterità delle persone, iscrive l’alterità delle Persone divine in immagine nella natura creata” (p. 23), o che “nella diversità ontologica [della differenza sessuale], contempliamo il sigillo della diversità divina” (p. 24), o che “l’unità-diversità naturale è l’immagine
dell’unità-diversità delle Persone divine o umane” (p. 25), o che “Dio ha dato la differenza sessuale all’umanità per rivelargli i sensi della differenza ontologica tra lui stesso ed essa ” (p. 29) non ha assolutamente senso, poiché la diversità e l’alterità delle persone divine e umane si fondano nell’uno e nell’altro caso su altri criteri rispetto alla sessualità e sono conosciute, percepite e sentite senza di essa.
Dire che nel matrimonio, Cristo si fa l’ipostasi divina delle ipostasi umane degli sposi (p. 31) è semplicemente un errore dogmatico. Molti altri argomenti dell’autore paiono sopravvalutati e discutibili, in ragione, soprattutto, di una mancanza di rigore nell’uso dei concetti teologici e antropologici cristiani di “natura” e “ipostasi” o “persona”, in relazione alla loro differenziazione sessuale.
Nella seconda parte, l’autore osserva giustamente il divieto biblico dell’omosessualità (cfr. in particolare Genesi 19, 7; Levitico 18, 22, 20, 13, Romani 1, 18-32, ai quali avrebbe dovuto aggiungere Corinzi 6, 9-10, 1 Timoteo 1, 8-11 e Giuda 7) e sottolinea l’incompatibilità di stile di vita omosessuale con il modo di vivere cristiano.
Nei suoi argomenti, l’autore fornisce, tuttavia, troppo poca importanza a ciò che è sempre stata fin dall’inizio l’essenza della critica cristiana dell’omosessualità: il suo carattere contro natura nel senso più immediato (ma che non si limita solo al piano biologico), e il fatto che si tratta di una perversione dell’ordine voluto da Dio. Le teorie che mirano a giustificare l’omosessualità, d’altronde, non si sbagliano poiché è a questa nozione di ordine naturale e al suo fondamento religioso che primariamente si fondano. Qui sarebbe stato utile citare le espressioni nette di san Paolo e
riferirsi ai numerosi Padri che si sono espressi sull’omosessualità.
L’autore, inoltre, non insiste abbastanza sul primario rapporto della sessualità con la procreazione, che, anche se non la definisce esclusivamente nell’essere umano, tuttavia resta inseparabile da essa.
Inoltre, l’autore ha una visione dell’omosessualità eccessivamente riduttiva visto che la fonda psicologicamente sul narcisismo e, spiritualmente, sulla filautia (= l’amore di sé). Nell’omosessualità vi è certamente una dominante narcisistica, ma vi può anche essere un amore per l’altro che riconosce la differenza e che è accompagnato da una certa abnegazione a suo vantaggio. La critica principale che può essere mossa a questo tipo d’amore non è che è narcisistico, che non riconosce la differenza ipostatica dell’altro, ecc., ma che si tratta di un uso perverso della sessualità e della
sessuazione fisica, psichica e spirituale.
Se l’approccio antropologico dell’autore è discutibile, il suo approccio pastorale, descritto nella terza parte, tuttavia, è convincente e ha la qualità d’essere al tempo stesso delicato e fermo. Si può particolarmente apprezzare la franchezza del suo appello nei riguardi degli omosessuali alla conversione e alla guarigione di cui la Chiesa fornisce dei mezzi. Un appello, tuttavia, esente da ogni condiscendenza e da ogni fariseismo, ma improntato da compassione e amore fraterno. Le testimonianze di padre Mar-Antoine, presenti nella sua postfazione, sui risultati positivi della sua attività pastorale sono, in questo senso, particolarmente interessanti e commoventi.
Padre Marc-Antoine classifica giustamente l’omosessualità tra le passioni. Ha ragione di porre in parallelo questa passione con quelle sessuali che possono influenzare una vita normale coniugale e, si noti, che tutte le passioni e non solo l’omosessualità apportano un peso al determinismo biologico, sociale e psicologico.
Gli omosessuali sono invitati – non in uno spirito di condanna o giudizio ma d’amore fraterno – alla conversione e alla lotta ascetica allo stesso modo di chiunque ha comportamenti che si discostano dalla vita cristiana ideale (riguarda, in realtà, tutti i cristiani poiché nessuno è perfetto e tutti devono affrontare le passioni legate alla natura decaduta).
Hanno bisogno di trovare nei loro sforzi il sostegno del clero e della comunità, e devono avere la certezza che l’onnipotenza della grazia è in grado di vincere le più forti tendenze e pulsioni e le abitudini più radicate nell’uomo, di qualsiasi natura siano.
E’ con amore e compassione che la Chiesa dovrebbe accogliere gli omosessuali desiderosi di conformarsi al modo di vivere cristiano per trovarvi il vero compimento di loro stessi. “E’ solo in un clima di compassione – scrive padre Antonio – che può essere sentita la chiamata alla conversione e il progetto terapeutico proprio alla Chiesa, luogo di guarigione, E’ solo in un tal clima che la persona può riconoscersi malata e accedere al pentimento (…) Il vescovo e il sacerdote saranno l’immagine del Buon Pastore che è Cristo stesso se si dedicheranno a questa persona per aiutarla a scoprire l’incompatibilità fra gli atti omosessuali e la vita cristiana e come l’omosessualità sia un impasse, spiritualmente parlando”.
Queste considerazioni richiamano le direttive date al clero dalla Chiesa ortodossa in America (OCA): “Gli uomini e le donne che provano dei sentimenti o delle emozioni omosessuali devono essere trattati con la comprensione, l’accoglienza, l’amore, la giustizia e la misericordia date a tutti gli esseri umani. Le persone con tendenze omosessuali dovrebbero essere sostenute (…) per scoprire le cause specifiche del loro orientamento omosessuale e lavorare per superare gli effetti nefasti nella loro vita. Le persone che combattono contro la loro omosessualità che accettano la fede
ortodossa e si sforzano di vivere in un modo di vita ortodosso possono essere accettati come fedeli nella Chiesa a fianco di chi crede e combattere spiritualmente. Coloro che, istruiti e consigliati sulla dottrina cristiana ortodossa e sulla vita ascetica, vogliono ancora giustificare il loro comportamento non possono partecipare ai misteri sacramentali della Chiesa, dal momento che non sarebbe loro utile, ma dannoso.
Si deve dare aiuto a coloro che sono in relazione con le persone di orientamento omosessuale, per aiutarle nei loro pensieri, sentimenti e azioni nei confronti dell’omosessualità. Tale assistenza è particolarmente necessaria per parenti e amici di persone con sentimenti e tendenze omosessuali ma è anche necessaria per i pastori della Chiesa”.
In ogni caso, secondo lo spirito cristiano, una persona deve essere amata per se stessa e in Dio incondizionatamente, a prescindere dal suo stile di vita, di comportamento e dai suoi errori. Odiare il peccato, ma non giudicare o condannare la persona che lo commette e considerarla invece con amore, questo è il principio fondamentale del cristianesimo che deve essere applicato qui come altrove.
Pur evitando nelle relazioni tra le persone qualsiasi forma di discriminazione, i cristiani hanno il diritto e il dovere di esprimere (senza timore d’essere insultati dalle lobby cristianofobe) le proprie convinzioni.
Durante la sua visita al Consiglio d’Europa, il 2 ottobre 2007, il Patriarca Alessio II ha detto: “La Chiesa ortodossa sente l’amore e la compassione per il peccatore, ma non per i suoi peccati. Questo è l’insegnamento morale della Bibbia. Il peccato è l’adulterio, l’infedeltà, il sesso irresponsabile e tutti gli atti che incidono sulla coscienza dell’uomo. Mentre alcuni sono impegnati in una propaganda dell’omosessualità, è dovere della Chiesa dire dove si trova il bene, perché l’omosessualità è una malattia che altera il carattere di un uomo e non è una patologia della quale si possa parlare con distacco”.
L’opera ha la prefazione del Metropolita Joseph e comprende, in appendice, una sua dichiarazione molto importante fatta a nome dell’Assemblea dei vescovi ortodossi francesi durante l’udienza ai rappresentanti delle religioni presso l’Assemblea Nazionale il 29 novembre che evidenzia i rischi determinati alla società dal progetto governativo attuale di legalizzare il matrimonio e l’adozione in favore delle coppie omosessuali.
* Articolo del 15 gennaio 2013 tratto e tradotto da http://orthodoxologie.blogspot.it/2013/01/jean-claude-larchet-pere-marc-antoine.html (15 gennaio 2013)