La vocazione sacerdotale delle persone LGBT+. Essere sacerdoti al modo di Gesù
Meditazioni bibliche di don Fausto per “Profumo di Vita!”, ritiro per giovani cristiani LGBT+ ed i loro gruppi (6-8 Maggio 2021)
Si avvicinava intanto la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori dal tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: “Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!”.
I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: Lo zelo per la tua casa mi divorerà. Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: “Quale segno ci mostri per fare queste cose?”. Rispose loro Gesù: “Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere”. Gli dissero allora i Giudei: “Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?”. Ma egli parlava del tempio del suo corpo. Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù. (Giovanni 2, 13-22)
Gesù va al tempio pochi giorni prima di pasqua, quando nelle case sarà immolato l’agnello, il sacrificio che risveglia la memoria con i suoi odori di sangue e schiavitù, di sotterranei esistenziali e devozioni alienanti ai “faraoni” di turno. La pasqua porta il profumo di un futuro di riscatto, libertà, popolo, sollecitudine di Dio.
Al tempio, invece, odori di animali e di incensi maleodoranti di ipocrisia. Già i profeti avevano gridato contro questo culto riferendo a Dio parole durissime: “Smettete di presentare offerte inutili; l’incenso per me è un abominio, non posso sopportare delitto e solennità” (Is 1,13). Anche nei salmi ci sono espressioni terribili: “Non prenderò vitelli dalla tua casa, né capri dai tuoi ovili. Mangerò forse la carne dei tori? Berrò forse il sangue dei capri?” (Sal 50,9.13). Gesù non poteva tacere e ribalta tutto, un ribaltamento simbolico che rivoluziona culto e sacerdozio.
A Gerusalemme il tempio, diviso in spazi sempre più esclusivi, mette in scena un culto fondato sulla separazione tra sacro e profano, puro e impuro, degno e indegno; un culto separato dalla vita, muto, moralistico. Il rapporto con Dio è esteriore ed espresso da cose morte; è regolamentato da altri; sono ammessi soltanto quanti corrispondono a
pieno ad un modello unico, prestabilito, insindacabile e selettivo.
Non assomiglia forse all’esperienza che talvolta vivono le persone LGBTQI+ in diversi ambienti di vita?
Quello del tempio è un culto auto-riproduttivo e sterile; lascia la vita libera di scorrazzare tra qualsiasi ingiustizia. È un culto “di consumo” realizzato con animali sostitutivi, “sacrificati” per placare un dio capriccioso e rabbioso, che sembra sottrarre vita alle sue stesse creature; è destinato al fallimento e infatti del tempio “non resterà pietra su pietra” (Lc 21,6). Questo culto è tentazione sempre presente al “fariseo” che ciascuno porta dentro!
Quel giorno Gesù espone il suo corpo con gesti clamorosi per esprimere il suo “cuore”. Nella mentalità ebraica il “cuore” è centro di tutta la persona: da lì il sangue – sede del “soffio vitale” – che porta energia e respiro. Nel cuore si vivono l’ascolto delle promesse di Dio e la fede, si rinnova l’alleanza dei “comandamenti” per una vita buona, una
terra in pace, un creato custodito. Per questo i profeti chiedevano di “circoncidere” il cuore (Ger 4,4) per condividere con Dio la giustizia e la fraternità sulla terra e la gioia e la comunione “nei cieli”. Nel cuore la volontà di incamminarsi nella speranza, la decisione di vivere nella carità; l’obbedienza alla volontà del Padre. Così fece Gesù (cf Fil 2,8; Eb 5,8).
La vita di Gesù si svolge generalmente fuori dai luoghi di culto; egli parla del suo corpo come “tempio” e i gesti sono il suo culto, ripieni dello Spirito di Dio. La sua “liturgia” è inevitabilmente laica, popolare, radicata nel quotidiano! Non ha gradi gerarchici, perché ciascuno mette in gioco se stesso. È vera e genuina, perché obbligatoriamente priva di
riti da ripetere, ma crea il gesto buono per l’occasione dentro la relazione del momento*. È sacerdote “a suo modo” quando grida, consola, ascolta, parla, guarisce. Il suo corpo è tempio di Dio che cammina con gli uomini, libero e leggero per raggiungerli ovunque, come la tenda al tempo dell’esodo; tenda in carne ed ossa “non fatta da mani d’uomo” (At 17,24; Eb 9,11-14), quando il Verbo si è fatto carne ed è venuto ad abitare tra noi (Gv 1,14).
Gesù si offre per contribuire alla trasformazione della vita di altri e delle relazioni. È fecondo con tutto se stesso! Si offre per unire a Dio, radunando un popolo, come quel giorno sul prato quando illuminò i cuori con la sua parola e spezzò i pani per la condivisione. Non c’erano muri a separare, né selezioni all’ingresso, nessuno obbligato ad uniformarsi, ma ciascuno è chiamato ad individuare il proprio percorso per avvicinarsi a Gesù.
Il culto di Gesù è quotidiana e rischiosa scommessa concreta e fisica di sé; Il suo corpo esprime la “devozione” del cuore, l’aver scommesso la vita puntando tutto sulla volontà del Padre per una risurrezione contagiosa. E nella croce trova il paradigma e l’apice, quando il suo corpo nudo è esposto e offerto, portando a compimento le decisioni di vita maturate nel “cuore” (Gv 19,30). Sull’altare della croce il corpo è ferito, il fianco aperto e sembra di intravedere il “cuore”, che è ancor più visibile nel suo “stare” sulla croce! Un cuore tenacissimo e tenerissimo! In quel momento il velo nel tempio si squarcia (Mc 15,38) ed è inaugurato un rapporto con Dio personale, libero, autentico, disponibile per tutti in ogni condizione esistenziale, vissuto con un fiducioso e coraggioso coinvolgimento integrale di sé.
Nell’Eucaristia la condivisione del pane è partecipazione al sacerdozio di Gesù e forza per viverlo. Qui partecipiamo al ribaltamento: l’Eucarestia non è “culto da tempio di pietre”, ma “del tempio vivo che è la comunità”. I gesti sono quelli quotidiani e casalinghi, abituali tra familiari, amici, compagni di speranze. Sulla mensa il frutto della benedizione di Dio e del lavoro. Tutto dice vita, speranza, giustizia.
Bisogna ripetere i suoi gesti: sono il memoriale di Gesù, per “ri-cordare” che siamo salvati dai “sepolcri esistenziali” dell’esclusione, dell’infedeltà, del giudizio, della violenza…. “Ri-cordare” è riportare al centro del cuore il desiderio di questa bellezza e deciderci di lasciarci trasformare in quel cibo che mangiamo**. È la transustanziazione, invisibile nel Pane e nel Vino, ma che si fa “visibile” quando la vita diventa offerta, dono, sacrificio, lode a Dio, cammino di integrazione di sé, servizio alla vita.
È il culto “in spirito e verità” (Gv 4,24), quando i corpi aiutano, sostengono, servono, lavorano, generano: amano! Corpi benedetti che diventano capaci di benedire quando portano vita. Questo il criterio del vero culto: “amare come lui ha amato” (Gv 15,12) e portare vita uscendo dai “sepolcri” di stili di vita rinchiusi in sé e auto-celebrativi. È il “sacrificio gradito a Dio”, che Paolo descrive così: «Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale» (Rm 12,1). “L’Apostolo vede tutti gli uomini innalzati alla dignità sacerdotale per offrire i propri corpi come sacrificio vivente. O immensa dignità del sacerdozio cristiano! L’uomo è divenuto vittima e sacerdote per se stesso.” ***
È l’offerta di cuori coraggiosi che per “spezzare” la vita affrontano anche rinunce e diventano disponibili, fedeli, dediti, vicini gli uni gli altri, perché “chi perderà la propria vita, la salverà” (Mc 8,35).
Ma l’esperienza di tutti conosce parzialità, limite, mancanza, vuoto, ribellione, il peccato; ma non impediscono di amare genuinamente e con sincerità e cresce il desiderio di un “di più” del cuore, il “di più” dello Spirito “riversato nei nostri cuori” (Rm 5,5): sarà il tuo passo avanti nell’amore generoso e fedele, generativo “a tuo modo” unico nelle esperienze di amicizia e di relazione, nella professione e nella comunità ecclesiale. E ciò che si dona con più fatica ha il profumo del dono totale, anche se sembra rimediato o imperfetto.
È il 100 per l’unico “seme” disponibile, rischiato e gettato nella terra di quella giornata; l’unico “talento” speso e non “nascosto”: il meglio possibile nel momento e Dio, che “guarda il cuore” e non l’aspetto (1Sam 16,7), ama i “piccoli” preziosissimi profumi. Così si è “battezzati e sacerdoti”, offrendo quel “meglio possibile” nella quotidianità della vita; si offre se stessi e si diventa credibili; si spande il profumo di Dio (2Cor 2,15). E con l’amore i cattivi odori si trasformano nel profumo di un incontro, di una creatura, di una bella novità; il profumo che, si spera, porti il futuro che si sta costruendo con gli altri.
Quale profumo Cristo fa emanare da te nel tuo ambiente?
Vi benedico da un altare scomodo, ma carico di gioia.
Vi benedico da un altare coperto da penombre, ma carico di luce.
Vi benedico da un altare circondato da silenzi, ma risonante di voci.
Sono le grazie, le luci, le voci dei mondi, dei cieli e delle terre nuove
che, con la Risurrezione, irrompono nel nostro mondo vecchio
e lo chiamano a tornare giovane Amen! Alleluia!
Don Tonino Bello
* «Le opere di misericordia sono “artigianali”» FRANCESCO, Misericordia et misera, 20
** Cirillo di Gerusalemme, IV Catechesi mistagogica, https://www.monasterovirtuale.it/cirillo-di-gerusalemme-quarta-catechesi-
mistagogica.html
*** San Pietro Crisologo Discorso 108; PL 52, 499-500, https://medium.com/ritagli-di-fede/la-vita-al-servizio-di-dio-d45bb1aa20c0