L’Adorazione dei Magi di Sandro Botticelli
Articolo di Jean-Marie de Bourqueney* pubblicato sul sito Protestants dans la Ville (Francia) il 10 settembre 2019, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro
Siamo nel 1475, nel pieno dell’esuberante Quattrocento, nel cuore di Firenze. La città governata dai Medici sta vivendo un “Rinascimento”, anche se questa parola ancora non viene usata… Nel 1434 è arrivato al potere Cosimo de’ Medici, il quale fonda una “accademia neoplatonica”. Il pensiero e l’arte sono in ebollizione: la tradizione cristiana, l’Antichità e il pensiero di Platone si stanno per incontrarsi e mescolarsi per creare una bella alchimia estetica e filosofica. Soffia un vento nuovo sull’Europa, un vento di libertà e di incontri: teologi, filosofi, pittori, scultori, architetti lavorano tutti assieme.
Sandro Botticelli dipinge un’opera magistrale, L’adorazione dei Magi, che incarna questo incontro di epoche, discipline e convinzioni. Entriamo nel quadro. Il pittore rappresenta la scena a semicerchio, aperto verso di noi; siamo come degli invitati, anche perché tre dei personaggi ci guardano, tra cui lo stesso Sandro Botticelli, in primo piano a destra (il suo unico autoritratto). Non è certo una rappresentazione dei Magi dei tempi biblici, ma di quelli dell’epoca del pittore, e anche della nostra, in quanto siamo spettatori “interattivi” del dipinto. Gli abiti dei personaggi sono quelli rinascimentali, non quelli del Medio Oriente antico. Diremo di più: tutti i personaggi presenti (salvo Gesù, Maria e Giuseppe) sono contemporanei, o quasi, di Botticelli: sono personaggi reali di quell’epoca, tra cui i Medici nei panni dei Magi, assieme a vari filosofi e artisti. Il bel mondo dell’arte, del pensiero e del potere si inchina di fronte a Cristo.
Altro elemento fondamentale del quadro è l’ambientazione. Come in (quasi) tutte le scene di Natività di quell’epoca, vi ritroviamo tre elementi principali. Anzitutto un’ambientazione “antica”, costituita da rovine di ispirazione greco-romana, simbolo del ritrovamento del pensiero antico, il quale però “rinasce” sotto forma di piante viventi, che spuntano dalle rovine e ci dicono che non tutto è perduto. Poi ci sono i temi “biblici”, spesso derivanti piuttosto da tradizioni posteriori alla Bibbia: una mangiatoia di legno, ma anche una roccia che forma come una grotta. Maria è rappresentata in maniera “tradizionale”, con i due colori utilizzati anche per rappresentare Gesù: il blu del Cielo e il rosso della Passione.
Ma veniamo al punto focale del quadro, che ne fa un precursore del nostro progetto teologico liberale. Cominciamo da Giuseppe, il padre di Gesù. È anziano, perché, secondo la tradizione, non deve essere nemmeno sospettato di essere il padre biologico di Gesù… Ma soprattutto, ha l’aria di annoiarsi… E invece no! La sua postura evoca una celebre statua, di molto posteriore: Il pensatore di Rodin, del 1903! Sì, Giuseppe pensa come i filosofi neoplatonici dell’Accademia di Firenze, e assomiglia, per esempio, al Platone del grande affresco di Raffaello, La scuola di Atene, di poco posteriore (1508-1512). Un uomo anziano perché saggio: Giuseppe rappresenta qui il pensiero, la filosofia. Dio è rappresentato dalla luce della stella, che sta “al di sopra” del quadro, ma che entra nel quadro per passare su Giuseppe e arrivare a Gesù. Che bel simbolo di riconciliazione tra fede e ragione, tra teologia e filosofia! Che umiltà nel rappresentare un Dio al di là del dicibile, che sfugge al dipinto perché sfugge alle nostre parole e ai nostri concetti! È il progetto dell’Accademia Fiorentina.
Mi piace pensare che in questo quadro possiamo trovare il nostro progetto: tentare di interpretare Dio con i concetti umani e razionali della filosofia, nella e per la nostra epoca. Una teologia vivente che sgorga da una fede vivente!
* Jean-Marie de Bourqueney è pastore della Chiesa Protestante Unita a Parigi-Batignolles. Partecipa alla redazione e alla direzione di Évangile et Liberté. Si interessa soprattutto di dialogo interreligioso e teologia del processo.