L’alternativa alla violenza nelle parole di Martin Luther King
Testo di una conferenza tenuta presso la chiesa Battista di Firenze il 27 ottobre 2007
“La violenza genera violenza; l’odio genera odio e l’intransigenza genera altra intransigenza. E’ una spirale discendente, e alla fine non vi è che distruzione, per tutti”. Invece, ci ricorda Martin Luther King, "La non violenza produce la trasformazione del mondo e il superamento del rancore. Ma per fare tutto questo non bisogna accontentarsi, esorta King, degli spiccioli che ci vengono offerti". Ma bisona chiedere volere, desiderare e perchè no, lottare per un’energica trasformazione del mondo. Solo parole? Martin Luther King con la sua vita, dedicata a realizzare questo "sogno", ci ricorda che non è così.
Nel dicembre 1966 Martin Luther King racconta un aneddoto sul ruolo dell’amore e sulla forza della non violenza. King racconta di quattro giovani: Tex, Pueblo, Goat e Teddy. Tutti e quattro provenivano dai quartieri poveri neri (Negro slums), tutti e quattro facevano parte di quelle bande di strada che conoscevano solo il linguaggio della violenza, del bullismo, diremmo noi oggi.
King dice: “Sentivo che non c’era alcuna speranza di trasformare questi ragazzi, non facevano che vomitare veleno contro questo mondo”.
Ma questi quattro ragazzi accettarono la proposta di Martin Luther King: “Partecipate quest’estate, siamo nel 1966, alla Marcia nonviolenta per la libertà attraverso il Mississippi”. I ragazzi accettarono e arrivarono insieme a molti loro amici.
King afferma di essere stato preoccupato: saranno capaci questi ragazzi, abituati in un mondo violento a rispondere con la violenza, saranno capaci di essere non violenti? Alla fine King commenta: questi ragazzi si comportarono splendidamente. Impararono nel Mississippi e tornarono a Chicago per insegnarlo agli altri, la bella lezione di agire contro il male rinunciando all’uso della forza.
C’è un’alternativa alla violenza e c’è un’alternativa per molti giovani oggi che sono prigionieri della logica della violenza. Vorrei dare voce a questa alternativa utilizzando tre termini cari a Martin Luther King, tre termini che King usava molto spesso nei suoi interventi.
Tre parole e se scusate la mia pronuncia inglese, vorrei prima dire quali sono queste tre parole in inglese, poi proverò a tradurle in italiano: bitterness è la prima, maladjustment è la seconda, tokenism è la terza.
Bitterness significa rancore. Maladjustment significa disadattamento. Tokenism: spiccioli. Ogni atto violento produce rancore, ma i giovani possono non adeguarsi a questa logica della violenza, esprimere il loro disadattamento, soprattutto non accogliendo gli spiccioli, quei piccoli contributi sostitutivi all’unico vero obbiettivo che devono proporsi nella loro vita: l’affermazione al diritto a e al dovere di una vita buona e giusta. Ma entriamo più nel dettaglio.
La violenza produce rancore, risentimento, odio. La violenza produce bitterness. Non solo in chi subisce l’atto violento, ma anche in chi lo compie. E ancora, non solo in chi usa violenza e in chi la subisce, ma anche nelle generazioni che verranno dopo.
Dice King: “Se le vittime dell’oppressione soccombono alla tentazione di usare la violenza nella lotta per la giustizia, le generazioni future dovranno affrontare una notte lunga e desolata di odio, e la loro eredità principale per il futuro sarà un regno senza fine di caos e di nonsenso”.
La violenza produce rancore, ma chi subisce violenza può non farsi imprigionare nella rete del risentimento, dell’odio, può non produrre bitterness. Può non cadere nella tentazione. Qui è forte la consapevolezza di Martin Luther King che noi possiamo, in qualsiasi momento, interrompere la scia della violenza.
Dice King: “La violenza genera violenza; l’odio genera odio e l’intransigenza genera altra intransigenza. E’ una spirale discendente, e alla fine non vi è che distruzione, per tutti”. La parola bitterness ci suggerisce anche, come traduzione, il significato di “amarezza”.
Contro l’amarezza della violenza King suggerisce la forza creativa della resistenza nonviolenta. King dice: “Non vi chiedo di abbandonare il vostro malcontento, ma di evitare di trasformarlo in odio e rancore. E la nonviolenza vi dice che potete lottare anche senza odiare”.
La violenza produce rancore, risentimento e odio. Ma produce anche indifferenza da parte dei molti. Un adattamento a volte rassegnato a volte interessato. Giustamente King fa osservare che la più grande tragedia non è lo sfrontato clamore dei cosiddetti malvagi, ma lo spaventoso silenzio dei cosiddetti buoni.
Sono i timori paralizzanti e le tragiche apatie di chi non si sente coinvolto l’aspetto più drammatico della violenza. E’ per questo che King rivolge un encomio a tutti coloro che sono maladjusted, disadattati.
Un encomio al disadattamento. Al non adattamento alle cose così come sono. Dice King: “vi sono alcune cose nel nostro sistema sociale rispetto alle quali noi tutti dovremmo essere dei disadattati… Forse la salvezza del mondo sta oggi proprio nelle mani dei disadattati. La sfida per noi è di essere dei disadattati… Mediante questo coraggioso disadattamento noi sapremo emergere dalla mezzanotte squallida e desolata della disumanità dell’uomo all’alba splendente e luminosa della libertà e della giustizia”.
La pratica nonviolenta diventa l’espressione più efficace del disadattamento. Noi spesso descriviamo la condizione giovanile come disadattamento. Come scomoda abitazione del mondo. Bisogna valorizzare questa pretesa di un mondo diverso, di un’utopia. Dopotutto la realtà è sempre l’utopia realizzata del più forte.
Se la violenza produce rancore, la non violenza dei disadattati produce la trasformazione del mondo e il superamento del rancore. Ma per fare tutto questo non bisogna accontentarsi, esorta King, degli spiccioli che ci vengono offerti. Non bisogna accontentarsi dei piccoli passi, delle raffinate forme di rinvio.
King usa il termine tokenism per descrivere tutte quelle offerte che facevano le istituzione per integrare solo una manciata di neri nelle scuole bianche. Tutto si riduceva a gesti simbolici. Inviti alla pazienza. Integrazioni parziali.
Ma la lotta nonviolenta non può attendere. Non si possono più chiedere piccole riforme economiche, piccoli interventi ecologici, piccole ridistribuzioni delle ricchezze, piccole giustizie, piccole solidarietà. I disadattati non violenti vogliono un’energica trasformazione del mondo.
Abbiamo iniziato con un aneddoto raccontato da King di una banda violenta di giovani ragazzi afroamericani convertiti alla non violenza. Ragazzi che hanno offerto come resistenza alla violenza i loro corpi. Hanno saputo trasformare il loro disadattamento in pratica non violenta e non si sono accontentati delle piccole offerte che sono state loro porte.
Oggi si torna a parlare di bande violente di giovani, si torna a parlare di disadattamento. Non possiamo pensare di combattere tutto questo con gli spiccioli, con gesti simbolici. Bisogna trovare la forza di stare con loro nello sforzo comune di cambiare il mondo in modo nonviolento per l’affermazione del diritto a e del dovere di una vita buona e giusta.