L’amore radicale. Perché il cristianesimo è una religione queer
Riflessioni teologiche del rev. Patrick S. Cheng* pubblicate sull’Huffington Post (USA)** il 29 marzo 2011, liberamente tradotte da Claudia Barbarino
Ci sono molte persone, sia di destra che di sinistra, le quali sostengono che il Cristianesimo sia incompatibile con l’omosessualità. Non sono assolutamente d’accordo. Infatti, sono convinto che la religione cristiana sia principalmente una religione queer*. Perché? Credo che il Cristianesimo sia queer poiché alla base della cristianità come dell’esperienza gay vi è l’amore radicale.
L’amore radicale penso sia un amore talmente estremo da dissolvere i limiti esistenti, le linee di demarcazione che ci separano dagli altri, dalle nozioni preconcette di sessualità e identità di genere, o da Dio.
L’amore radicale è alla base del Cristianesimo: infatti noi cristiani crediamo in un Dio che, attraverso l’incarnazione, la vita, la morte, la resurrezione e l’ascensione di Gesù Cristo, ha cancellato i confini tra la vita e la morte, il tempo e l’eternità, l’umano e il divino.
Allo stesso modo, l’amore radicale è alle origini dell’esperienza queer perché lesbiche, uomini gay, bisessuali e transessuali travalicano i limiti tradizionali della società — con tutto il rispetto per la sessualità e l’identità di genere (ad esempio, “gay” in contrapposizione a “etero” o “maschio” in contrapposizione a “femmina”) — e dimostrano che tali confini sono costruzioni sociali e non concetti essenzialisti incrollabili. Amore radicale, comunque, non significa abolizione delle regole o giustificazione di una vita antinomica, sessuale o d’altro genere.
Essenzialmente, l’amore radicale è un amore che, come ci insegna San Paolo nella Prima Lettera ai Corinzi, è paziente e benigno, non è invidioso, non è vanaglorioso o superbo e non manca di rispetto. In quanto tale, l’amore radicale si basa su un comportamento ragionevole, sano ed armonioso. Dunque, un atteggiamento squilibrato — fenomeni come lo stupro o lo sfruttamento sessuale — è, per definizione, escluso dall’amore radicale.
In effetti Gesù Cristo, secondo le persone lesbiche, gay, bisessuali e transessuali, si può concepire come l’incarnazione dell’amore radicale. Il ministero del figlio di Dio in questo mondo rafforza la concezione di Gesù stesso come simbolo dell’amore radicale e del superamento dei limiti.
Attraverso la sua missione, Gesù ha oltrepassato i confini religiosi e sociali del suo tempo. Ha mangiato con esattori delle tasse, prostitute e peccatori. Ha toccato gente “immonda”, quindi lebbrosi e donne affette da emorragie. Ha parlato con gli emarginati, come i Samaritani. In altre parole, Gesù Cristo ha abbattuto le “sacre” barriere tra mondo e immondo, sacro e profano, santo e peccatore.
Gesù Cristo è il simbolo dell’amore radicale poiché ha sormontato non solo i confini divini e sociali, ma anche quelli sessuali; per cui la vita e il ministero di Gesù possono essere visti come il superamento della rigida linea di confine tra “eterosessuale” e “omosessuale”.
In termini di bisessualità, il reverendo Nancy Wilson, attuale presidente della Metropolitan Community Churches, vaglia l’interessante possibilità che Gesù Cristo fosse attratto sessualmente sia dalle donne che dagli uomini.
Parlando della famiglia di Gesù in Betania — cioè, Marta, Maria e Lazzaro — suppone che Gesù potesse subire il fascino di entrambi i sessi. Così Wilson scrive nel suo libro, Our Tribe, “la visione più ovvia di Gesù come essere sessuale è considerarlo bisessuale nelle sue tendenze, se non nelle sue azioni”.
Infine, Gesù è l’incarnazione dell’amore radicale perché va oltre i confini di genere. Paolo scrive nella sua lettera ai Galati, in Cristo “non c’è più né uomo né donna”. Infatti diversi teologi hanno scritto di un Cristo transessuale o di un Gesù Cristo che oltrepassa il divario tra “maschio” e “femmina”. Analogamente, nel caso della bisessualità, il discorso transessuale sfida il pensiero binario e gerarchico sul genere.
In qualità di teologo apertamente gay, professore di seminario e ministro ordinato, mi meraviglio continuamente per il modo in cui l’amore radicale della comunità omosessuale ci ha aiutati a superare ostacoli apparentemente insormontabili di tipo religioso, legale, politico, sociale, culturale e di altra natura che ci impediscono di amarci pienamente l’un l’altro ed essere come Dio ci vuole che siamo. Come dice Paolo meravigliosamente nell’ottavo capitolo della lettera ai Romani:
“Perché sono persuaso che né la morte né la vita né gli angeli né i sovrani né le cose presenti né quelle future né il potere né l’altezza né la profondità né le altre cose create potranno separarci dall’amore di Dio in Gesù Cristo nostro Signore”. Cosa potrebbe essere più sconfinante e radicale dell’amore che Paolo descrive in queste righe? Ecco perché credo fermamente che il Cristianesimo sia nella sua essenza una religione queer.
* Il rev. Patrick S. Cheng è professore di teologia storica e sistematica presso la Episcopal Divinity School in Cambridge (Massachusetts, Stati Uniti) ed è stato ordinato ministro delle Chiese comunitarie metropolitane (MCC), una denominazione cristiana aperta alle persone LGBT, inoltre collabora alla sezione religione dell’Huffington Post. Vive a Cambridge con il suo compagno, da quasi due decenni, Michael. Il suo sito web è www.patrickcheng.net .
** Questo articolo è stato adattato da Patrick S. Cheng, Radical Love: An Introduction to Queer Theology (Amore radicale: Introduzione alla Teologia Queer), New York, Seabury Books, 2011.
Testo originale: Why Christianity Is A Queer Religion