L’arcivescovo di Torino e don Cravero ricordano ai Pro vita che è tempo di riflettere sull’amore omosessuale!
Riflessioni di Massimo Battaglio
Il 20 aprile scorso, nella parrocchia di Santa Maria Maggiore a Poirino (diocesi di Torino), si è tenuto un bell’incontro. Il titolo era “L’amore nelle sue forme ed espressioni: sessualità, emozioni, sentimenti. Lgbtq+, tra conoscenza e rispetto”. Relatore, don Domenico Cravero, parroco della stessa comunità.
Immediatamente, si è scatenata la furia di “Pro-Vita”, che ha diramato un comunicato in cui si recitava la parte dell’indignato. Lo riportiamo ma senza link perché non ci va di suscitare ulteriori clic alle loro pagine. Dice così:
«Siamo sconcertati e allarmati dall’iniziativa promossa, lo scorso 20 aprile, dalla parrocchia di Santa Maria Maggiore (…) dal tema “L’amore nelle sue forme ed espressioni (…)” con relatore il parroco don Domenico Cravero, “consulente in sessuologia”.
Nonostante il condivisibile intento di promuovere una cultura del rispetto e della convivenza civile, lascia interdetti che una parrocchia si sia fatta promotrice di un evento riconducibile alla galassia Lgbtqia+ e dunque a quelle che sono le sue istanze ideologiche: gender, sessualità fluida, carriera alias e transizione di genere per i minori nelle scuole fino anche alla barbara pratica dell’utero in affitto.
Ci lascia, però, ancor più sconcertati e sinceramente sorpresi il silenzio di monsignor Roberto Repole, arcivescovo di Torino, al quale ci siamo appellati con due lettere ufficiali, prima dello svolgimento dell’evento stesso. L’unica risposta avuta è stata quella che l’arcivescovo “è stato informato”. Ma non abbiamo avuto ulteriori riscontri né il minimo impegno di un intervento che invece appariva coerente e doveroso.
L’ideologia gender, portata avanti proprio dal mondo Lgbtqia+, è stata infatti più volte condannata da Papa Francesco (sic) nel corso del suo Pontificato. Un’ideologia che mira al sistematico smantellamento della famiglia naturale fondata da un uomo e una donna e del diritto di ogni bambino ad avere una mamma e un papà oltre che della libertà educativa di questi ultimi. Non vediamo quindi nessuna ragione plausibile per il mancato intervento dell’arcivescovo nel bloccare questa iniziativa».
Non è il caso di discutere sul delirante comunicato. Quando il denunciante conclude parlando di fantasmi, evocando una “ideologia gender” che mirerebbe al “sistematico smantellamento della famiglia naturale” eccetera eccetera, è meglio non rispondergli per non ridere. E non c’è da stupirsi se un vescovo a cui ci si è rivolti in questi termini, preferisce occuparsi di cose più serie.
Tuttavia, il bersaglio scelto dai militanti di Pro-Vita, almeno questa volta, è un po’ al di sopra della loro portata. Don Cravero, che è anche psicologo, è davvero un esperto di sessuologia, oltre che di teologia, liturgia, economia, pastorale giovanile e tanto altro. Don Cravero è un fenomeno di prete che, oltre a portare avanti cinque parrocchie, ha trovato anche il tempo per fondare un’impresa sociale agricola dal nome “Terra mia” che coinvolge centinaia di persone in progetti di reinserimento sociale. La chiamano “economia della speranza”.
Se ne parla ovunque, come “un’economia circolare che s’impegna a non produrre scarti tra le persone. Unisce tecnologia e corresponsabilità, combatte fatalismo e assistenzialismo rigenerando energie, fornendo gambe alle idee, puntando al futuro in maniera sostenibile”. E’ una cosa molto buona.
E’ molto imprudente cercare di prendere in giro don Cravero mettendo tra virgolette il termine “consulente di sessuologia”. Basta guardare uno dei suoi video in materia, per capire che potrebbe non andare come si desiderava.
E infatti, il vescovo Roberto Repole non ha lasciato cadere la cosa. E’ intervenuto sul sito della diocesi con un comunicato che poi è girato sui media locali, in cui ha preso le difese non solo del suo confratello ma di ogni iniziativa volta a riflettere sulle diverse forme d’amore che oggi abbiamo davanti agli occhi:
«Nella parrocchia di Poirino non è stata fatta nessuna propaganda alla teoria del gender: solo un incontro di informazione a cura del parroco, occasione di riflessione intorno a un tema che coinvolge e preoccupa molte delle nostre famiglie e sta facendo discutere l’opinione pubblica».
«Ho verificato con il parroco che l’incontro era mirato ad informare sulle diverse realtà della vita affettiva oggi presenti in seno alla società, per conoscere il presente ed essere in grado di valutare il dibattito in corso, obiettivamente molto acceso.
Informarsi e ragionare anche su queste cose è un modo concreto di essere presenti come comunità cristiana su temi che provocano situazioni dolorose di tensione e conflitto tra i giovani e all’interno delle famiglie. E questo nulla cambia rispetto alla riflessione e all’insegnamento della Chiesa sulla morale sessuale, che non omologa in alcun modo l’amore eterosessuale alle altre forme di relazione».
Qualcuno ha avuto da ridire sull’ultima parte del bel comunicato, quella in cui si dice che la Chiesa non omologa l’amore omosessuale alle alte forme di relazione. Sa già di discriminatorio. In realtà, è facile comprendere il motivo per cui monsignor Repole lo ha inserito. E’ infatti la prima volta che, a Torino, un vescovo prende fermamente posizione a favore di una serena riflessione sui temi LGBT+.
In passato, il sostegno, sì, era sempre garantito ma bastava che i Pro-Vita o chi per essi battessero le ali, che in curia si scatenava il putiferio. Si annullavano incontri, si mandavano lettere piccatissime ai giornali, ci si lasciava prendere dalla paura.
Ora, il comunicato del vescovo Roberto ha un tono nuovo, sereno e coraggioso, di chi ama la vita delle persone più delle abitudini. Lo ringraziamo.
Su quella distinzione tra amore eterosessuale e “altre forme di relazione”, avremo modo di approfondire. Condividiamo che “omologare” è brutto. E’ bene che le diversità siano accolte nella loro verità, altrimenti se ne perde la ricchezza. Ma vorremo che si arrivasse a capire che “diversità” non vuol dire “diversa dignità”, perché Gesù non va in questo senso. Il suo comandamento è di amarsi gli uni gli altri. E, dice: “non c’è amore più grande di questo, dare la vita per i propri amici”. Non fa cenno all’identità sessuale degli amanti, né ad amori da privilegiare e altri da mettere in secondo piano.
Quanto al tema dell’insegnamento della Chiesa, il vescovo Roberto gli affianca correttamente quello della “riflessione”. E ha ragione perché, in questi anni, la Chiesa, più che insegnare, sta proprio riflettendo. L’omosessualità è un tema nuovo, su cui il dibattito è caldissimo. Qualcuno, di fronte alle novità, si spaventa e si arrocca nella tradizione. Altri guardano avanti. Ma la Chiesa, di fronte al nuovo, non può avere moti di rifiuto poiché Gesù stesso non rifiuta il nuovo. Quando dice di non mettere vino nuovo in otri vecchi, non vuol dire di buttar via il vino ma di preparare otri nuovi. E l’iniziativa di don Cravero andava proprio in questo senso: preparare otri nuovi.
Quali otri, lo vedremo confrontandoci a partire dall’ascolto reciproco. Fare gli “sconcertati e allarmati” non serve a niente e non ha nulla di cristiano.