L’Arco vent’anni fa. Il cammino del primo gruppo di cristiani omosessuali di Parma
Riflessioni di Fabrizio e Roberto di Parma
La freccia partì venti anni fa a Parma, dalle parti proprio del ”Arco di San Lazzaro”. Non c’era una sede, né mai la si cercò, eppure da quella immaginaria faretra partirono tante frecce.
Si puntò agli incontri di preghiera, ma poi anche a riunioni dove un bel film era il motivo dello stringersi tanto, visto il numero sempre crescente, nell’accogliente salotto di qualcuno. Ma anche serate “culturali” dove, in altre case, si faceva a turno per ospitare; alternandole a serate in pizzeria. Oppure si dipanavano matasse quali l’eterna e forse irrisolta questione su fede ed omosessualità, o si studiava qualche documento. Ridendo e scherzando ci si metteva anche in gioco perché crescere vuol dire anche uscire da se stessi. Si scrivevano articoli, lettere ai giornali, si usciva insomma, ma non troppo. L’epoca portava a socchiudere l’uscio non a spalancarlo; ci saremmo fatti scoprire.
Ma le case diventavano strette e così si chiedeva ospitalità per incontri più lunghi, di una giornata, in qualche monastero accogliente della provincia o in zone vicine ma … in riva al mare, per più giorni, come fu a Bocca di Magra; tutto in semi clandestinità – però poi eravamo scoperti e salutati con sinceri sorrisi – ma si chiamavano anche professionisti che generosamente partecipavano gratuitamente, però facevano diventare noi più ricchi.
Ma non bastava confrontarsi tra noi, seppure con dottoroni vari, serviva uscire e così fu, per incontrare altri gruppi, gay e non (come fu difficile incontrare un gruppo di lesbiche che, comprensibilmente, non volevano tra le scatole gli eterni maschi maschilisti), contribuire al nascente locale gruppo Agedo, incontrare l’Arcigay di Reggio Emilia, andare spesso dalle stupende suore, già claustrali, che aprivano la loro casa a noi e con noi stavano e mangiavano (un privilegio quest’ultimo riservato a pochissimi).
Ma la freccia colpiva anche e così si andava a battagliare agli incontri di quella dottoressa milanese che, ancora oggi, vorrebbe trasformare omosessuali infelici in etero infelicissimi; incontri tenuti in una parrocchia cittadina – con tanto di litigata col parroco – o presso forse inconsapevoli frati di una provincia vicina.
La freccia scoccata faceva rumore e così si ebbe addirittura la prima pagina del settimanale diocesano con tanto di lunga intervista a membri del gruppo.
Non si voleva alcun direttore spirituale o simile, ma partecipava anche un prete, come … “uditore”, che venne per anni ai nostri incontri e che, in occasione di uscite sulla stampa locale, dimostrò di non aver capito nulla dell’amore omosessuale.
Fallimmo forse con lui e sicuramente con altri eppure l’Arco fece ciò per cui era stato costruito: unire, unire uomini (pochissime le donne) che grazie al gruppo crebbero come persone, come omosessuali, come credenti e migliorando se stesse hanno, e stanno ancora oggi, migliorando il mondo, ecclesiale e non.
Pare una battuta, ma se ci si pensa è l’unico modo perché il mondo cambi radicalmente.