Le chiese e le persone omosessuali. E’ Cristo che passa, lo avvertite?
Riflessioni di José Mantero tratto da La casulla de San Ildefonso del 20 ottobre 2006, liberamente tradotto da Eleonora
Quando in alcuni forum delle chiese si parla dell’omosessualità e dei gay, accade come quando nei forum gay si parla di chiese e di ecclesiastici, si alza un nefasto muro che rende difficile la visione al di là del pregiudizio; la mutua incomprensione cresce, fino ad acquistare proporzioni abissali, ed impedisce il progresso degli uni verso gli altri e la reciprocità da fratelli a fratelli e di percorrere insieme, ciascuno il proprio tratto di cammino, per giungere a Dio e incontrarlo.
Sfortunatamente ciò si ripete di volta in volta, soprattutto quando dall’uno e dall’altro lato del tavolo (sarà un gioco, dopo tutto?) ci riferiamo alla Chiesa Cattolica, con la sua varietà di atteggiamenti e risposte, nonostante appaiano uniformi ed in una sola direzione: quella che sottolinea la sua gerarchia, sfarzosa e scandalosamente omofobica.
Con atteggiamenti profondamente intolleranti di diverso segno si rende difficile oltre modo incontrala ed un numero sempre maggiore di persone gay, deluse ed estenuate per colpa del disprezzo ecclesiastico, optano per una via intermedia: un modo di vivere intimista (altra cosa sarebbe intimo) ed individualistico della fede, ovvero, un Cristo senza Chiesa; che alla fine porta ad un fede scarna, quando non disincarnata.
Così le gerarchie omofobe hanno lasciato che tanti fratelli e sorelle si perdessero. E’ Cristo che passa, e loro, i responsabili ecclesiastici, si girano a guardare da un’altra parte. Alla peccaminosa intolleranza omofobica di tanti dignitari ecclesiastici corrisponde, dall’altro lato, una reazione – d’altra parte logica di autodifesa – intollerante verso ciò che riguarda la Chiesa (non verso ciò che è religioso, né verso ciò che è cristiano, che si continua a rispettare e ad abbracciare).
Adesso con il papato Ratzinger e le ultime conquiste gay in fatto di diritti fondamentali e di cittadinanza, ci troviamo in un momento critico per per quanto si cerchi di addolcire la situazione. La Chiesa e il mondo gay non sono mai stati tanto tragicamente separati. Ma, allo stesso tempo, non hanno mai avuto l’opportunità di cui possono godere oggi: ovvero incontrarsi, per guardare avanti, prendendo spunto dalle forze della riconciliazione. Basta attraversare una linea sottile, in un senso e nell’altro, per camminare insieme o definitivamente separati.
Alcune Chiese hanno già captato questo momento di grazia e si sono dichiarate inclusive. È questo il caso della Chiesa Episcopale degli Stati Uniti, o la Chiesa della Comunità Metropolitana, tra la altre.
Adesso è il momento, per la chiesa e per i cristiani gay, di tirare le fila del discorso, riconoscere i propri successi e i propri errori e considerare che è giunta l’ora di camminare gli uni verso gli altri, in piena uguaglianza e senza la zavorra di stigmatizzazioni, sempre criminali.
Per questo, alcune chiese, come quella cattolica, devono fare un esame di coscienza e chiedere perdono per la loro innegabile omofobia. Anche alcuni collettivi gay devono esaminarsi e deporre il loro pregiudizio, non tanto anticristiano quanto forse di un inveterato anticlericalismo, senza senso, anche se propiziato dall’omofobia nata primariamente nel seno di alcune chiese (chi ha colpa dell’anticlericalismo? Senza possibilità di dubbio: il clericalismo).
Forse dovremmo tornare a leggere la parabola del figliol prodigo e del Padre infinitamente buono (Lc 15, 11-32), senza prefissare maliziose identificazioni, dato che il padre della parabola, sfortunatamente, non sempre si identifica con la chiesa, né il figlio ribelle con la comunità gay. Troppe volte si sono scambiati i ruoli. Il Padre è il padre, Dio; il figliol prodigo, la chiesa omofoba e tutti i figli di Dio, senza distinzione.
In questa parabola evangelica si fa un cammino che entrambe le parti percorrono, fino a rincontrarsi e formare nuovamente un famiglia. Sarebbe impossibile nelle attuali relazioni di certe chiese con la comunità gay? In questa parabola c’è una festa finale per il rincontro e la riconciliazione. Cosa si oppone, oggigiorno, alla celebrazione di una festa analoga nelle relazioni chiesa-gay? Infine, c’è una gelosia, quella del figlio e fratello benpensante che si chiude alla novità e gratuità della riconciliazione, il rincontro, il rispetto. Non sono forse i benpensanti i veri ostacoli nel cammino di amore e apertura?
“Dobbiamo fare festa e rallegrarci, perché questo tuo fratello era morto, ma adesso è tornato a vivere: si era perso, ma lo abbiamo ritrovato!”. Potremo, un giorno, chiese e gay, dire queste stesse parole? Io credo di sì. Qui sta la sfida. E’ Cristo che passa…inavvertito? Senza scherzi né ironia: “Ambulate in dilectione”. Amen
Testo originale