Le cose cambiano, «Sono cresciuto in una città dove nessuno era gay»
Articolo del 16 maggio 2013 di Elena Tebano pubblicato su La ventisettesima ora
«All’inizio mi sentivo solo, pensavo di essere l’unico gay sulla faccia della terra». Francesco è cresciuto in una “cittadina di provincia dell’Italia centrale, in cui nessuno è gay, e se qualcuno lo è, non si deve sapere». Forse è anche per quello che quando si è innamorato di Luca e ha capito di essere nato «per amare un uomo e non per amare una donna», ha avuto «paura di essere giudicato e rifiutato in quanto omosessuale».
Francesco lo racconta nel video che ha girato per Le cose cambiano. Racconta anche che ora non abita più lì, sta per compiere 40 anni, fa l’avvocato, insegna all’università, ha un compagno che si chiama Alberto («Fosse per lui ci saremmo già sposati») e una vita piena.
La sua è una delle testimonianze raccolte su lecosecambiano.org per dire agli adolescenti vittime di bullismo e omofobia che devono tener duro, perché prima o poi andrà meglio. Una delle più belle, perché dà conto di un’esperienza che tanti gay e lesbiche hanno vissuto e ancora oggi vivono (sentirsi soli al mondo). Ma va anche un po’ più in là.
Francesco, infatti, è Francesco Bilotta, fondatore dei Rete Lenford, l’Avvocatura per i diritti lgbt, e una delle persone che in Italia hanno fatto di più contro la discriminazione delle persone gay, lesbiche trans: è stato lui infatti a perorare il caso che ha portato la Cassazione a riconoscere alle coppie dello stesso sesso il “diritto alla vita famigliare” e alle stesse tutele di una coppia coniugata eterosessuale.
Nel video dice che ci è arrivato anche grazie alle parole di un suo studente durante l’ora di ricevimento all’università. «Appena è entrato nella mia stanza si è messo a piangere, pensavo dipendesse dal fatto che l’avevo bocciato già varie volte. E invece mi chiede scusa e mi chiede se può parlarmi di un problema di cui non poteva parlare con nessuno». Quel giovane era appena stato lasciato dal suo ragazzo, e non aveva nessuno a cui dirlo – se non il professore che lo aveva bocciato all’università – perché viveva il suo essere gay come una colpa inconfessabile.
«Quella volta ho capito che potevo aiutare concretamente gli altri a cercare di essere felici – spiega Bilotta – Volevo che nessuno più, come invece era successo a me, perdesse gli anni dell’adolescenza. Volevo che nessuno più si sentisse solo». Da lì la decisione di fondare l’associazione e l’impegno, come professionista, per l’uguaglianza.
È una vicenda personale, ma rende bene lo spirito che anima Le cose cambiano: l’idea che condividere le storie cambia la vita, di tutti.
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