Con i miei occhi. Il natale visto da una transessuale cristiana
Riflessioni di Darianna Saccomani tratte dal Blog Le Cose che Penso del 5 gennaio 2013
Dopo 48 anni della mia esistenza, nel 2008, il 22 dicembre, alle ore 16,30, entro nella mia stanza e mi spoglio completamente, sistemo alla meglio il catetere post operatorio, è mi guardo allo specchio, intera! Si! Finalmente intera! Finalmente mi vedo!
Chi mi era accanto in quel momento dice che avevo una luce particolare nel mio sguardo, che è stata una emozione fortissima vedermi in quel modo, nonostante fossi ancora piegata dalla recente operazione. Una amica che è venuta a trovarmi in ospedale dopo l’operazione scrisse una poesia, impressionata dalla “luce” che emanavo!
Cosa fosse quella “luce” non lo so! So che ero veramente contenta, di una contentezza piena. Questo forse era la “luce” che gli altri hanno visto.
Quel Natale lo passai con le persone della mia quotidianità, ed è stato il mio natale. Il mio primo natale da intera, con quelle persone che hanno vissuto e partecipato quotidianamente a quel lungo e difficile cammino che mi ha portata a quel 22 dicembre 2008, quel difficile cammino che è ripreso sistematico e quotidiano a partire dal 27 dicembre del 2008.
A me non piace il natale e non piace il capodanno. Non mi sono mai piaciuti! Dall’età di cinque anni ho ricordo del natale come un momento pesante, un momento di grande solitudine. Mi ricordo perfettamente quel natale del 1964, in quella Chiesa Battista del Piemonte. Era prassi che a Natale le chiese facessero un dono a tutti i bambini e bambine che frequentavano le scuole domenicali.
Io, figlia di pastore, seguivo mio padre e mia madre in tutte le chiese che avevano in cura e, quindi, mi facevo tutte le scuole domenicali e, in quelle più grandi, partecipavo alla consueta recita natalizia. Quell’anno dovevo recitare una poesia. Feci la mia recita ed arrivò il momento della consegna dei regali, ma quando venne il mio turno … fui saltata perché il mio dono era stato dato ad un altro bambino che non frequentava, ma che per natale era venuto con la famiglia al culto e a vedere la recita.
Mi ricordo perfettamente che non dissi nulla, ma uscii da quella chiesa e non ci sono più entrata fino all’estate del 1997. Il natale delle grandi riunioni di famiglia, dove siamo tutti insieme! Ricordo il natale del 1986, quando finito il mio culto a La Spezia feci una corsa pazzesca per raggiungere Novalesa in Piemonte per passare il Natale con tutta la famiglia, arrivando a pranzo finito.
Poi ricordo ancora i Natali ed i Capodanno nelle chiese, dove raccoglievi tutte le persone che erano rimaste sole, natale di comunità che per quella occasione si dimenticavano di essere comunità, per trovarsi nella loro festa familiare dalla quale erano escluse tutte le persone che non facevano parte della famiglia.
Il natale come momento topico nel quale chi non ha famiglia, si trova nella solitudine più profonda rimarcata dal contesto sociale che la enfatizza. Quei natali che erano un febbrile lavoro per costruire giochi, intrattenimento, momento di festa che facesse superare quel profondo senso di solitudine e di abbandono.
A me non piace il Natale perché è stato sempre segno di esclusione e di discriminazione, sempre momento in cui nella apparente felicità altrui veniva stigmatizzata la reale solitudine ed abbandono di altri, di molti altri.
Mi sono sempre chiesta cosa sia il natale e cosa sia diventato a partire dalla prassi delle chiese. Per quanto mi sforzi di trovare una qualsiasi correlazione, non vi riesco! Non c’è alcun rapporto tra il senso ed il messaggio del natale e quello che viene comunicato dalle chiese e vissuto nella società. Ho apprezzato chi augurava a tutti di passare una buona festa del sole invinto, la festa del solstizio d’inverno, poiché questo mi coincide di più con quello che è la festa natalizia e la farsa di una religiosità dell’avvento. Avvento di che?
Ho maturato in questi ultimi anni l’evidenza che il mio dio non è quello che gli altri esprimono e professano. Si, perché il mio periodo d’avvento è quello di chi riflette sulla propria quotidiana azione contro l’arroganza, la prepotenza e la violenza dei potenti, e considerando la propria sconfitta quotidiana riflette sulle parole dell’Evangelo di Luca al cap.1, versetti da 39 a 55, specialmente quando dice: “Egli ha operato potentemente con il suo braccio; ha disperso quelli che erano superbi nei pensieri del loro cuore; ha detronizzato i potenti, e ha innalzato gli umili; ha colmato di beni gli affamati, e ha rimandato a mani vuote i ricchi.”.
Il mio avvento riflette su questo testo in modo particolare, così come a tanti altri testi di questo tenore. Si, rifletto perché devo fare i conti con la mia speranza che alimenta la mia quotidiana lotta politica, economica, sociale e culturale, ed il quotidiano trovarmi di fronte al trionfo degli “empi” ed alla cecità di un popolo che continua ad essere come un gregge sfruttato, offeso e lasciato in preda di lupi rapaci.
Rifletto sulla mia inadeguatezza, la mia incapacità, la mia totale insufficienza di lenire, anche semplicemente lenire, il dolore e la sofferenza di qualcuno anche di una sola persona.
Il mio avvento è caratterizzata da questa riflessione politica che vuole essere anche il cercare di fare il punto della situazione, così come il Natale dove ci viene annunciato che “ci è nato un re” e che il “regno di dio è già giunto tra noi pieno di grazia e di verità” diventa il momento nel quale mi interrogo se ancora riesco a vedere in questa storia il “regno di dio”, se questo “re” signoreggia o meno e se signoreggia come lo fa.
E si, perché guardo alla disperazione della solitudine delle persone che, come me, sono fuori dal gioco della “festa forzata di un vogliamoci bene almeno per questi giorni”, “del siamo più buoni almeno in questo periodo”, dove quell’”almeno” è una ferita che di continuo si apre nel compiacimento di tutti, nel sorriso di tutti (compreso il mio) che accondiscende ad una parodia di cui tutti siamo ipocritamente consapevoli.
E come credente mi chiedo in cosa credano gli altri che usano i miei stessi testi, che fanno riferimento allo stesso Gesù, che dicono di credere in quel dio che vorrebbero essere il dio di tutti. No! Non è il mio dio, il vostro dio non è il mio!
Si, io sono prima di ogni cosa una persona, una persona credente, donna transessuale, poi sono anche tutto il resto e, come ogni persona, sono “uno, nessuno e centomila”, come poche persone sono come Geremia che si chiede il senso dell’esistenza, sono come Osea che si fa indice della mano di dio, del mio dio, per accusare te sacerdote e te profeta, che avete nascosto la conoscenza a questo popolo, tanto che questo popolo muore per mancanza di conoscenza, ma la contrario manifestate una pietà che è come nebbia che si dissolve al primo sole ed avete dimenticato che “dio” vuole fedeltà al patto e non i vostri sacrifici e i vostri riti, sacrifici e riti che ha in abominio perché voi parlate di pace, e dite pace dove pace non c’è!
No! Non c’è pace in una società che porta più di 11.000 persone ad uccidersi per la disperazione di non riuscire a reggere di fronte ad una economia che va a rotoli; non c’è pace nello sguardo di coloro che lavorano sottopagati e senza sicurezza alcuna e che non riescono a far fronte al quotidiano; non c’è pace in coloro che ogni giorno devono correre per inventarsi come poter pagare, far fronte, tenere in piedi una attività per non licenziare, senza darsi o pensare che avrebbero forse anche il diritto di vivere.
Non c’è pace nelle menzogne e nel teatrino di una società in cui si gioca solo all’interesse di qualcuno e dove senti che, mentre c’è chi non riesce più a campare, c’è chi ha quintuplicato il proprio capitale, e chi ha fatto questo sono coloro che il capitale già lo avevano. No, non c’è pace in una società dove la persona è solo mero mezzo per il raggiungimento del profitto.
Questi vostri natali e vostre feste non sono le mie feste! Non perché io abbia fatto la scelta di stare con gli “ultimi della società”, ma perché io faccio parte di quegli ultimi di fatto e di diritto! Faccio parte di quella massa di persone che è esclusa e che è stata gettata nella terra di nessuno.
Io sono in quella terra di nessuno insieme a tante altre persone e, forse, l’unica differenza con loro è che io non guardo più alle vostre terre con nostalgia e con la speranza di potervi rientrare, ma piuttosto sono a chiedervi di uscire dalle vostre terre di qualcuno, per poter vivere sulla terra, su questa terra senza che alcuno se ne appropri.