Le frecce del desiderio. San Sebastiano come è diventato un’icona gay?
Articolo pubblicato sul sito del quotidiano The Independent (Gran Bretagna) il 10 febbraio 2008, liberamente tradotto da Silvia Lanzi
Non tutti i giorni i santi cristiani appaiono sulle copertine delle riviste gay, ancor meno uno lucido di olio per bambini e con un paio di Calvin Klein. Ma è questo che è successo con il numero dello scorso luglio della rivista reFRESH, il santo in questione interpretato dal poliziotto francese, diventato un fusto della televisione, Sebastien Moura.
Interpretava Ignazio di Loyola? Francesco d’Assisi? Paolo di Tarso? Non proprio.
L’unico santo che è davvero perfetto come ragazzo-copertina è san Sebastiano, quel giovane romano dai capelli ricci trapassato dalle frecce per ordine dell’imperatore Diocleziano.
Per gli uomini gay, il fascino di Sebastiano sembra ovvio: era giovane, maschio, non sposato e martirizzato dal sistema. Al contrario di, per esempio, sant’Agostino d’Ippona, in perizoma e legato ad un albero era davvero molto bello. E mai Sebastiano è stato più accattivante che nelle sette versioni di lui dipinte da Guido Reni, sei delle quali sono state esposte alla Dulwich Picture Gallery (Inghilterra) nel [marzo 2008].
Prima di guardarle, facciamo un passo indietro. Seguitemi, se volete, a Roma, nella chiesa di San Pietro in Vincoli, non lontano da San Sebastiano Fuori le Mura, dove dal 287 d.C. giacciono i resti del martire trafitto. Qui, in una nicchia sulla sinistra, c’è un mosaico del VII secolo di un uomo maturo, con la barba e abiti di corte bizantini. Dato il nome della chiesa, potreste prenderlo per san Pietro. Avreste torto. Il santo è Sebastiano, anche se ha chiaramente superato i quaranta e non c’è ombra di frecce.
Cosa succede? Semplicemente, Sebastiano è la prova vivente del fatto che, se i santi non esistessero, bisognerebbe inventarli. Grazie alle frecce, è un martire che tutti possono riconoscere. (L’iconografia è davvero ingiusta. Ai giorni nostri, chi riconoscerebbe le pietre di santo Stefano o la graticola di San Lorenzo?) Un torso lucido aiuta.
Ma, secondo il suo agiografo Ambrogio di Milano, Sebastiano era un possente capitano della guardia pretoriana, un maturo centurione: è il santo patrono di soldati e atleti, non dei parrucchieri. Lungi dall’irritare Diocleziano facendo proseliti all’amore omosessuale, fu ucciso perché convertiva al cristianesimo i romani. E sappiamo tutti a cosa questo portava.
Ma c’è di peggio. Non solo san Sebastiano era maturo e virile, ma non è neppure stato ucciso dalle frecce. Trafitto, sì, ma non ucciso. Il martire fu salvato dal palo e accudito fino alla guarigione da Santa Irene da Roma (una donna, ragazzi!) prima di rimproverare incautamente Diocleziano per il suo paganesimo mentre passava su una lettiga.
Irremovibile, nonostante la sua tenacia, l’imperatore bastonò Sebastiano a morte; il suo corpo venne poi gettato nelle fogne di Roma. Se la storia fosse stata meno clemente, sarebbe potuto essere il santo patrono delle fogne.
Non sapremo mai come un fatto del genere avrebbe potuto influire sulla sua carriera di ragazzo-copertina gay. Posso solo ricordare la rappresentazione di san Sebastiano gettato nella Cloaca Maxima (di un contemporaneo di Reni, anche lui bolognese, Ludovico Carracci) nascosto in un posto sicuro al Getty Center di Los Angeles.
Al contrario, ci sono molte più raffigurazioni di Sebastiano trafitto che di altri martiri a cui potrei pensare, dipinte da tutti: da Aleotti a Zick passando per Rubens, Botticelli, Tiziano e John Singer Sargent. La sola National Gallery ne ha una dozzina, incluse quelle di Crivelli, Gerrit Honthorst e Luca Signorelli.
E sono tutti il medesimo Sebastiano, quello, per intenderci, finito sulla copertina di reFRESH: esempio di bellezza maschile, il suo corpo tonico, graziosamente trafitto dalle frecce, esposto al nostro sguardo; il martire descritto da Oscar Wilde (che, durante il suo esilio francese, adottò lo pseudonimo “Sebastian Melmoth”) come “un amabile ragazzo dalla pelle bronzea, con capelli folti e ricci e labbra rosse”.
E allora come arriviamo da un Sebastiano incrostato di liquami di fogna ad un cotonato Sebastien Moura? Per avere una risposta, fate un salto a Dulwich.
I sei Sebastiani di Reni non sono mai stati visti tutti insieme prima, ed è improbabile che succeda ancora. (Uno arriva dalla Nuova Zelanda, un altro da Puerto Rico. Un settimo, al Louvre, è stato ritenuto troppo delicato per sopportare il viaggio. Se avete bisogno di una scusa per un fine settimana a Parigi, eccola.)
Sembra una cosa straordinaria che un pittore si sia rivolto così spesso allo stesso soggetto, specialmente in un periodo così breve. Gli ultimi studi fanno risalire tutti e sette i Sebastiani al 1610, quando Guido era sulla trentina ed era appena tornato da Napoli.
Alcune di queste tele possono essere attribuite al buonsenso politico. Bologna era stata annessa allo Stato Pontificio nel XVI secolo, e Sebastiano era il terzo santo di Roma. Di nuovo, l’ambiguità sessuale di Sebastiano forse, in Reni, aveva toccato qualche corda nascosta.
Secondo il suo biografo Carlo Cesare Malvasia, Reni “diventava di sasso” in presenza delle modelle femminili e visse con sua madre fino a cinquantacinque anni. Dopo la sua morte rifiutò di avere donne in casa o che una donna gli facesse il bucato.
Diversamente dal suo contemporaneo Caravaggio, non sembra però aver avuto una vita “gaia”. Sebastiano è, senza ombra di dubbio, un santo maschile, ma il suo martirio è l’incarnazione della passività femminile. Come la Vergine, è trafitto ma puro.
Lontani dall’essere omoerotici, i Sebastiani di Reni sono anti-erotici, una cancellazione della sessualità da parte di un uomo che non sembra aver amato né da uomini, né da donne: uno, insomma, che non era né carne né pesce.
Nessuna di queste ipotesi però spiega la trasformazione dell’iconografia del santo da un uomo di mezza età bizantino ad un ragazzino barocco glabro e sensuale. Qui Reni seguiva solo la moda. Il polittico della Misericordia di Piero della Francesca, dipinto due secoli prima, mostra già un Sebastiano giovane, flessuoso e dalla pelle liscia. Ma perché?
Nel 1348, l’Europa era stata devastata dalla Morte Nera: fino alla metà dell’intera popolazione del continente era morta tormentata da continue emorragie. Nel loro terrore, i romani avevano pregato Sebastiano (dopotutto, era sopravvissuto a tutte quelle frecce) e l’epidemia era finita: volente o nolente, era diventato il santo della peste più figo della cristianità.
È normale che i santi delle epidemie sembrino non avere mai avuto un piede nella fossa (o, per quanto riguarda il santo in questione, nella fossa biologica). Così, entro la fine del XIV secolo, il Sebastiano di mezza età subì un restyling e la sua barba, le rughe e la vera causa della morte vennero accuratamente cancellate dalle sue raffigurazioni.
Anche così, c’è un abisso tra le tele di Reni e la copertina di reFRESH. Non ci sono risposte scontate alla domanda sul perché Sebastiano abbia passato gli ultimi quattrocento anni come santo gay del giorno. Ci sono tante spiegazioni per il suo fascino quante sono le persone.
Per Yukio Mishima, scrittore giapponese e appassionato sadomasochista, il suo martirio simbolizza il piacere erotico della sofferenza. Nel suo autobiografico “Confessioni di una maschera” il protagonista, nel quale si scorge facilmente lo stesso Mishima, ha la sua prima eiaculazione su una riproduzione del Sebastiano di Reni. (Come, è pruriginoso dirlo. Immaginatelo voi.)
Più tardi, prima di fare seppuku, Mishima si fece fotografare mentre impersonava il santo. Il film “Sebastiane” (1976) di Derek Jarman usa il giovane in perizoma per investigare la sovrapposizione tra l’estasi sessuale e quella spirituale, mente per Oscar Wilde e Tennessee Williams è un ragazzo-squillo della tarda antichità.
Ma forse la reinvenzione più strana di Sebastiano ci arriva dal discorso di Thomas Mann in occasione del ritiro del Premio Nobel: “La grazia nella sofferenza: è questo l’eroismo simbolizzato da san Sebastiano” disse Mann; poi, scaldandosi, aggiunse: “L’immagine può essere audace, ma sono tentato di rivendicare questo eroismo per la mente tedesca e l’arte tedesca”. Era il 1929. Un decennio più tardi, i gay tedeschi come Mann saranno rastrellati e gassati.
Tutto ciò per dire che il segreto del successo di Sebastiano potrebbe risiedere nella sua capacità di essere la fantasia perfetta per tutti gli uomini. Il simbolo del suo martirio è, insieme alle famose frecce, la corda che gli lega le mani; eppure il multiforme Sebastiano non sarà mai legato. La scrittrice e attivista politica Susan Sontag ha notato che sul suo viso non c’è traccia dell’agonia del suo corpo, che la sua bellezza e la sua sofferenza sono eternamente disgiunte l’una dall’altra.
Questo lo rese a prova di peste nel 1348 e, in questi tempi spietati, è ancora così. Un recente libro dedicato al martire include lavori correlati all’Aids di artisti quali Wolfgang Tillmans e Louise Bourgeois. Si intitola “Saint Sebastian: a splendid readiness for death”.
Testo originale: Arrows of desire: How did St Sebastian become an enduring, homo-erotic icon?