Le lezioni americane di Francesco
Articolo di Agostino Giovagnoli pubblicato su “La Repubblica” del 28 settembre 2015
Papa Francesco esce rafforzato dal suo difficile viaggio a Cuba e negli Stati Uniti. Le aspettative della vigilia erano incerte. Si prevedeva che sarebbe passato da un’eccessiva sintonia con popolo e governanti cubani ad un incontro problematico con politici e opinione pubblica statunitensi, confermando l’immagine di un leader da Terzo Mondo in difficoltà davanti alla prima potenza mondiale. Non è andata così. Pur in clima di grande cordialità e simpatia, a Cuba Francesco ha sottolineato che «si servono le persone e non le ideologie» e, soprattutto, ha denunciato chi «abusa dei propri concittadini». Negli Stati Uniti, invece, si è guadagnato l’applauso bipartisan del Congresso, pur affrontando argomenti scomodi come vendita delle armi e pena di morte, mentre il suo discorso all’ONU ha avuto un grande impatto, pur criticando l’inerzia delle Nazione Unite. Si è fatto largamente apprezzare per la sua umiltà, ma ha parlato autorevolmente ai suoi interlocutori. Fino a ieri, prevaleva l’immagine di un Papa delle periferie, che viene dal Sudamerica e che parla soprattutto agli esclusi. Durante questo viaggio, invece, Francesco ha fatto leva sulla sue origini di “migrante” e sulla dignità dei poveri per proporre una prospettiva universale, in grado di parlare a tutti e di interrogare anche le élites. Ha parlato, infatti, degli esclusi ma anche di una casa comune per tutta l’umanità, dei più poveri che soffrono maggiormente dei disastri ambientali ma anche dell’interesse di tutti per un ambiente vivibile. Questo viaggio esprime la “ maturità” del pontificato bergogliano e la statura raggiunta del Papa quale leader globale. Se, nella emozionante prima volta di un Papa all’Onu, nel 1965 Paolo VI ha anzitutto presentato al mondo se stesso e la Chiesa cattolica, definendola “esperta di umanità”, a cinquant’anni di distanza Francesco è entrato direttamente nella discussione sulle priorità dell’agenda mondiale. Al Palazzo di vetro, ha ricordato che non c’è vera pace senza giustizia sociale ed economica e senza libertà anzitutto spirituale, a Ground Zero ha sottolineato che la pace non si persegue con lo scontro di civiltà ma costruendo una convivenza multiculturale e multireligiosa. Ha posto, insomma, le grandi questioni dell’uguaglianza, della libertà e della fraternità, già enfatizzate due secoli fa dalla Rivoluzione Francese. Non più, però, nell’orizzonte dello Stato nazionale, ma in quello di un mondo sempre più globalizzato. I riflessi di questo viaggio riguardano anche la Chiesa cattolica. L’incontro con l’episcopato americano era segnalato, alla vigilia, come uno dei momenti più problematici. Pur nel rispetto delle Chiese locali, Francesco ha mostrato un senso forte dell’universalità del suo ministero. Osservando «le tentazioni di chiudersi nel recinto delle paure, a leccarsi le ferite, rimpiangendo un tempo che non torna e preparando risposte dure» ha indicato l’urgenza anche negli Stati Uniti non di trasformare la «Croce in un vessillo di lotte mondane» ma di una «Chiesa in uscita». È un’indicazione che ha trovato conferma nell’affettuoso incoraggiamento alle suore americane, oggetto in passato di censure severe, e nell’auspicio di una maggiore responsabilità dei laici nella Chiesa. In questo viaggio, insomma, Francesco ha mostrato l’immagine di una Chiesa che non si ripiega “ad intra” ma si rivolge “ad extra”, come voleva il Vaticano II. Lo si coglie anche dall’ultima tappa del suo viaggio, l’incontro mondiale delle famiglie a Filadelfia, dove ha parlato — a braccio — della famiglia quale «fabbrica di speranza e di vita», particolarmente importante per i più deboli, come bambini e anziani. In vista dell’ormai imminente sinodo sulla famiglia, sono già iniziate le polemiche tra favorevoli o contrari alla comunione per i divorziati, tra i sostenitori di una visione giuridica del matrimonio e quelli di una visione teologica ecc. Si tratta, ancora una volta, di discussioni in gran parte “ad intra”. Ma Francesco, da una parte, ha ridimensionato la questione più controversa semplificando la normativa sui processi di nullità matrimoniale e, dall’altra, invia ora da Filadelfia il messaggio che la vera sfida non si gioca all’interno della Chiesa ma nella realtà concreta della società contemporanea, non riguarda le dispute dottrinali ma i processi storici.