Le mie tre vite. Scoprirsi gay tra i testimoni di Geova
Testimonianza invitaci da Ste
Cari amici, Grazie per la buona volontà e l’impegno che mettete nella realizzazione del Progetto Gionata. Unire gli individui che possono condividere un’esperienza comune è qualcosa che mi affascina molto perché con l’ascolto e la comprensione reciproci è possibile avanzare nel cammino con maggior forza e determinazione. Desidero condividere la mia testimonianza ed esperienza.
Nasco 36 anni fa in una famiglia di testimoni di Geova. La mia infanzia è tranquilla e nella nostra casa l’ambiente è sereno e accogliente.
A contribuire a questa situazione è l’applicazione dei valori cristiani di base come lo spirito di sacrificio, il valore della famiglia, la volontà di rimanere uniti nonostante le difficoltà, valori in parte assimilati dalle famiglie dei miei nonni (non dai testimoni di Geova) e rafforzati poi con la fede dei miei genitori.
A scuola la convivenza con gli altri è pacifica, ma l’esperienza di essere “diverso” in termini religiosi mi dà l’opportunità di dover cercare dentro di me e presso la mia famiglia il sostegno necessario per vivere come parte di una minoranza. La vita nella comunità religiosa è appagante per il bambino che ero, i talenti sono valorizzati e ci sono molti amici con gli stessi valori con cui posso giocare.
Fin da che ho memoria, ricordo comunque che nel mio mondo immaginario, vedevo me stesso in una vita affettiva futura con una persona del mio stesso sesso, ma questo non costituiva un problema per me, mi sembrava assolutamente naturale e non potevo concepire che fosse altrimenti, considerata l’innocenza dell’età.
Durante la pre-adolescenza un’amicizia con un mio compagno di fede conosce l’esperienza dell’intimità fisica per molti mesi. Ricordo molto bene che i miei sentimenti erano misti e vivevo in uno stato costante di turbamento, come in un eterno contrasto con due parti di me.
Credo che i miei intuissero qualche cosa, così come pure i genitori del mio amico. Ma sarebbe stato troppo imbarazzante forse affrontare l’argomento. Non lo affrontai mai con nessuno. Cercai di lasciarmi alle spalle quel periodo, facendo finta di nulla.
Ma i miei pensieri di adolescente erano per me chiaramente indirizzati, ciononostante mi dissociavo da quella parte di me che non emergeva mai in pubblico ma restava li nascosta dentro la mia mente. Pensavo che ai miei genitori e ai miei amici tutto questo non sarebbe piaciuto e non volevo essere posto ai margini o escluso dalla vita sociale della mia cerchia. L’accettazione era quindi prioritaria sull’espressione del mio orientamento.
Continuavo per conto mio a leggere altre pubblicazioni non della società (dei Testimoni di Geova), in cerca di risposte più profonde che non trovavo nelle pubblicazioni della mia comunità. Dovevo uscire dal guscio, esplorare il mondo. Ciò che era sempre stato definito come “i desideri del mondo” mi attraeva enormemente.
Conobbi molti altri amici all’interno dell’organizzazione, ragazzi della mia età, con cui la sessualità era un tema tabù, ma con cui si poteva facilmente trovare l’occasione di uscire in giro per discoteche e party, cercando di dimenticare i conflitti interiori con il divertimento e l’alcool.
Essi erano evidentemente ai margini dell’organizzazione, ed erano considerabili come cattive compagnie.
Questo tipo di vita appagava il mio ego, potevo rimanere all’interno della comunità e avere una doppia vita sperimentando anche lo sballo. Per alcuni anni la mia vita trascorse così. Settimana di lavoro e occhi puntati sul venerdì in vista di un week end di sballo. Ero dipendente da questo.
Pur non essendo uscito ufficialmente dall’organizzazione, ero inattivo, era evidente che non avevo più alcun interesse per la fede e per le attività della congregazione.
Ero diventato arrogante, presuntuoso e un po’ egoista, mi era stato proibito qualcosa che mi piaceva e vedevo i fratelli osservanti come dei poverini che non sapevano ciò che stavano perdendo.
Tutto sommato, in tutti i “day after” del week end mi sentivo vuoto e inutile. Le amicizie erano ormai solo amicizie per un drink e mi mancava il rapporto con qualcuno da amare veramente. Provai con una ragazza testimone di Geova che mi amava per davvero, sapeva della mia vita non ortodossa, ma era disposta ad accettarmi così com’ero.
Provai per un anno, ma non sentivo niente, pensavo di essere incapace di amare. Durante gli incontri con lei cercavo sempre una scusa per scappare e andare in giro per locali, più volte gli dicevo di sentirmi “diverso” e ancora non so se lei realmente comprendeva il senso di quelle mie parole.
Durante un Natale del 2005, mentre ero ancora con lei, ebbi diverse giornate di pianto. Decisi in quel momento che volevo e dovevo avere una storia con un ragazzo per poter capire questa esperienza.
Iniziai a frequentare le chat e conobbi diverse persone, alcune anche personalmente. Durante il marzo del 2006, poco tempo dopo conobbi in chat un ragazzo molto particolare, era diverso da tutti gli altri, in qualche modo molto “spirituale” e pieno di attenzioni, genuino, vero, nonostante le molte contraddizioni apparenti.
Iniziammo a frequentarci e così a un certo punto mi resi conto di fare una tripla vita: una in famiglia e con la mia “ragazza”, una nei locali e con gli amici “da sballo”, una con il mio nuovo amico e ragazzo. Era davvero troppo.
Ruppi con la mia ragazza, che attraversò in seguito un periodo oscuro a causa della nostra rottura. Mi gettai in questa nuova avventura per la prima volta con un ragazzo che veniva da una realtà completamente diversa dalla mia. Con nessuna consapevolezza di come amare una persona del mio stesso sesso. Non fu facile, ma lo amavo, o pensavo di amarlo, profondamente. Tuttavia, la vita “mondana” con tutte le sue dipendenze e schiavitù mi avviluppava ancora, non riuscivo veramente a comprendere la persona che mi stava di fianco con tutte le sue complessità.
Tra alti e bassi, giunse il 2012: il mio egoismo si era certo smorzato e avevo certo pensato di capire cosa volesse dire amare. Ma non fino in fondo. Ero solo nella mia storia con lui. Nessun altro di cui fidarmi veramente e con cui poter parlare. A causa della sua infanzia difficile e di alcune problematiche di stabilità psichica ed emotiva, passammo alcuni mesi davvero brutti e oscuri, che non racconterò qui nel dettaglio.
La vita mi sembrò così cupa e a tratti senza senso. Per diversi mesi ogni giorno trattenevo le lacrime per la tristezza e l’angoscia di vedere il mio unico vero compagno in quello stato deprimente e oscuro e passavo i momenti prima di dormire in preda alle lacrime di disperazione.
Sentivo che stavo sbagliando qualche cosa o forse tutto, sentii che forse per molti anni avevo sbagliato qualcosa. Non avevo accettato e compreso veramente chi ero io e quindi non potevo neanche comprendere e accettare chi mi stava di fronte.
Fortunatamente in tutti quegli anni non avevo mai smesso di cercare una “diversa spiritualità” e questo mantenne vivo, seppur in modo raffazzonato ed approssimativo, questo lato dell’essere umano.
Conobbi nel 2011 il maestro Omraam Mikhail Aivanhov, lo conobbi solo su carta e nel pensiero beninteso, egli era morto in terra già nel 1986.
Di lui ricordai sempre quella frase: “Se nella vostra vita qualcosa non va come vorreste, interrogatevi se state lavorando nel modo giusto” e ancora “l’unica arma di fronte alle tenebre, è la purezza”.
In una notte di agosto, in preda al totale sconforto, provai a fare quello che in tutta la mia vita forse non avevo veramente mai fatto: pregai Lui, pregai Dio, Colui che avevo conosciuto come Geova.
Gli chiesi di purificarmi e di aiutare me e il mio compagno di cammino a camminare nella luce. Abbandonai tutte le pratiche che mi tenevano in schiavitù.
“Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”. Dovevo provarci, dovevo provare a cambiare me, prima di poter eventualmente aiutare qualcun altro nel suo cammino.
Entro un mese mi liberai da quelle che consideravo pratiche normali: fumo, alcool, pornografia, pensieri sessuali ossessivi e disturbanti. Mi sentii meglio e sono convinto che solo una forza superiore può avermi aiutato in questo cammino. Con il mio compagno cominciammo ad occuparci seriamente del nostro cammino come uomini, cercando di capire cosa volesse dire essere uomini.
Decidemmo di intraprendere questo cammino comune con la preghiera e la riflessione su pensieri spirituali. Cercammo di conquistare quello che forse non avevamo, nè io nè lui, veramente mai ricevuto: la fede.
La fede in una natura superiore dell’uomo, la fede nell’amore, quella fede di cui parlava Gesu’ quando diceva “se avrete fede come un granello di senape potrete spostare le montagne”. Decidemmo anche di avere l’umiltà di chiedere il supporto di una psicologa per poterci confrontare insieme e condividere davvero tutti i pensieri insieme in un percorso comune.
Capii che il passato di testimone di Geova non si poteva semplicemente cancellare. Capii che proprio il posto che avevo lasciato era quello che aveva seminato in me il seme della fede, che pero’ fino ad allora non era mai germogliato. Ma e’ li che avevo conosciuto il messaggio di Gesu’ e che cosi tanta forza mi da’ oggi.
Ritornai alla Sala del Regno e capii che anche lì può’ esserci lo spirito di Dio, perché si diffonde attraverso gli uomini. Uomini che sono imperfetti e a volte pieni di paure, come quella per l’omosessualità.
Nello stesso posto in cui ho trovato la dannazione ho trovato anche una via di salvezza. La negazione del mio orientamento sessuale mi ha probabilmente portato su un percorso di dolore e di sofferenza, che forse sarebbe stato abbreviato se in famiglia e nella comunità’ si fosse trovato lo spazio per affrontare insieme e in modo costruttivo, senza paura, questo tema.
So bene che probabilmente il mio futuro non sarà all’interno della congregazione dei testimoni di Geova, ma so anche che dovevo integrare questo aspetto della mia vita in me. Dovevo ritrovare la mia infanzia e la mia infanzia era li’. E’ solo da li’ che posso ripartire.
Ad oggi non faccio parte attiva di nessuna comunità religiosa ma riconosco molto bene le mie origini cristiane e ritengo di dover in qualche modo contribuire a far si’ che la mancata accettazione dell’omosessualità’ non sia un inganno per far perdere la fede e la speranza. Come dice Papa Francesco: non lasciate che nessuno vi rubi la speranza. Essa e’ la cosa più importante per un uomo.