Le mille storie della comunità transgender del Greenwich Village
Articolo di Mark Seliger* e Janet Mock pubblicato sul sito del settimanale The New Yorker (Stati Uniti) il 25 luglio 2016, liberamente tradotto da Claudia Basagni
La prima immagine di una persona trans che ha lasciato in me un segno indelebile era fotogramma di Venus Xtravaganza, una ballerina e performer transgender di circa vent’anni, in piedi sul molo di Christopher Street, nel Greenwich Village (New York, Stati Uniti). All’epoca avevo quindici anni, stavo diventando una donna indipendente, e ricordo nitidamente quell’immagine tratta dal documentario del 1990 Paris is burning (Parigi brucia). Il sole che tramontava sul fiume Hudson striava il cielo di blu, giallo e magenta. I folti capelli biondi di Venus si libravano sul suo corpo longilineo. Teneva tra le dita una sigaretta come se il Village fosse il portico di casa sua.
È nel Village, a Christopher Street e sui moli vicini, che molte persone trans e queer hanno cominciato a condividere lo spazio con gente come loro. Per generazioni, questi luoghi hanno offerto specchi a coloro che raramente vedevano il riflesso di se stessi. A Christopher Street c’erano moltissimi potenziali sé: transgender, transessuali, persone non-binarie, genderqueer, femme, butch, cross-dresser, drag king o queen, e altre identità di genere e orientamenti sessuali che sfidano le norme sociali.
Il 28 giugno 1969 la polizia fa irruzione allo Stonewall Inn, un celebre bar gay di Christopher Street. I clienti, tra cui giovani senzatetto, showgirl, gente di strada, sex worker e persone trans come Marsha P. Johnson, si opposero e reagirono. Nei giorni successivi, migliaia di persone si unirono alla protesta. La maggior parte dei manifestanti non aveva beni o proprietà. Tutto ciò che avevano era il loro corpo, e lo misero in prima linea per difendere la causa della propria libertà.
Sono passati quasi cinquant’anni, e Christopher Street è considerata il luogo di nascita del moderno movimento LGBT. A giugno [2016] il presidente Obama ha dichiarato l’area intorno allo Stonewall Inn “primo monumento nazionale del Paese a raccontare la storia della lotta per i diritti delle persone LGBT”.
Man mano che il quartiere si è imborghesito, gli atteggiamenti di alcuni residenti nei confronti delle persone trans e queer che ancora frequentano la zona si sono inaspriti. Le tensioni sociali e razziali sono aumentate. C’è più polizia, il che rende la zona più sicura per chi ha risorse, ma meno accogliente per chi non ne ha.
L’audace bionda che mi ha colpito in gioventù non riuscì a sopravvivere per vedersi sul grande schermo. Nel dicembre 1988 Venus fu trovata morta sotto un letto d’albergo. Era stata strangolata. Finora non è stato arrestato nessuno. Vorrei poter dire che il suo destino è raro tra le mie sorelle, ma in realtà è scoppiata una vera e propria epidemia di violenza contro le donne trans a basso reddito, soprattutto tra quelle di colore. Le ultime parole di Venus in Paris is burning sono “Ho fame”. È un appello per il cibo, ma vedo anche una forte richiesta di conforto, di amore, di casa: un appello comune delle persone trans di Christopher Street e di tutto il Paese, da Merchant Street a Honolulu a Halsted Street a Chicago.
La mia comunità viene percepita e ascoltata a livelli mai visti prima, eppure continuiamo a essere un capro espiatorio. La presenza e la visibilità delle persone trans mettono alla prova ognuno di noi. Queste sono le nostre strade e questa è la nostra gente.
Tamia (Tiny) Carson, diciannove anni: “Quando avevo dodici anni indossavo le scarpe e i vestiti di mia madre, e ho sempre fantasticato sulla possibilità di diventare una donna. Poi un giorno, a Christopher Street, ho visto per la prima volta una donna transgender. Ho ancora tanta strada da fare, ma mi sento un po’ più felice, più a mio agio. Ora ho il seno. Ma non è ancora finita. Sto ancora lavorando sulla mia bellezza”.
Bree Benz, cinquantacinque anni: “Io e mia moglie ci siamo separati nel gennaio 2015. A marzo ho deciso di iniziare a prendere gli ormoni. L’ho fatto pensando che avrei continuato a nascondermi. Solo il primo luglio 2015 ho pensato che forse avrei potuto prenderli a tempo pieno; ho scelto il primo luglio come nuovo compleanno, e a ottobre vivevo a tempo pieno come donna. Sono felice? Sì”.
Carmen Carrer, trentun anni: “Fin dalla prima elementare sapevo già che avrei dovuto crearmi un personaggio per integrarmi. Una volta diplomata, sono andata subito al Village. Avrei voluto nascere femmina, ma non è successo, così mi sono identificata come uomo gay. Ho iniziato la transizione a venticinque anni, quando avevo già successo nel mondo drag. La persona gay che pensavo di essere ha iniziato a sentirsi come un altro personaggio, e questo mi stava consumando l’anima. Da quel momento la mia vita è iniziata davvero”.
Vickyana Torres, trentaquattro anni: “Avevo un compagno da molto tempo, e abbiamo cresciuto insieme i suoi figli. Non pensavo che sarebbe stato appropriato comportarmi così davanti a loro. Poi però sono cresciuti e si sono trasferiti, e mi sono detta: Sai cosa? La mamma è libera! Non è più il mio compagno, ma è il mio migliore amico. All’inizio i miei figli non si sentivano a loro agio con questa transizione, ma ora che vedono il tipo di persona che sono diventata, lo accettano”.
Ni’Tee Spady, trentatré anni: “Sono un ragazzo virile che ama le donne, e mi identifico come etero. Sto con la stessa donna da tredici anni. È stata con me prima e durante la mia transizione. Non è sempre stato facile. Ho vissuto le mie emozioni insieme al testosterone. È stato come rivivere la pubertà. Immaginate un ragazzo irrequieto che gira per casa a quindici anni; io ne avevo venti. È stata davvero dura, ma la ringrazio per aver sopportato i miei stati d’animo. Posso guardarmi indietro adesso, e sono davvero grato di averlo fatto”.
Mahayla Mcelroy, ventiquattro anni: “La mia famiglia sapeva che desideravo vivere a New York, quindi mi sono fatta valere facendo coming out venendo qui dalla California, sopravvivendo in città per cinque anni. Nella maggior parte dei casi ho tagliato i ponti, ma mio padre mi ha trovata su Facebook un paio di giorni fa. Non volevo crederci. È stato come strappare un cerotto da una brutta ferita. Volevo solo andare avanti. Ma è stato sicuramente toccante e allo stesso tempo sorprendente. Innanzitutto non mi aspettavo che mi trovasse con il nome che uso adesso, poi che mettesse like alle mie foto su Facebook o che mi parlasse così. Mi sono trovata su un’altalena di emozioni”.
Emmett Jack Lundberg, trentadue anni: “Quando ero al liceo ho fatto coming out come lesbica, e ho frequentato donne per la maggior parte della mia vita adulta. Ho pensato per la prima volta alla possibilità di essere trans quando avevo vent’anni, e ho iniziato la transizione medica a ventotto. È una questione di benessere, di stare nel proprio corpo nel modo in cui si vuole essere e di sentirsi se stessi. Ci si sente a proprio agio. Non significa che non abbia ansia o che non mi preoccupi, ma soltanto che è più facile stare al mondo nei panni della persona che so di essere”.
D’Jamel Young e Leiomy Maldonado, entrambi ventinovenni: “Lei è una donna trans e io un uomo trans, quindi questo ci rende del tutto normali. Io sono un uomo e lei è una donna, semplice”.
* Mark Seliger è un fotografo pluripremiato.
Testo originale: The Trans Community of Christopher Street