Le parole che non ci siamo detti per essere una “famiglia fortunata” con un figlio gay
Testimonianza di Edoardo di Roma del Progetto Giovani Cristaini LGBT
La famiglia. Per molti non esiste nulla di più importane: è con i familiari che vogliamo essere per festeggiare i momenti felici ed è da loro che vogliamo essere consolati in quelli tristi. E quando purtroppo arriva il giorno in cui devono lasciarci i loro volti, le loro voci continuano ad abitare nella nostra mente… ed a volte non possiamo fare a meno di ascoltarle.
E’ la famiglia che interviene quando abbiamo bisogno. E’ la famiglia che ci stimola quando vogliamo avere successo. E’ la famiglia che ci aiuta a mantenere i segreti.
“Famiglie fortunate” era il titolo dell’incontro di Firenze per genitori cattolici e i loro figli LGBT. Un titolo che da subito mi ha lasciato un po’… perplesso. Pensavo alla mia di famiglia, quella che ha accettato senza riserve il mio coming out (da piccolo, avrò avuto al massimo 6 anni, vedendo due uomini baciarsi, chiesi a mia madre cosa stessero facendo e lei rispose: “Si vogliono bene, come facciamo io e papà“).
Capite bene che il mio coming out è stato accolto nella più totale normalità nonostante fossimo una delle famiglie “bene” della parrocchia, quella che mi ha lasciato andare a vivere da solo a 20 anni assecondando il mio bisogno di indipendenza ed autonomia; quella che però ha una mandria di elefanti seduti comodamente in salotto, tanti sono gli argomenti tabù, perché da noi non si parla molto, da noi l’affetto si dimostra a gesti, a piccole attenzioni, a litigate furiose e paci silenziose, che sanno più di armistizi… Ebbene la mia famiglia si definirebbe una famiglia “fortunata”? Non so.
Mentre ascoltavo le varie esperienze pensavo a quanto sono fortunati i vostri figli che hanno genitori che s’interrogano, esplorano, cambiano, comprendono, si confrontano… o perlomeno ci provano, ché il cammino non è mai solo in discesa. E pensavo a quanto sono fortunati i genitori di quei figli che non si arrendono, che perseverano, che sperano, che piangono, che lottano…
La mia famiglia è un po’ un monolite, bellissimo ma fermo sulle sue posizioni (per fortuna posizioni molto liberali!) ed io… beh son uno che preferisce cercare altrove invece che lottare. Mi spiego meglio: son stato adottato da piccolo e, nonostante sia cresciuto in una famiglia che, a suo modo, ha dato sempre il massimo, mi sento sempre una piantina trapiantata. Un girasole in un roseto, tipo. C’è sempre qualcosa di … differente. Di simile ma non uguale, un puzzle che non combacia mai perfettamente.
Per non dare dispiaceri a chi ha messo in gioco tutta la sua vita per me ho sempre cercato altrove quel che mi mancava arrivando, allo stato attuale ad avere tante famiglie diverse. Tanti posti in cui sentirmi a casa. Tanti porti sicuri in cui approdare quando i vari mari sono in tempesta.
Ma ascoltandovi, conoscendovi, guardando i vostri gesti, quel reciproco amore che si esprime nelle piccole cose, quella parola detta al momento giusto… ho avuto come un’illuminazione. Non si diventa una famiglia dicendo alla gente che lo si è. Lo si diventa credendoci davvero.
Ed io, probabilmente, finora non ci ho creduto mai davvero. Per questo, almeno per ora, la mia famiglia non si può definire fortunata. Tocca lavorarci su.
Quindi grazie per avermi regalato questa consapevolezza forse per voi così scontata ma per me totalmente nuova.