Le parole che non ti ho scritto: commenti sul silenzio del Sinodo sui gay
Articolo di Ludovica Eugenio pubblicato su Adista Notizie n° 38 del 7 novembre 2015, pp.6-8
Profonda delusione, corretta qua e là da qualche seme di speranza per il futuro, è quella che si registra, nel mondo Lgbt ma non solo, per il vuoto lasciato dal Sinodo alla voce “omosessuali”. Se, infatti, alla questione dei divorziati risposati è stata dedicata una notevole attenzione, quella delle coppie gay è passata praticamente sotto silenzio.
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Poche aspettative
«Sul tema dell’omosessualità non mi aspettavo molto da un Sinodo sulla famiglia composto da vescovi che, in stragrande maggioranza, non considerano le unioni tra le persone dello stesso sesso una famiglia», è il commento di Gianni Geraci, presidente del gruppo di gay credenti “Il Guado” di Milano. Al punto 78 del documento finale, infatti i vescovi affermano lapidariamente che «circa i progetti di equiparazione al matrimonio delle unioni tra persone omosessuali, “non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia”». Eppure, argomenta Geraci, lo status di famiglia delle coppie composte da persone dello stesso sesso è il nodo che una riflessione seria sull’omosessualità dovrebbe sciogliere alla luce non solo dei toni polemici che hanno caratterizzato le posizioni del Magistero negli ultimi anni, ma anche della prassi e della riflessione che ha attraversato la Chiesa durante la sua storia, una prassi e una riflessione che hanno proposto un’idea di famiglia molto più estesa di quella un po’ asfittica di chi sostiene che l’unica famiglia sia quella fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna».
Ciononostante, proprio perché non nutriva particolari aspettative, Geraci si dice colpito positivamente dall’attenzione riservata dal Sinodo alle famiglie «che vivono l’esperienza di avere al loro interno persone con tendenza omosessuale». Più preoccupato è, invece, dal punto 8 del documento che tratta quella fantomatica “ideologia del gender” che «esiste solo nella fantasia di chi ha un’idea approssimata del variegato mondo dei gender studies. Mi preoccupa perché è un ulteriore sintomo del fatto che, con cinque secoli di ritardo, stia montando un nuovo “caso Galileo” in cui i vertici della Chiesa, fuorviati da finti specialisti che confondono l’apologetica con la ricerca scientifica, sembrano non essere più in grado di leggere correttamente alcuni aspetti importanti della riflessione antropologica contemporanea».
Il mancato riconoscimento del valore dell’esperienza dei credenti omosessuali, afferma Geraci, «non deve abbatterci, ma, al contrario, deve spingerci a vivere con maggiore coerenza e serietà la nostra vita e le relazioni che la Provvidenza ci darà modo di costruire. Ancora una volta siamo chiamati a non inseguire delle autorizzazioni esterne che, per tanti motivi, sembrano non arrivare mai, ma a seguire la nostra coscienza che, come scrive Tommaso d’Aquino nel De Veritate, “vox Dei est”».
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La questione è ormai sul piatto
«La moderata apertura della Relatio post disceptationem del Sinodo precedente è finita nel cestino», è il commento dell’associazione Noi siamo Chiesa. «La sbrigativa conferma della non equiparazione delle unioni omosessuali col matrimonio dovrà comunque confrontarsi con un’opinione contraria che si va diffondendo ovunque. Potevamo sperare almeno che la coppia omosessuale stabile fosse considerata come positiva (o non negativa) o almeno che si lasciasse, alle situazioni ecclesiastiche locali, la possibilità di un approccio pastorale diverso». Tuttavia, «il problema delle persone omosessuali nella Chiesa ora è stato posto con molta forza e siamo abbastanza sicuri che sarà ancora oggetto di necessaria contraddizione nella vita delle nostre comunità cristiane. Esse si dovranno confrontare con il vissuto di tante sorelle e fratelli, iniziando a praticare per davvero una posizione di completa accoglienza e di attivo intervento contro ogni discriminazione all’interno della Chiesa ed anche all’esterno».
Del fatto che una nuova epoca per una cura pastorale inclusiva per le persone Lgbt si dischiudesse con il Sinodo era convinta, già prima dell’evento, la Global Network of Rainbow Catholics (GNRC), che poi, di fronte al documento finale, ha così commentato: «Dal momento che, al paragrafo 76, invita chiaramente a riservare “una specifica attenzione anche all’accompagnamento delle famiglie in cui vivono persone con tendenza omosessuale”, non vi è più alcuna ragione per non includere in questo obiettivo pastorale le coppie omosessuale stesse, così come i figli di genitori omosessuali».
La rete denuncia come senza fondamento l’«accusa secondo cui l’aiuto finanziario ai Paesi poveri è condizionato all’introduzione di leggi che istituiscono il matrimonio di coppie omosessuali», nonché il fatto che i vescovi non criticano pubblicamente la criminalizzazione e la violenza anti-Lgbt.
Anche Francis DeBernardo, direttore esecutivo dell’associazione New Ways Ministry, che si occupa di cura pastorale ai cattolici Lgbt, considera «un passo nella giusta direzione» la presenza stessa di un riferimento, nel documento del Sinodo, alle coppie omosessuali, ma, ammonisce, «non deve trattarsi dell’ultimo». In ogni caso, anche DeBernardo critica le espressioni di disapprovazione dei matrimoni omosessuali e il legame stabilito tra aiuti internazionali e leggi sulla parità matrimoniale.
Del tutto inaccettabili sono «i riferimenti nel paragrafo 8 a una “ideologia di genere”.
L’osservazione denota che i vescovi non comprendono l’esperienza transgender o il modo in cui le persone transgender vivono la loro identità di genere, spesso accolta come rivelazione spirituale e vitale. La Chiesa ha bisogno di una maggiore educazione in questo ambito, in particolare i vescovi».
Analogamente sconcertante è il riferimento al paragrafo 65, sull’adozione di bambini da parte di una madre e un padre: «Questa affermazione – dichiara DeBernardo – denigra i numerosi eroici sacrifici fatti da coppie gay e lesbiche che allevano figli rifiutati da altri, così come le numerose famiglie monoparentali che crescono figli spesso in condizioni economiche e sociali molto difficili». L’aiuto a risanare divisioni familiari causate dalla mancanza di comprensione dell’omosessualità o dall’ignoranza del magistero della Chiesa che prescrive il rispetto della dignità umana delle persone gay e lesbiche è un compito importante e necessario, specialmente nei Paesi dove minore è il livello di consapevolezza. Negli Stati Uniti, il ministero rivolto a famiglie come queste è stato un grande e luminoso segno di speranza per l’uguaglianza Lgbt, con la difesa da parte dei componenti familiari dell’inclusione dei loro cari nella Chiesa».
In sostanza, benché «questo Sinodo non sia pervenuto ad un pronunciamento più forte sull’accettazione delle persone Lgbt – conclude il direttore di New Ways Ministry – il movimento per una Chiesa più inclusiva ed equa per i membri Lgbt può trarre speranza da questo incontro, perché la discussione è andata avanti ed abbiamo sentito numerosi vescovi avvertire la necessità che questa discussione prosegua in futuro». Particolare entusiasmo ha suscitato la proposta di uno dei gruppi anglofoni e del vescovo belga mons. Johan Bonny di convocare un Sinodo dedicato esclusivamente alle tematiche Lgbt. Ciò consentirebbe non solo di avere il tempo di esaminare «la miriade di questioni collegate, comprese quelle dell’identità di genere, totalmente assenti dal Sinodo, ma anche di ascoltare di prima mano le testimonianze di persone Lgbt, delle loro famiglie e dei ministri pastorali».
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Fermi allo status quo
Più critica la visione di un altro importante organismo statunitense di cattolici Lgbt, Dignity Usa. Il documento, si legge in una dichiarazione diffusa alla fine del Sinodo, «offre ben poco di positivo» e lo stesso Sinodo ha rappresentato «un’occasione mancata». «La dichiarazione finale è essenzialmente un avallo dello status quo», ha commentato la direttrice esecutiva Marianne Duddy-Burke. «È motivo di profonda delusione per chiunque abbia sperato in un nuovo modo per la Chiesa di affrontare tutta una serie di questioni legate alla famiglia. La nostra dignità e sicurezza non saranno garantite. Le nostre relazioni continueranno ad essere considerate inferiori. La nostra capacità genitoriale è messa in discussione. Mi aspetto di continuare a essere considerati una “minaccia alla famiglia”, invece di essere riconosciuti come già pienamente integrati nelle famiglie».
«Non c’è speranza in questo documento», le fa eco, sul New York Times, Nicholas Coppola – cattolico gay newyorkese cacciato dai ministeri pastorali dopo aver sposato il suo compagno nel 2012 – anche se il fatto che la Chiesa «lavori con le coppie eterosessuali divorziate dimostra che i padri sinodali votano su temi inediti e cambiano ciò che chiamano legge di Dio», e che questo può costituire un elemento di speranza per le persone Lgbt.
In ogni caso, come ha sottolineato il giornalista David Gibson, del Religion News Service, il «silenzio sui gay è preferibile a parole dure»: «L’assenza, nel documento, di un linguaggio innovativo sui gay è stata una mossa tattica dei progressisti, che si sono resi conto di non avere l’appoggio del Sinodo per arrivare alla maggioranza dei due terzi… I conservatori, dal canto loro, si sono infilati da soli in un vicolo cieco, sostenendo che l’unico risultato positivo sarebbe stata la ripetizione degli attuali insegnamenti e pratiche della Chiesa e l’impedimento di qualsiasi futura flessibilità. Cosa che non è avvenuta».
Più critico è Ferdinando Camon, in un articolo pubblicato su La Stampa (26/10). Con gli omosessuali «il Sinodo è stato durissimo»: «Dice che le unioni gay vanno contro il disegno divino. Pochi tra i miei lettori lo ricorderanno, ma l’omosessualità, nel catechismo insegnato fino a una generazione fa, risalente a Pio X, era accostata all’“omicidio volontario”. Quel catechismo portava in appendice un elenco dei cosiddetti peccati “che gridano vendetta al cospetto di Dio”. Erano sette: il primo era l’“omicidio volontario”, il secondo il “peccato impuro contro natura”, cioè l’omosessualità. Ho avuto amici omosessuali, Pasolini, Sandro Penna, Dario Bellezza… Quando parlavo con uno di loro, lo guardavo in faccia e mi domandavo: è un assassino? Non ho mai risposto: sì». Quello che secondo lo scrittore, è un «errore della Chiesa», deriva da questo: «la Chiesa pensa che esiste la Natura, la quale spinge l’uomo verso la donna, ma l’omosessuale, per malignità, la stravolge, e va verso l’uomo. Così si ribella contro la Natura e contro chi l’ha creata. Un giorno la Chiesa comprenderà che l’omosessuale non va contro Natura, ma segue la propria Natura, esattamente come fa l’eterosessuale».
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Un silenzio assordante
Di «silenzi davvero assordanti» sul tema dell’omosessualità al Sinodo parla il teologo Damiano Migliorini in una articolata analisi sul sito di MicroMega: «In primis, va notata la mancata presa di distanza dalle legislazioni persecutorie contro gli omosessuali che si sta tentando di introdurre (o esistono) in vari Paesi non occidentali». Un’esplicita condanna di tali provvedimenti giuridici «avrebbe tolto alcune Conferenze episcopali (vedi quelle africane) dal pantano del sospetto di connivenza omissiva con governi che stanno violando i diritti umani fondamentali. Silenzio che stride se affiancato al risalto (due paragrafi!) dato alla “pericolosa” legislazione ispirata al “gender”».
Tuttavia il tono del documento sinodale rispetto al “gender” è di «apprezzabile pacatezza», almeno rispetto a quello utilizzato «in alcune recenti manifestazioni di piazza», e il punto 76 ha addirittura alcune parti positive: «Si afferma l’obbligo morale dell’accoglienza delle persone omosessuali in famiglia: tradotto in termini un po’ brutali, una famiglia che picchia, allontana, rifiuta, rinchiude o tortura (psicologicamente) il figlio omosessuale non può dirsi né cristiana né cattolica. Visto che le maggiori sofferenze delle persone omosessuali nascono all’interno delle famiglie, non è un’indicazione di poco conto».
Una notazione importante è quella che riguarda l’espressione «indipendentemente dalla propria tendenza sessuale» (n. 76). «Posta senza ulteriori precisazioni, lascia ad intendere che la tendenza sia concepita come un dato di fatto, e non qualcosa di “profondamente radicato” («gay si nasce», aveva affermato il card. Walter Kasper). Forse ci si avvicina, finalmente, a riconoscere che esistono orientamenti sessuali diversi dall’eterosessualità, che non sono “curabili”, ma vanno accettati come parte della realtà umana».
Un altro rumoroso silenzio, per Migliorini, riguarda la brevità del punto 76: «Sembra che l’assemblea abbia voluto far credere che il tema non fosse all’ordine del giorno, se non nella sfumatura “familiare” di questo paragrafo». Ma tutti, alla vigilia del Sinodo, «si aspettavano che del tema omosessualità si discutesse approfonditamente», poiché «era più che mai tra quelli su cui scornarsi. E invece, nella Relatio, c’è un silenzio tombale», giustificabile con le profonde divisioni all’interno dell’assemblea, che hanno consigliato l’elaborazione di un «testo soft (se confrontato ad altri documenti del magistero), e interpretabile un po’ in tutte le direzioni».
E ora? Ora, conclude Migliorini, «spetta al papa, su esplicito mandato del Sinodo (n. 94), produrre un documento. Il papa potrà ampliare e “dire” qualcosa in più, o mantenere questo garbato e faticoso silenzio. Oppure potrà fare la scelta, coraggiosa, di esplicitarne le ragioni».