Le parole della Bibbia: proséuchomai – pregare
Testo di Annamaria Fabri tratto da Castello7 n.28, 27 aprile 2008
«… e pregarono per loro perché ricevessero lo Spirito Santo.» (Atti 8,15). Il verbo greco proséuchomai significa pregare, chiedere e anche promettere solennemente dinanzi alla divinità.
Nella bibbia greca detta dei LXX questo verbo indica la preghiera rivolta al Dio di Israele e non ad altri.
L’uomo biblico prega nella consapevolezza di far parte di un popolo (Sal. 35,18) che ha un rapporto tutto particolare con Dio e per questo ogni sua richiesta non è un fatto meramente personale, ma si lega ad una storia della quale Dio è il protagonista (Sal. 17,6).
Il credente che prega sa che sarà esaudito soprattutto per la fedeltà di Dio e ne loda le opere in favore del popolo e di lui stesso.
Il “parlare con Dio” non è, come spesso nella nostra cultura, un moto esclusivamente interiore, ma è un colloquio fra persone che si esprime in parole, in gesti e atteggiamenti che, seppure provengano e debbano provenire dal cuore, tuttavia si manifestano anche esteriormente.
La preghiera sarà così accompagnata dal sacrificio, dal digiuno, dall’elemosina, dal culto esteriore ed anche dai movimenti del corpo.
Nel nuovo testamento proséuchomai è il verbo più usato per indicare il pregare ed è presente 85 volte, fatta eccezione per il vangelo e le lettere di Giovanni, dove non compare mai.
Il suo significato è per molti aspetti analogo a quello del vecchio testamento. Il testo che è rimasto emblematico per la preghiera del cristiano è Matteo 6,9-13 dove Cristo stesso, modello di ogni orante, dà ai suoi le indicazioni, che saranno poi la base di ogni preghiera che si chiama Dio col nome di “Padre”.
Su questo modello e alla luce della tradizione dell’antico testamento si sviluppa tutta la dimensione di preghiera del nuovo. Pregare diventa così lodare e ringraziare il Padre per averci dato la salvezza in Cristo Gesù, nostro unico Signore (Ef. 5,20; Col. 3,17).
E a Cristo stesso si innalzeranno preghiere nella consapevolezza della sua intercessione presso il Padre (Rom. 1,8).
La preghiera del cristiano, come del resto quella dell’antico testamento si dispiega quindi come preghiera comune nella consapevolezza dell’essere popolo, anzi, come dirà san Paolo, dell’essere tutti parte dell’unico Corpo di Cristo, certi che nella preghiera non solo si parla a Dio, ma Dio stesso per “voce” dello Spirito Santo che ci è stato dato, parla a nome nostro: «lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare, ma lo Spirito stesso intercede con insistenza per noi, con gemiti inesprimibili» (Rom.8,26).
Il pregare è quindi soprattutto gesto comunitario da vivere anche esteriormente e insieme a tutti coloro che condividono la stessa fede, lo stesso pane, lo stesso Spirito (Rom. 15,6).
La preghiera singola e devota, seppure necessaria non può alimentarsi che nella preghiera della chiesa intera del resto Gesù stesso dice di chiamare Dio “Padre nostro” e non “Padre mio”.