Le persone LGBT e le loro storie di ordinaria discriminazione
Testimonianze pubblicate sul sito Religious Institute (Stati Uniti), liberamente tradotte da Stefano M.
Naomi Washington Leapheart: Lo scorso giugno, mia moglie, Kentina, ed io, benedimmo il nostro matrimonio civile (lesbico), con una cerimonia di nozze consacrata, alla presenza delle persone a noi care, in una spiaggia a Cape May, nel New Jersey.
Tre mesi dopo, ci stiamo ancora crogiolando di gioia per quel giorno. La nostra gioia è più dolce perché in molti modi deriva dalla nostra resistenza: non tutti sono stati di sostegno alla nostra unione.
In effetti, ci fa ancora male ricordare che in gennaio, una possibile wedding planner, che stavamo valutando se assumere, ci disse che non poteva lavorare con noi perché credeva nella definizione biblica di matrimonio che, secondo lei, rendeva il nostro illegittimo. Kentina ed io siamo sacerdotesse cristiane.
La nostra fede è proprio ciò che anima il nostro amore e la nostra decisione di prendere un impegno spirituale l’una con l’altra e con le nostre comunità. Sì, noi siamo grate di poter essere sposate legalmente in ogni stato della nazione.
Tuttavia, il rifiuto che abbiamo sperimentato durante una delle stagioni più felici della nostra vita ci ricorda in modo netto che c’è ancora molto lavoro da fare.
Preston Mitchum
Sono un uomo nero, gay e queer proveniente dal Midwest degli Stati Uniti. Ho sperimentato la discriminazione dovuta alla mia etnia, al mio orientamento sessuale e alla mia classe sociale più volte di quanto immaginiate. A causa di ciò che significa essere intersezionale, ovvero presentare identità marginalizzate multiple che coesistono allo stesso tempo, è quasi impossibile determinare se sperimento discriminazione e maltrattamento sulla base del mio essere, senza rimorsi, nero o queer; e, molte volte, entrambi.
In una Washington D.C., che sempre piu si espande e si imborghesisce, dove ora risiedo, è cosa normale essere pedinati dalle forze dell’ ordine ed essere osservati entrando nei negozi più costosi. Mentre attraversavo Georgetown, una zona a maggioranza bianca, una volta fui allontanato da un negozio perché “stavo dando occhiate troppo lunghe” solo per essere deriso da altri componenti dello staff.
Non solo ero stato in quel particolare negozio per meno di 10 minuti, ma anche di certo non ero l’unico. Sono stato profilato, preso di mira e denigrato a causa di dov’ero e chi ero percepito essere.
Nessuno mi ha difeso, nessuno mi ha fatto sentire umano; e non sono stati episodi isolati. Ogni giorno noi persone LGBTQ di colore ci svegliamo rendendoci conto che possiamo essere presi di mira all’intersezione delle nostre identità, ed è un processo perpetuo di guarigione e comprensione.
K’Danz Cruz
Lavoravo in un negozio di vendita al dettaglio e non mi fu mai permesso di cominciare il mio processo di transizione per affermare il mio genere, perché, se lo avessi fatto, il gruppo dirigente mi aveva comunicato che i clienti non si sarebbero sentiti a loro agio. Mi fu fatto ripetutamente notare che il cliente viene sempre per primo e, visto il timore dei clienti, non potevo iniziare la transizione.
Sophia Jackson
Lavoravo in un istituto per la riabilitazione a San Francisco, in California, che si occupa di donne e bambini. Un giorno, mentre ero in servizio, il mio supervisore diretto mi disse che doveva avere un colloquio con me. Pensavo avremmo finalmente parlato della mia assunzione a tempo pieno, ma lei cominciò la conversazione dicendomi che ‘il Signore mi aveva portato dinanzi a lei durante il suo tempo dedicato alla preghiera’.
Dopo aver tenuto un momento di preghiera mi rivelò che era preoccupata perché il mio abbigliamento e il mio portamento erano sgraditi a Dio e che “sapevo che Dio mi aveva creato per essere una moglie“. A quel punto mi chiese se ero impegnata in una relazione omosessuale con la donna con cui mi aveva visto venire in chiesa.
Non risposi; piuttosto, le chiesi perché mi poneva quella domanda dato che, a quel tempo, appartenevamo alla stessa chiesa. Ero curiosa del perché questo fosse diventato improvvisamente un problema. Disse che mandavo messaggi confusi perché mi presentavo come un maschio. Finii per dover prendere un permesso a causa dello stress e mentre ero in permesso il mio impiego terminò. Sono stata disoccupata in quel settore da allora.
Victoria Rodriguez-Roldan
Quando mia moglie lavorava in un centro per ripetizioni scolastiche, sebbene il dirigente sapesse della nostra relazione, mia moglie fu costretta a celare la mia esistenza ai bambini. Mia moglie in verità dovette inventarsi un fidanzato fittizio e, più tardi, un marito per giustificare gli anelli nuziali a chiunque chiedesse. L’azienda affermò che voleva sostenerci ma non voleva “turbare i genitori“.
Taissa Morimoto
Nata da genitori immigrati e cresciuta in un quartiere a predominanza bianca, trascorsi la maggior parte della mia adolescenza cercando di adattarmi. Cercavo sempre di nascondere le mie differenze, inclusi gli aspetti della mia etnia e del mio orientamento sessuale.
Per gran parte della mia vita non mi sentivo a mio agio nel vestirmi come volevo, nell’amare chi volevo, o nell’essere chi volevo perché avevo la sensazione di dover scegliere sicurezza e tranquillità piuttosto che essere me stessa.
Assecondavo i cassieri quando mi dicevano che avrei dovuto sorridere di più, restavo in silenzio quando i proprietari del ristorante facevano commenti razzisti, e mi rifiutavo di tenere per mano la mia fidanzata in pubblico, tutto ciò perché temevo per la mia sicurezza. Temevo che ci potesse capitare qualcosa.
* Queste storie sono state inizialmente presentate in un documento inviato alla Corte Suprema degli Stati uniti per conto della Task Force LGBTQ.
Testo originale: First Hand Stories of LGBTQ Discrimination