Le persone LGBT nella chiesa tra una pastorale dei divieti e una dell’accoglienza
Testo pubblicato sul sito della Enciclopedia Digital Theologica Latinoamericana (Brasile), liberamente tradotto da Claudia Iuzzolino, parte terza
Alcuni princìpi della modernità sono stati assimilati dalla Chiesa Cattolica attraverso il Concilio Vaticano II. Oltre al nuovo approccio all’evangelizzazione e alla lettura della Bibbia, il Concilio ha legittimato la separazione tra Chiesa e Stato e l’autonomia della scienza, e ha riconosciuto la libertà di coscienza (che è il diritto di una persona ad agire secondo la sua coscienza, e il dovere di non agire contro di essa); nella coscienza vi è il “tabernacolo della persona”, dove Dio è presente e si manifesta.
Per fedeltà alla voce della coscienza, i cristiani sono uniti agli altri uomini nel dovere di cercare la verità e di risolvere i problemi morali che sorgono nella vita individuale e sociale. Nessuna parola esterna sostituisce la riflessione e il giudizio della propria coscienza; il Catechismo della Chiesa Cattolica approfondisce questo insegnamento e cita il cardinale Newman: “La coscienza è il primo di tutti i vicari di Cristo” (n. 1778), è lei che per prima rappresenta Cristo per i fedeli. La vita spirituale e la riflessione aiutano i fedeli ad ascoltare la voce del Signore e a discernere i suoi segni.
Papa Benedetto XVI una volta ha affermato che il cristianesimo non è un insieme di divieti, bensì una scelta positiva. Ha aggiunto che è molto importante sottolinearlo di nuovo, perché quella coscienza è quasi completamente scomparsa al giorno d’oggi.
È molto bello che un Papa lo abbia riconosciuto, perché vi è, nel cristianesimo, una storia secolare di insistenza sul divieto, sul peccato, sulla colpa, sulla minaccia della condanna e sulla paura.
Si può parlare di una “pastorale della paura”, che con veemenza incolpava le persone e le minacciava di dannazione eterna per ottenere la loro conversione, e questo non solo in passato: ancora oggi, in varie chiese e ambienti cristiani, molti interpretano la dottrina in modo estremamente restrittivo e accusatorio attraverso l’ossessione per il peccato, specialmente per quanto riguarda il sesso.
I divieti legati al messaggio cristiano hanno spesso più impatto rispetto al suo contenuto positivo, e questo si osserva sia all’interno della Chiesa, tra i fedeli, sia all’esterno, tra coloro che la criticano. C’è un’eccessiva attenzione al proibizionismo, ma è essenziale cercare invece nel messaggio cristiano la sua componente positiva, affinché sia una buona nuova: il Vangelo.
Papa Francesco sta seguendo questa strada con determinazione: “L’annuncio dell’amore salvifico di Dio precede l’obbligo morale e religioso; oggi, a volte, sembra prevalere l’ordine inverso”. Questo annuncio deve concentrarsi sull’essenziale, che è anche ciò che più impressiona e attrae, cercando di sanare ogni tipo di ferita e di far ardere il cuore, come quello dei discepoli di Emmaus che incontrarono Cristo risorto.
La proposta evangelica deve essere più semplice, più profonda e più radiosa, ed è da questa proposta che seguono le conseguenze morali. In questa prospettiva, il confessionale non è una stanza di tortura, ma un luogo di misericordia, in cui il Signore ci incoraggia a fare il meglio che possiamo, come ribadisce papa Francesco.
Il Vangelo invita, in primo luogo, a rispondere a Dio che ci ama e ci salva, riconoscendolo negli altri e mettendo da parte noi stessi per cercare il bene comune. La Chiesa non deve essere una dogana dei sacramenti, bensì una casa paterna dove c’è posto per tutti coloro che vivono periodi di stress; tutti possono partecipare alla vita ecclesiale ed essere parte della comunità.
L’Eucaristia, pienezza della vita sacramentale, non è una ricompensa per i perfetti, ma un generoso rimedio e un alimento per chi ha bisogno di forza (Evangelii gaudium, 39 e 47).
La scoperta della verità è progressiva, osserva il Papa, la comprensione dell’uomo cambia nel tempo e la sua coscienza si approfondisce, si ricorda il tempo in cui la schiavitù veniva accettata e la pena di morte veniva ammessa senza problemi.
Esegeti e teologi, insieme alle altre scienze e alla loro evoluzione, aiutano la Chiesa a maturare il proprio giudizio; di conseguenza, ci sono norme e precetti ecclesiali secondari che erano efficaci in altri tempi, ma che oggi hanno perso valore o significato.
Una visione della dottrina della Chiesa come un blocco monolitico da difendere senza sfumature è errata, afferma Francesco, pertanto i fedeli cristiani, compresa la comunità LGBT, dovrebbero sforzarsi di essere adulti nella fede e attenti ai contributi delle scienze (che aiutano la Chiesa a maturare il suo giudizio), invece di intestardirsi in posizioni chiuse a una riflessione critica e al dialogo.
Il Concilio afferma che esiste un ordine o una gerarchia di verità negli insegnamenti della Chiesa, a seconda del legame con il fondamento della fede cristiana. Alcuni contenuti sono più importanti perché sono strettamente legati a esso, altri invece sono meno importanti, perché ne sono meno legati. Per Francesco, quest’ordine è valido sia per i dogmi della fede che per gli altri insegnamenti della Chiesa, compreso il suo messaggio morale.
Esiste una gerarchia nelle virtù e nelle azioni: la misericordia è la più grande delle virtù, e le opere d’amore nei confronti del prossimo sono la migliore manifestazione visibile della grazia interiore dello Spirito. I precetti dati da Cristo e dagli Apostoli al popolo di Dio sono pochissimi, e i precetti aggiunti successivamente dalla Chiesa devono essere trattati con moderazione, per non rendere difficile la vita ai fedeli o trasformare la religione in schiavitù (Evangelii gaudium, 36-37 e 43).
In questa morale ricca di sfumature che il Papa espone è di grande importanza il bene possibile. Senza sminuire il valore dell’ideale evangelico, è necessario accompagnare con misericordia e pazienza le possibili tappe di crescita delle persone, che si costruiscono giorno dopo giorno.
Un piccolo passo compiuto da parte di chi ha grandi limiti può essere più gradito a Dio rispetto alla vita, all’apparenza corretta, di chi non affronta grosse difficoltà. La consolazione e la forza dell’amore salvifico di Dio devono raggiungere tutti, Dio opera misteriosamente in ogni persona, al di là dei suoi difetti e delle sue mancanze. Un cuore missionario non rinuncia al bene possibile, anche se rischia di sporcarsi con il fango della strada (Evangelii gaudium, 44-45).
Tra i principali riferimenti della morale sessuale c’è il comandamento del Decalogo “Non peccare contro la castità”. In origine il comandamento era “Non commettere adulterio” (Esodo 20:14), ma la catechesi cristiana vi ha incorporato altri insegnamenti biblici e tradizionali relativi alla sessualità. Oggi il Catechismo definisce la castità innanzitutto come l’integrazione della sessualità nella persona, nell’unione tra corpo e anima (n. 2337). Quest’integrazione è un percorso graduale, una crescita personale a tappe, che passa attraverso fasi segnate dall’imperfezione e persino dal peccato (n. 2343).
La gradualità nell’applicazione della legge morale è quasi sconosciuta in molti ambienti cattolici, e quindi dovrebbe essere ampiamente insegnata. Spesso assistiamo al trionfo degli eccessi, frutto di uno sterile radicalismo, al posto della ricerca del bene possibile. Ci può essere un’integrazione ottimale solo se una persona vive in pace la propria sessualità, amando il suo prossimo e se stesso; non si possono fare progressi in questo campo senza di essa.
Una lettera pastorale della Curia Romana afferma che nessun essere umano è un semplice omosessuale o eterosessuale; egli è soprattutto creatura di Dio e destinatario della sua grazia, che lo rende figlio di Dio ed erede della vita eterna (Congregazione per la Dottrina della Fede, 1986, n. 16). Questo vale anche per le altre diversità sessuali; che la persona sia parte della comunità LGBT o meno, è una creatura divina, destinata a partecipare alla vita in Cristo e alla sua salvezza.
La lettera aggiunge che ogni violenza fisica o verbale contro le persone omosessuali è deplorevole, meritevole della condanna dei pastori della Chiesa ovunque essa si verifichi. Gli atti omosessuali, a loro volta, sono considerati intrinsecamente disordinati, e come tali non possono essere approvati in nessun caso.
Sulla colpevolezza della persona, tuttavia, ci deve essere prudenza nel giudizio. Si riconosce l’esistenza di alcuni casi in cui la tendenza omosessuale non è il risultato della scelta deliberata della persona, e che questa persona non ha alternative ed è costretta a comportarsi in modo omosessuale; pertanto, in una tale situazione agisce senza colpa.
La Congregazione è consapevole del rischio di generalizzazioni, ma ci possono essere circostanze che riducono o addirittura eliminano la colpa della persona (n. 10, 3 e 11). In questa situazione, quindi, non si può più dire che la persona è in peccato mortale e che deve allontanarsi dai sacramenti.
Non è semplice proporre alle persone LGBT di vivere la castità nel celibato, poiché la castità è l’integrazione della sessualità nella persona, nell’unione tra corpo e anima; la persona non deve essere annullata dal punto di vista affettivo e umano.
Nella formazione al sacerdozio, ad esempio, si insegna che il percorso formativo deve essere interrotto nel caso in cui un candidato abbia eccessive difficoltà con il celibato, “vissuto come un obbligo così doloroso al punto da compromettere l’equilibrio affettivo e relazionale”.
Questa regola è saggia, anche per i religiosi e i fedeli laici, comprese le persone omosessuali e trans: il celibato non deve essere vissuto a ogni costo.
Le conferenze episcopali, che sono il risultato di riflessioni e pratiche contestualizzate nelle diverse realtà, con le loro esigenze e urgenze, apportano anche importanti contributi alla pastorale.
Francesco cita un documento dei vescovi francesi sul riconoscimento civile dell’unione omosessuale (Evangelii gaudium n. 66, nota 60); i vescovi si sono opposti alla legge che equipara totalmente questa unione all’unione eterosessuale, ma hanno anche ripudiato l’omofobia e si congratulano con l’evoluzione della legge, che oggi condanna ogni discriminazione e incitamento all’odio sulla base dell’orientamento sessuale.
Essi riconoscono che spesso non è facile per una persona omosessuale venire a patti con la propria condizione, poiché i pregiudizi durano a lungo e le mentalità cambiano solo lentamente, anche nelle comunità e nelle famiglie cattoliche. Queste famiglie sono chiamate ad accogliere l’interezza della persona come figlia di Dio, qualunque sia la sua situazione.
In un’unione duratura tra persone dello stesso sesso, al di là dell’aspetto puramente sessuale, la Chiesa apprezza il valore della solidarietà, del legame sincero, dell’attenzione e della cura dell’altro.
Questi passaggi sono molto importanti. Se non c’è un ambiente privo di ostilità che permetta alle persone omosessuali di venire a patti con la loro condizione, se non c’è riconoscimento sociale o considerazione per le unioni tra individui dello stesso sesso, l’omofobia presente nella società li porta a contrarre unioni eterosessuali per sfuggire ai pregiudizi.
Questo succede da secoli, e conduce a una fortissima sofferenza delle persone coinvolte. È necessario porre fine a questa situazione opprimente. Secondo il diritto canonico, il sacramento del matrimonio in queste circostanze non è valido (cf. Canone 1095, n. 3), ed è necessario che i fedeli lo sappiano. L’unione eterosessuale non è una soluzione per le persone omosessuali.
I vescovi brasiliani hanno emanato un documento sul rinnovamento pastorale delle parrocchie, che contempla con realismo e apertura nuove situazioni familiari, comprese le unioni tra persone dello stesso sesso. I vescovi riconoscono che anche le coppie di fatto e le coppie risposate frequentano le parrocchie, ci sono anche le persone che vivono da sole con dei bambini, nonni che allevano i nipoti e zii che si occupano dei nipoti; ci sono anche bambini adottati da persone single o dello stesso sesso, che vivono in unioni stabili.
I vescovi esortano la Chiesa, famiglia di Cristo, ad accogliere con amore tutti i suoi figli, preservando l’insegnamento cristiano sulla famiglia, ma è anche necessario praticare la misericordia. Si constata che molti hanno lasciato e continuano a lasciare le comunità perché si sono sentiti respinti, perché la prima evangelizzazione che hanno ricevuto si basava sui divieti, e non sul vivere la fede in mezzo alle difficoltà.
Nel rinnovamento parrocchiale ci deve essere una conversione pastorale per non svuotare la Buona Novella annunciata dalla Chiesa, e allo stesso tempo, per non smettere di accompagnare le nuove condizioni della vita familiare. “Accogliere, guidare e includere” nelle comunità coloro che vivono in altre configurazioni familiari sono sfide che non possono essere posticipate
Testo originale: Pastoral de los LGBT