Ero in carcere e mi avete visitato. Le persone transgender nelle carceri americane
Articolo di Austen Hartke* pubblicato sul suo blog personale (Stati Uniti) il 28 maggio 2018, liberamente tradotto da Alyssa Nocco.
“Lontano dagli occhi, lontano dal cuore.” Per oltre 2,3 milioni di detenuti negli Stati Uniti questo adagio è una cruda verità. Per i detenuti transgender, che subiscono solo il lato negativo della visibilità, la situazione è ulteriormente peggiorata.
Due settimane fa il Federal Bureau of Prisons (BOP, Agenzia federale per le Carceri) ha pubblicato un’edizione aggiornata del Transgender Offenders Manual (Manuale dei detenuti transgender), in cui si ripristina la protezione per i detenuti transessuali nelle strutture federali. Questo manuale è stato inizialmente scritto con l’obiettivo di proteggere i detenuti transgender nelle carceri federali, dando loro la possibilità di essere sistemati nelle strutture a seconda della loro identità di genere.
Tuttavia, le principali modifiche apportate raccomandano che le guardie carcerarie utilizzino il “sesso biologico come determinazione iniziale” al fine di designare l’alloggio del/la detenuto/a, ed inoltre si afferma che “l’identità di genere di un detenuto sarà ora considerata solo in rari casi”.
Per capire meglio perché questo cambiamento costituisce un grande problema, bisogna innanzitutto tornare al momento in cui il manuale è stato scritto. Durante l’ultimo anno dell’amministrazione Obama, organizzazioni come il National Prison Rape Elimination Act Resource Center (Centro nazionale per l’eliminazione degli stupri nelle carceri) hanno iniziato a farsi avanti in difesa dei/lle detenuti/e transgender.
Da alcune ricerche è emerso che un/a detenuto/a transgender su tre subisce una violenza sessuale durante la detenzione, e il rapporto del 2015 dell’U.S. Transgender Survey (Sondaggio nazionale sulle persone trasngender) ha confermato che il tasso di violenza sessuale per i/le detenuti/e transgender è da cinque a sei volte superiore alla media del Paese.
A fronte di questi numeri allarmanti, sono state proposte nuove linee guida secondo le quali si richiedeva alle guardie di decidere caso per caso in merito all’alloggio di un/a detenuto/a transgender, piuttosto che decidere immediatamente sulla base dei genitali di quest’ultimo/a. Secondo molti/a detenuti/e transgender, essere sistemati in celle con persone che condividono la stessa identità di genere riduce il rischio di subire violenza sessuale.
Tuttavia, poco dopo l’adozione di questa guida del Prison Rape Elimination Act (Legge per l’abolizione dello stupro in carcere), tre donne cisgender, detenute nella prigione di Fort Worth, in Texas, avviarono una causa sostenendo che la presenza di donne trans nella stessa struttura le mettesse in pericolo.
Sebbene sia possibile, benché accada raramente, che un/a detenuto/a trans rappresenti davvero un pericolo per gli altri, i sospetti sono aumentati quando l’Alliance Defending Freedom (ADF, Alleanza in difesa della libertà) ha immediatamente sostenuto la causa.
L’ADF, organizzazione cristiana conservatrice classificata come un “gruppo d’odio” dal Southern Poverty Law Center (SPLC, Centro Legale della Povertà del Sud), vanta un potente gruppo di politica pubblica chiamato Family Research Council (Consiglio di ricerche sulla famiglia), che ha mostrato interesse verso il recente dibattito riguardante il “bathroom bills” [le leggi secondo le quali una persona transgender può o meno utilizzare i bagni pubblici afferenti alla sua identità di genere, n.d.r.], così come il capovolgimento della direttiva del Dipartimento di Giustizia sulla protezione degli studenti e delle steudentesse transgender nelle scuole pubbliche.
Il presidente del Family Research Council Tony Perkins, il quale è stato nominato lo scorso martedì presidente della White House’s U.S. Commission on International Religious Freedom (USCIRF, Commissione statunitense per la libertà religiosa internazionale), è stato consigliere dell’amministrazione Trump ed è uno degli artefici del divieto alle persone transgender di servire nelle forze armate. Una volta conclusa la causa contro il carcere di Fort Worth, l’ADF ha utilizzato la risoluzione del caso per sollecitare la revisione del manuale del Bureau of Prisons.
È interessante notare che le tre donne che hanno avviato la causa non hanno apprezzato la sentenza e si sono ritirate dal caso, sostenendo che “gli avvocati dell’ADF hanno completamente violato le loro responsabilità etiche nei confronti delle tre querelanti iniziali, riponendo la loro lealtà in uno degli imputati, il procuratore generale Sessions, per l’interesse dei loro clienti”. Questo rende ancora più difficile credere che l’ADF e il Family Research Council abbiano a cuore la sicurezza delle donne in carcere.
Gli allarmisti traggono profitto dalle nostre divisioni, ma se la domanda non fosse: “Chi merita di essere più al sicuro nelle nostre carceri, le donne cisgender o le donne transgender?”, bensì: “In che modo possiamo migliorare il sistema della giustizia penale, cosicché tutte le persone possano sentirsi al sicuro?”.
Quando i cristiani assistono alla violenza istituzionale o al mancato rispetto alla giustizia da parte dello Stato, Dietrich Bonhoeffer suggerisce diverse opzioni. Un’opzione è quella di prendersi cura di coloro che sono stati schiacciati, quelli che sono stati accusati ingiustamente, che sono stati incarcerati senza un processo, quelli che sono stati vittime del profiling razziale, quelli che non possono permettersi la cauzione per tornare a casa e prendersi cura delle proprie famiglie. Un’altra opzione, ricorda Bonhoeffer è di “non fasciare semplicemente le ferite delle vittime sotto la ruota dell’ingiustizia, ma rompere la ruota stessa”.
I ministeri cristiani fanno parte del movimento di riforma carceraria da decenni, e i sondaggi come quello condotto dalla Prison Fellowship rivelano che l’89% dei cristiani praticanti condivide lo stesso pensiero: “È importante che le condizioni del carcere siano sicure e umane, proprio perché credo che ogni persona abbia un valore intrinseco”.
Crediamo che ogni singola persona porti in sé l’immagine di Dio, che ci indica le azioni da intraprendere per sostenerci l’un l’altro.
Ma i ministeri evangelici come la Prison Fellowship sembrano essere irrintracciabili quando si tratta di lottare per condizioni sicure e umane a favore delle persone transgender, e in generale per i gruppi LGBQ+, i quali registrano il tasso più alto di arresti a causa di pregiudizi omofobici e transfobici. In qualche modo, la fede in Gesù, che ci spinge a visitare chi sta in prigione come fosse Gesù stesso, diventa meno interessante quando la persona che sta dietro le sbarre è una donna trans.
Dunque, che tipo di responsabilità hanno oggi i cristiani LGBTQ che affermano di voler lottare per i diritti delle persone transgender incarcerate? Permetteremo a organizzazioni come l’ADF e il Family Research Council di determinare le politiche pubbliche in nome del cristianesimo?
Infine, lasceremo che i nostri fratelli e sorelle transgender dietro le sbarre siano lontano dagli occhi e lontano dal cuore? Io spero di no. “Ricordatevi dei carcerati, come se foste in carcere con loro; e di quelli che sono maltrattati, come se anche voi steste soffrendo” (Ebrei 13:3).
* Austen Hartke è un ragazzo trans che ama le Scritture.
Testo originale: How Christians Are Harming Transgender Inmates