Le reazioni dei genitori al coming out dei loro figli gay e lesbiche
Articolo di Dan Woog pubblicato su The Advocate (The national gay & lesbian newsmagazine USA) il 28 ottobre 1997, liberamente tradotto da Alessandra Bialetti
I ragazzi gay e lesbiche che crescono in un mondo omofobico si trovano a fronteggiare sfide che i loro coetanei eterosessuali non sono chiamati a vivere. Ecco perché genitori attenti ed amorevoli sono così importanti.
Grazie all’intuizione materna, Rhea Murray, sospettò che il figlio tredicenne fosse gay. Ma apprenderlo direttamente dalla bocca di suo figlio, scosse le sue concezioni di casalinga. Andò in chiesa, chiese a Dio di cambiare suo figlio ma si scontrò con un silenzio che le penetrò nelle ossa. La sua fiducia nella religione ne fu fortemente scossa. Molti giorni più tardi, giorni trascorsi in grande sofferenza, si guardò nello specchio. Scioccata dall’immagine che vide capì che le sue ferventi preghiere erano state disattese.
Cinque anni più tardi spiegò che la ragione di quel dolore risiedeva nel fatto che stava sovrapponendo al figlio la propria immagine negativa dei gay, invece che mettere l’immagine del suo amato figlio sui gay. Da quel momento in poi non versò più una lacrima. Fu un momento di grande sollievo per la sua anima.
Quando la figlia universitaria di Jeff Carstens si rivelò a lui e sua moglie Dale, piansero tutta la notte. “Provavamo grande dolore” oggi ammette. “In un batter d’occhio, passammo dall’essere una coppia della media borghesia pienamente accettata dalla società, a essere disprezzati da una parte di essa.
Temevamo che Ginny fosse licenziata, emarginata, colpita come gay e che noi non potessimo avere dei nipoti. D’un tratto tutti questi problemi facevano parte di noi”.
Dale si unì immediatamente ad un gruppo di sostegno: per mesi invece Jeff si rifiutò di seguirla. “Non volevo sedermi e piangere ascoltando un gruppo di persone biasimare se stesse e me per aver allevato in modo sbagliato i propri figli”, ricorda.
Alla fine iniziò ad approfondire le sue conoscenze e scoprì ciò che “avrei dovuto saper fin dal primo giorno: non c’è nulla di sbagliato, strano o disfunzionale nell’essere gay”.
Il primo pensiero di Diana McCabe quando suo figlio Paul le confessò di essere bisessuale fu l’idea del un sesso vissuto furtivamente con uomini sconosciuti. Fermò un taxi e scoppiò in lacrime.
“Il tassista deve aver pensato che ci fosse stato un lutto in famiglia, cosa molto vicina a ciò che sentivo”. “Ebbi la stessa identica reazione di molti genitori: il terrore dell’Aids, la paura per una vita di cui io non conoscevo nulla, l’interrogativo se io avessi contribuito a tutto questo, l’egoismo di non poter avere dei nipoti. Mi sentivo come se mio figlio fosse un alieno”. A otto anni di distanza Diana è ancora sorpresa dalla potenza dei sentimenti provati, perché essa stessa è lesbica.
I genitori spesso rimangono storditi davanti al coming out dei figli come lesbiche, gay o bisessuali. Perfino madri e padri che avevano intuito la realtà o avevano lodato se stessi per essere stati di ampie vedute provano le stesse classiche emozioni: rabbia, preoccupazione, negazione, vergogna.
Tuttavia anche se le reazioni immediate sono simili, le settimane, i mesi e gli anni seguenti non lo sono. Il percorso di ogni genitore verso la comprensione, accettazione e supporto di un figlio gay, è unico.
Alcuni genitori passano la loro vita muovendosi a piccoli passi, altri camminano più velocemente guadagnando terreno mano a mano.
Tutti comunque sono accomunati dal fatto che un giorno le loro vite sono irrevocabilmente cambiate quando il figlio che pensavano di conoscere gli ha detto “Mamma, Papà… sono gay”.
Ma per ogni Rhea Murray, Jeff Cartstens o Diana McCabe, c’è una madre che pubblica sul giornale un necrologio dichiarando morto il figlio vivente, o un padre che lascia alla figlia 15 minuti per lasciare la casa.
“Questo dimostra quanto può essere toccante e quanto possa colpire una famiglia la notizia dell’omosessualità del figlio, più di una malattia terminale”, dice Carla Hansen, decano associato della vita studentesca e della scuola di specializzazione alla Brown University.
Persino Belinda Phillips, una terapeuta, che descrive se stessa come “una liberale dal cuore tenero”, è stata devastata dalla notizia. Quando qualche anno fa sua figlia Tania all’età di 17 anni fece il suo coming out la Phillips le scrisse un’orribile lettera dicendo che non poteva essere vero.
Le ragioni, comprende ora la Phillips, non avevano nulla a che vedere con Tania ma con la sua autostima. “Se io avessi accettato mia figlia come lesbica che cosa avrebbero detto di me come madre?”si è chiesta.
“Come genitori ci è richiesto di dare ordine alla società assicurando rituali come il matrimonio. Se un genitore fallisce in questo compito come potremmo pensare ad ogni altro tipo di successo?”
A dispetto della presenza di organizzazioni di genitori, Famiglie e amici di omosessuali, presenti in oltre 400 comunità sparse per il mondo, affrontare il fatto che un ragazzo sia gay non è più semplice ora rispetto al passato.
“Molti genitori hanno ancora molti problemi con questa realtà” afferma Paulette Goodman, ex presidente del PFLAG (Associazione di Genitori, famiglie e amici di gay e lesbiche) il cui figlio si rivelò nei primi anni ‘80.
“Accanto allo shock, il senso di colpa e la vergogna, i genitori temono il giudizio della loro famiglia e degli amici su se stessi e sul proprio figlio. Questi sentimenti sono ancora molto forti nonostante tutto il supporto di cui si possa godere”.
“La rivelazione difficilmente avviene in modo semplice. La figlia dei Carstens non riusciva a mantenere a lungo rapporti con i fidanzati; tornò da un semestre di scuola superiore all’estero indossando pesanti scarpe nere e con i capelli biondi tagliati corti. Quando andò al Bryn Mawr College gli amici dei Carstens gli avvisarono che in quell’università c’erano una gran quantità di studenti gay.
Linda Lerner rimase colpita dalle attenzioni che suo figlio, uno studente di Yale, riservò ad un suo amico. Per anni i suoi commenti enigmatici come “Tu non mi conosci veramente” la fecero pensare, ma non chiese mai nulla. “Guardando indietro, mi chiedo perché lo feci, ma suppongo che non ci fossero dubbi: ero sicura al 97%, ma con un figlio devi esserlo al 100%”.
L’interazione con il suo amico confermò i sospetti di Linda e il suo cuore per poco non si fermò. “Ero sconvolta per ciò che stavo perdendo” dice. “Onestamente non mi ero focalizzata troppo su ciò che Michael stava per affrontare”.
I sospetti di Murray si aggravarono quando suo figlio cadde in una depressione adolescenziale. “Non avevo mai avuto contatti con gli omosessuali, ma grazie all’intuizione di una madre, la questione venne fuori poco per volta. A causa della mia ignoranza avevo rimosso il pensiero”.
Si immerse nella lettura di un articolo su un gruppo di supporto per giovani gay ad Indianapolis, ad un’ora circa da casa, e gli disse di passarlo a qualcuno che ne poteva aver bisogno.
Bruce diventò bianco e due giorni dopo fece il suo coming out con i genitori. Per settimane, disse, aveva provato molto tormento davanti a due scelte: confessare la sua omosessualità ai genitori e soffrire per la loro cocente delusione o uccidersi.
Negli anni ’90 gay e lesbiche hanno iniziato a fare i loro coming out ad un’età più precoce rispetto al passato. “I tempi stanno cambiando” dice Sheri Dorfsman, un assistente sociale di West Hartford, Connecticut, il cui figlio Dan, aveva fatto coming out due anni quando era circa dodicenne. Con l’apporto positivo dei media, l’attuale generazione dei genitori ha più informazioni che in precedenza circa l’omosessualità.
Dorfsman non chiese mai a suo figlio se pensasse che la sua fosse una fase di passaggio. “Mi spiegò così chiaramente che era attratto dai ragazzi che non avevo più dubbi”. Lei approva ed applaude la tendenza dei più giovani di fare coming out quando ancora sono a casa. “Così ora sai chi è tuo figlio e puoi trattare con lui” dice. “Ora sai che non stai andando incontro ai soliti problemi adolescenziali”.
Naturalmente, molti ancora attendono il momento di lasciare casa per rivelarsi. Questo è il momento in cui Hansen, il decano della Brown University, li incontra. “La conversazione di solito comincia con uno studente che dice ‘Ho appena fatto coming out e mia madre è sconvolta”.
“I padri, solitamente soffrono in silenzio e separatamente. Così’ io li chiamo e le loro domande sono classiche e di routine ma comunque reali e struggenti. Vogliono sapere se il figlio è certo e persino se lei o lui abbia avuto un’esperienza sessuale; non capiscono che l’omosessualità è qualcosa di più del sesso. Si chiedono cosa hanno sbagliato e si aggrappano a tanti stereotipi”.
Hansen dice che le terribili reazioni quali malattie fisiche, vomito e rabbia, sono impossibili da sostenere a lungo. Ma i pensieri persistenti che le sostituiscono sono ugualmente inquietanti perché sono senza risposta e fortemente elusivi.
“Abbiamo il pensiero ricorrente che i buoni genitori avranno figli di successo, con un futuro lavorativo brillante e ben pagato, che faranno cose eccitanti e sposeranno qualcuno che noi amiamo, mentre qualsiasi altra cosa, che non rientra in queste, è un riflesso negativo dei genitori”.
“Bene, tutto ciò che io desidero perché mio figlio sia felice può essere per lui un peso tremendo. La preoccupazione principale dovrebbe essere ‘come posso accogliere questa nuova versione di mio figlio nella mia vita?’
I genitori di omosessuali hanno bisogno di comprendere che il figlio in realtà conduceva una vita differente da ciò che essi pensavano, una vita di silenzio e macchinazioni. Un genitore dovrebbe dire ‘Voglio sapere molto di più di ciò che si pensi io possa sopportare’”.
Murray concorda. “Per molti genitori mettere in discussione qualcosa nella loro vita ha un effetto domino perché improvvisamente sei chiamato a rivedere un po’ tutto”.
“Non ho molte risposte a differenza di ciò che avveniva prima, ma almeno le risposte ora sono le mie. Il vero problema sorge quando i genitori sono talmente spaventati delle risposte che potrebbero ricevere che finiscono per non fare domande”.
I suoi timori iniziali emersero in giugno generati da quanto lei definisce la sua “limitata educazione”. In assenza di modelli positivi di omosessuali non poteva nemmeno immaginare un futuro per suo figlio Bruce. Come iniziò ad avventurarsi nel mondo omosessuale, facendo domande, leggendo, unendosi al gruppo PFLAG, i suoi orizzonti si ampliarono.
Oggi non solo penso che l’omosessualità di Bruce sia una benedizione ma sottolinea che cosa questo ha generato nella sua vita. “Dovevo crescere” dice. “Adesso il mio mondo grazie alla diversità è più ricco, viaggio da costa a costa per il PFLAG, vedo e imparo cose che non avrei mai conosciuto rimanendo nella mia piccola città.
La madre di Paul Thompson condusse una vita ancora più ritirata. Prima della sua morte in luglio all’età di 84 anni, era il tipo di donna, “che pensa che il sesso orale, etero o omosessuale fosse disgustoso, Per spiegarle l’omosessualità prima di tutto avresti dovuto spiegarle la sessualità”.
Sia lui che sua sorella lesbica glielo spiegarono. Louise Thompson accettò entrambi senza scrupoli. “Io e mia sorella non ci siamo mai sfregati le mani sul fatto di essere omosessuali, così non penso che mia madre lo abbia mai fatto” dice Thompson, copresidente dell’Oklahoma Gay and Lesbian Political Caucus. “Ci volle molto tempo perché lei accettasse, ma noi eravamo i suoi figli e lei ci amava”.
Carl Thompson ebbe più difficoltà ad accettare l’omosessualità dei suoi fratelli e l’accettazione della situazione da parte di sua madre.
“Tante persone confuse e disorientate provano compassione per coloro che soffrono. Mio fratello è così, è un peccatore che ha bisogno di pentirsi ed essere salvato” dice Thompson, vice presidente e capo delle operazioni per la AmeriVision Lifeline, un servizio telefonico a lunga distanza di Oklaoma City con stretti legami alla destra religiosa. “Non posso associarmi con persone che peccano contro Dio. Il mio Dio viene prima della mia famiglia”:
Anche McCabe si trovò impreparata davanti all’omosessualità di suo figlio. Lavorava a Wall Street, luogo omofobico come nessun altro, e non rivelò la sua omosessualità fino alla mezza età.
Aveva pochi amici gay e gli uomini che conosceva stavano morendo di Aids. Era preoccupata non solo perché riteneva (l’AIDS) potesse uccidere il figlio, ma perché pensava che il suo rifiuto per gli uomini avesse reso gay suo figlio, portandolo a rinnegare la sua mascolinità.
I sensi di colpa costituiscono delle trappole per molti genitori. Anche i professionisti della salute mentale non ne sono immuni. “Dissi a mio marito che avrei potuto essere biasimata per questo” ricorda Gilda Frantz, analista junghiana di Santa Monica, il cui figlio, Carl, fece il suo coming out più di 20 anni fa.
“Ho lavorato con molte donne che hanno problemi di qualsiasi tipo con i loro figli – sordità, cancro, problemi emotivi – ed esse si colpevolizzano perché pensavo di aver portato i loro figli alla morte. Le madri dovrebbero imparare a non identificarsi così tanto con la natura”.
Ellie Binder di Baltimora si è interrogata brevemente sul ruolo genetico nell’omosessualità di suo figlio Erik. “Ho trasmesso molti geni compresi quelli di eczema allergici” dice “ma non ho potuto passargli quello dell’omosessualità di proposito. Non pensavo che potessi fare una cosa del genere, ammesso fosse possibile, ma comunque mi sentivo colpevole di aver fatto qualcosa di sbagliato.
McCabe ha superato il senso di colpa. “Penso che tutti siamo prodotti del patrimonio genetico e della vita familiare – Paul è il prodotto di un matrimonio fallito, di un padre che non sapeva comunicare e di una lesbica – ma non mi colpevolizzo più” dice. “Infatti, sono colpita da lui. La nostra relazione è cambiata ed è cresciuta e mi sento orgogliosa di aver avuto un ruolo in tutto questo”.
Un uomo assolutamente convinto della matrice biologica dell’omosessualità e che non intende farsi interrogare da questa visione, è Carstens, un ingegnere in pensione di Glastonbury nel Connecticut.
Lui e sua moglie Dale, avevano due femmine e un maschio annegato all’età di 4 anni, e quando Virginia nacque alcuni anni dopo, i genitori la inondarono del loro amore. “Ogni giorno eravamo consapevoli di quanto fossimo fortunati ad averla, felici che fosse viva” dice.
“Non era stato facile allevare i nostri figli più grandi. Se uno di loro fosse diventato gay avremmo dovuto chiederci cosa avevamo fatto, ma questo non era il caso di Ginny. La fase del “che cosa abbiamo fatto di sbagliato?” durò circa 10 minuti.
Tuttavia, passarono anni prima che egli parlasse pubblicamente dell’omosessualità di sua figlia. La considerava una questione privata ed era preoccupato degli effetti su amici e colleghi di una tale rivelazione. L’occasione fu una cena con un vecchio compagno di scuola. Dopo aver ascoltato diversi commenti contro i gay da parte di un uomo che ammirava, Carstens ne ebbe abbastanza.
“Penso che dovresti sapere che Virginia è lesbica” disse quietamente. Il suo amico fece silenzio. Il cameriere arrivò al segnale. “Inizierò dal cuoio della scarpa” disse l’amico di Carstens. Da allora Carstens non esitò più a parlare dell’omosessualità della figlia.
Per molti genitori il percorso verso l’accettazione dura dai 5 ai 10 anni” dice Hansen. “Essi girano intorno alla questione, lo considerano più facile, poi vedono o sentono qualcosa che li riporta indietro al punto nodale”.
Aggiunge che rimane stupita dal forte legame tra genitori e figli: “Per alcuni genitori è così intenso da toccare punti che non pensavano li portasse a sostenere un figlio omosessuale.
Per altri, la cui autostima è basata sull’avere un particolare tipo di figlio, quel legame è portato fino al punto di rottura”. L’esperienza di Hansen dimostra che prevalgono i genitori che offrono supporto.
I genitori mostrano la loro accettazione, o quanto meno la loro comprensione per i figli omosessuali, in svariati modi.
Linda Lerner, membro del consiglio scolastico a Pinellas, Florida, fece il suo coming out come genitore di un figlio gay questa primavera sul quotidiano St.Petersburg Times, e ora forma i suoi colleghi sul tema dell’omosessualità.
Come rappresentate del PFLAG al summit presidenziale sul futuro dell’America lo scorso aprile a Philadelphia, Binder ha sollevato la questione di gay e lesbiche in ogni sessione di lavoro. Murray ha messo in piedi una derivazione del PFLAG nella sua piccola cittadina di Seymour, Indiana.
A volte i piccoli passi sono i più eloquenti. Vicky Romero di Fremont, California, non comprende l’omosessualità di suo figlio Ruben. “Non è qualcosa che mi piace e in cui posso credere” afferma candidamente, ma l’accetta perché lui gli ha detto la verità.
“Nel profondo spero che lui possa cambiare e trovare una ragazza con cui sistemarsi” dice. “Ho sentito che le persone possono cambiare e abbandonare l’omosessualità. E’ una brava persona, so che farà la cosa giusta”. “Può pensare ciò che vuole” sorride suo figlio Ruben. “Questo è ciò che tutte le mamme hanno nella loro testa”.
Le azioni di Vicky Romero sono più potenti delle sue parole. Recentemente ha girato nel distretto (gay) di S. Francisco con Ruben per imparare di più sull’omosessualità ed accoglie con un benvenuto gli amici del figlio in casa sua.
“Mi racconta che molti genitori rifiutano le persone omosessuali o le buttano fuori e che alcuni di loro addirittura commettono un suicidio” dice. “Penso sia molto triste. Sono i nostri figli!”.
Subito dopo il coming out del figlio di Murray, lei e Bruce frequentarono la chiesa cristiana. “Aveva sempre abbracciato tutte le persone più anziane, tutti lo amavano”, dice con voce sempre più indignata.
“Quella domenica nessuno gli parlò. Il direttore del coro ignorò la sua presenza ma mi domandò se io stessi bene. Bruce mi chiese se quello sguardo di pietà fosse per lui”. Lei lasciò la chiesa quel giorno e non vi fece più ritorno.
“Non potevo permettere che la paura, la mia e quella degli altri, superasse l’amore che nutro per mio figlio”, spiega semplicemente. “Non so proprio come si possa”.
Articolo originale: Our parents