Le riflessioni dei Capi Scout dell’Agesci su “Omosessualità: nodi da sciogliere”
Sintesi dei lavori nei gruppi tratta dagli atti del seminario di studio “Omosessualità: nodi da sciogliere nelle comunità capi” (Roma, 12 novembre 2011) organizzato dall’AGESCI (Associazione Guide e Scouts Cattolici Italiani), pp.42-46.
Intenso è stato il lavoro dei gruppi di capi scout nel pomeriggio del seminario di studio “Omosessualità: nodi da sciogliere nelle comunità capi”. Da essi sono emerse dai capi scout numerose piste di lavoro per l’Associazione (AGESCI) e il caso di ascoltare, con attenzione, le loro domande e le loro riflessioni.
GRUPPO 1 – PAOLA STROPPIANA
Ci siamo confrontati a partire dalle relazioni ascoltate e abbiamo concordato su alcuni aspetti, pur essendo presenti all’interno del gruppo posizioni differenti. La conoscenza corretta. Ci pare importante che si diffonda maggiormente una conoscenza corretta fra i capi dell’Associazione della condizione della persona omosessuale.
Ci pare importante, infatti, quanto è stato sottolineato da più parti, e cioè che l’omosessualità non è una malattia né, tanto meno, una depravazione. Nell’immaginario popolare, infatti, il soggetto omosessuale coincide con un’immagine non positiva.
Ci ha colpito, infatti, del filmato visto, la capo che affermava che una volta dichiarato il proprio orientamento sessuale, la comunità capi aveva annullato completamente ciò che pensava di lei e le aveva sovrapposto uno stereotipo, a cui evidentemente lei non sentiva di corrispondere.
Ci sembra importante che le comunità capi possano, infatti, accogliere e riconoscere le persone per ciò che sono e per ciò che fanno, indipendentemente dall’orientamento sessuale che dichiarano, senza che vengano per questo emarginate o ridotte a stereotipi.
Abbiamo il forte dubbio che questa cultura non esista all’interno delle nostre comunità capi (come anche la cultura riguardo altre situazioni eticamente problematiche) e che potrebbe essere utile creare occasioni di approfondimento.
Il contesto
Un altro aspetto che abbiamo ampiamente condiviso è che molto dipende dal contesto in cui si vive.
La stessa situazione può venire facilmente accolta e integrata o completamente rifiutata ed emarginata a seconda che ci si trovi in una regione o in un’altra dell’Italia, in un paese, in una città ed anche in un quartiere o in un altro della stessa città.
È importante inoltre prendere in considerazione il contesto culturale e sociale delle famiglie di provenienza dei nostri ragazzi.
Che cosa ci lascia ancora perplessi
Nel gruppo abbiamo condiviso abbastanza uniformemente che un/una capo che ha un orientamento omosessuale, purché viva questa sua condizione in modo casto, secondo gli orientamenti indicati dal magistero, può certamente fare il quadro e il formatore, cioè avere a che fare con altri capi, anche avendo dichiarato il proprio orientamento.
Alcune perplessità insorgono relativamente al servizio con i ragazzi. Nel gruppo queste perplessità sono state focalizzate in due concetti, non da tutti condivisi:
– il problema della testimonianza: la persona che vive in modo casto la propria condizione è obbligata (dalla Chiesa) a negare la propria possibilità di donarsi a un altro/altra.
Come può quindi essere un testimone credibile del dono di sé? Nella castità sacerdotale o matrimoniale, infatti, la persona sceglie una chiamata e, in conseguenza di questa ne accoglie le condizioni.
Nel caso della persona con orientamento omosessuale, la condizione non è scelta ma connaturata e quindi la castità è imposta e non frutto di una libera scelta.
– il problema del modello: abbiamo ascoltato da psicologi e neuropsichiatri come avviene la strutturazione della personalità nell’infanzia e nella adolescenza, in riferimento alla relazione con il maschile e il femminile, rappresentati prevalentemente dal papà e dalla mamma (individuazione, differenziazione); è noto alla scienza che cosa avvenga nello sviluppo psico-affettivo di un bambino o l’adolescente qualora venga accompagnato nella propria crescita da un adulto che ha un orientamento omosessuale?
Questa condizione può influenzare o creare confusione ulteriore nel ragazzo/ a? Possiamo essere ragionevolmente sicuri, come associazione, che affidando l’educazione di un ragazzo/a una persona con orientamento omosessuale non influenziamo o modifichiamo lo sviluppo psicoaffettivo del ragazzo/a?
GRUPPO 2 – CLAUDIO CRISTIANI
Emerge un grande bisogno di formazione riguardo ai temi dell’affettività. In particolare, circa l’omosessualità, i Capi non sono pronti né a gestire eventuali casi tra i ragazzi, né situazioni che si possono venire a creare all’interno della Comunità Capi. Esistono pregiudizi che occorre sfatare o almeno affrontare. Occorre perciò investire molto nella formazione.
Serve capire che cosa dice il magistero della Chiesa riguardo all’omosessualità. In seguito, occorre considerare come noi ci rapportiamo rispetto all’insegnamento della Chiesa. Accettazione critica, oppure semplice adeguamento?
È necessario innescare un processo di riflessione sul tema dell’omosessualità, nella consapevolezza che si muove nell’ambito di una riflessione cristiana.
Bisogna porsi una domanda fondamentale: in che modo il capo omosessuale può veicolare una testimonianza rispetto alla dimensione affettiva? In Associazione è opportuno avviare un percorso da strutturare anche cercando di capire quali segnali ed esperienze emergono dall’Associazione.
Omosessualità: nodi da sciogliere nelle comunità capi Per cominciare, può essere utile istituire una pattuglia che, a livello nazionale, inizi a occuparsi di questi temi per offrire all’inizio un contributo di riflessione e, in seguito, strumenti utili alle Comunità Capi.
GRUPPO 3 – FRANCESCO CASTELLONE
Equivoco di fondo: la Chiesa non manifesta contrarietà alle relazioni omosessuali. C’è contrarietà sull’atto omosessuale: il Magistero chiede infatti una relazione fedele e casta.
Questo può essere un buon punto di partenza per fare innanzitutto chiarezza sul tema. Il percorso che andrebbe fatto come Associazione è quello che porta a cercare di capire a fondo il problema.
La differenza con le altre associazioni sta nel mettere al centro di questo percorso i ragazzi che ci vengono affidati, non i capi.
Bisogna tener conto che c’è anche, a livello mediatico, una forte esasperazione su questo argomento. Emerge una forza di approfondimento di situazioni figlie del nostro tempo, di una società che non fa niente sul fronte dell’affettività. Noi dobbiamo decidere se andar dietro all’ondata o conservare la nostra identità.
La questione è delicata, vanno evitati gli estremi, tenendo ben presente che noi rappresentiamo un pezzetto di Chiesa che sta riflettendo su questo. Anche sul tema della coeducazione siamo stati antesignani, rispetto al resto del mondo ecclesiale.
Abbiamo scelto come Associazione di formare uomini e donne: un ulteriore percorso, pertanto, potrebbe portare a dotare i capi di alcune competenze riguardo alla conoscenza dell’età evolutiva nonché rispetto alla capacità del riconoscere le proprie emozioni. Oggi in associazione arrivano tante domande sul come comportarsi – in questi casi – con i ragazzi.
La risposta alle situazioni problematiche non deve essere delegata all’assistente, come spesso accade. Bisogna far partire un lavoro di conoscenza, diffondere una cultura di comunicazione, sensibilizzazione e conoscenza anche in relazione a questi argomenti. Bisognerebbe stilare linee guide più che contenuti, e vanno diffusi i documenti prodotti in merito dalla Chiesa.
Piste di lavoro per l’Associazione:
– mettere i ragazzi e la loro crescita al centro di ogni riflessione fatta sul tema:
– diffondere in Associazione, attraverso le comunità capi, la conoscenza su questi temi che vada oltre i luoghi comuni, le mode o i pregiudizi
– dibattere sulla possibilità di dotare i capi degli strumenti adeguati (formazione sugli aspetti psicologici relativi allo sviluppo del bambino/ ragazzo)
– impegno dell’Associazione nella costruzione del progetto nazionale che ha all’interno un punto dedicato alla tematica dell’affettività e dell’educazione del desiderio.
GRUPPO 4 – FRANCESCA TRIANI
– Occorre assolutamente collegare il discorso sull’omosessualità a quello su un’educazione globale all’affettività. I nostri capi non sono sempre attrezzati e formati a rispondere a quelli che sono I bisogni dei ragazzi oggi, soprattutto sull’educazione all’affettività.
– Pertanto occorre accogliere un forte stimolo ad approfondire questi argomenti come Associazione per mettere a disposizione delle comunità capi dei documenti e dei percorsi chiari di approfondimento.
– Si è evidenziata la necessità di documenti scritti in linguaggio semplice e comprensibile da tutti su questioni complesse come il magistero della Chiesa sull’omosessualità, di cui spesso i capi hanno un’idea sommaria e imprecisa (Padre Alessandro si è reso disponibile a farlo se l’Associazione gliene darà mandato)
– Si è ipotizzato di introdurre il tema dell’affettività specificamente nei percorsi di formazione capi e di riflettere sull’opportunità di costituire una pattuglia che approfondisca il tema dell’omosessualità specificamente, che possa essere pronta a parlare con le comunità capi che si trovano di fronte al problema.
– Il problema di come gestire queste situazioni nasce dall’impreparazione e dalla fragilità delle comunità capi, che potrebbero essere il luogo in cui trovano sintesi il magistero della Chiesa (che ci lascia tutto lo spazio alle risposte della nostra coscienza) e la ricchezza dell’antropologia scout e del metodo. In questo le nostre comunità capi devono ritrovare la forza dell’accoglienza profetica e della frontiera.
– Le comunità capi devono quindi potersi formare sull’argomento, ma non devono essere lasciate sole su questi problemi, anche dalla Zona e dalla Regione.
GRUPPO 5 – ANDREA BILOTTI
Dalla discussione sugli stimoli proposti (ruolo educativo del capo omosessuale ed eventuali problematiche in comunità capi), nel gruppo di lavoro sono emersi i seguenti punti:
– Così come nel passato – sulla comunità capi ma anche e soprattutto riguardo al tema della coeducazione, la nostra Associazione testimonia ancora una volta un ruolo profetico all’interno della Chiesa.
– Si chiede all’Associazione di costruire buone/ fertili occasioni di confronto. Possibili spazi, piste di cammino all’interno dei quali potersi confrontare e crescere anche per evitare un possibile scollamento tra l’Associazione e le singole comunità capi che si trovano a dover gestire eventuali problematiche legate allo specifico tema.
– Il tema dell’omosessualità all’interno del ruolo educativo è sicuramente un’emergenza per la nostra Chiesa e probabilmente come Agesci possiamo/dobbiamo “dire la nostra” al Magistero.
Qualcosa che vada oltre la comprensione o la semplice polarità accettazione/rifiuto del problema.
– Si ribadisce la centralità della comunità capi nella gestione delle diverse situazioni eticamente problematiche. Questo è necessaria premessa per improntare con urgenza un cammino condiviso di formazione comunitaria sul tema dell’affettività in generale e in particolare dell’omosessualità.
– La formazione in comunità capi e la relazione profonda tra capi può facilitare l’emersione di eventuali problemi educativi che se non palesati rimarrebbero confinati nella semplice dimensione individuale del capo.
– Per molti membri del gruppo l’orientamento sessuale di un capo di per sé non confligge con il suo ruolo educativo.
Si chiede all’Associazione di allargare il tema alla dimensione della coerenza del capo nelle diverse situazioni e alla dimensione della capacità del capo di anteporre il bisogno dell’altro al bisogno personale.