Le scuole cattoliche come possono accogliere le persone LGBT? Cominciamo con la dignità!
Articolo di padre James Martin SJ* pubblicato sul sito del settimanale gesuita America** (Stati Uniti) il 3 febbraio 2020, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro, parte prima
Khadija (non è il suo vero nome) è una studentessa africana che frequenta un’università cattolica negli Stati Uniti. Pur essendo musulmana, Khadija è coinvolta nel ministero giovanile dell’ateneo, ed è felicissima di partecipare al suo primo ritiro, durante il quale esce allo scoperto come lesbica per la prima volta, esprimendo la paura che la sua famiglia possa rifiutarla.
Poche settimane dopo, prima degli esami finali, Khadija sta pensando seriamente al suicidio, ma per fortuna si è sentita molto sostenuta durante il ritiro, così si confida con i responsabili del ministero e con un professore di teologia. I responsabili l’hanno portata in pronto soccorso, mentre, durante la sua permanenza in ospedale, il professore le ha procurato tutti i materiali necessari perché non rimanesse indietro; il centro di counseling dell’ateneo, intanto, si coordinava con l’ospedale per le cure necessarie.
In seguito, il ministero ha continuato ad essere una famiglia per Khadija, dato che la ragazza non ne aveva un altra negli Stati Uniti, e tutti si sono premurati di non farla sentire sola durante le feste cristiane. Questo è un esempio di come un’università cattolica può prendersi cura delle persone LGBT: è una vera e propria parabola.
Ora, le parabole sollevano sempre degli interrogativi, ed eccone alcuni: Tutte le università cattoliche avrebbero fatto lo stesso? Tutti i ministeri e i loro responsabili avrebbero accolto il suo coming out? Tutti i professori avrebbero saputo cosa fare in quel frangente? Tutti avrebbero compreso la situazione di Khadija? Andiamo oltre: Tutte le università cattoliche l’avrebbero accettata senza riserve, anche se non ci fosse stato il rischio di suicidio? Tutti avrebbero seguito il Catechismo della Chiesa Cattolica, lì dove dice che Khadija va trattata “con rispetto, compassione e delicatezza” (n. 2358)? Tutte le università cattoliche si sarebbero occupate di lei come Gesù ci chiede di fare, con amore, misericordia e compassione? Tutte l’avrebbero amata in quanto ragazza lesbica?
Ecco di cosa parleremo: come le università cattoliche trattano le tematiche e le persone LGBT nel loro ambito.
Data l’importanza del tema, oltre ad appoggiarmi alla mia esperienza personale ho contattato vari rettori, presidi di facoltà, personale amministrativo, professori e studenti per chiedere loro un contributo. Perciò, quello che vi presento oggi non sono semplicemente mie riflessioni basate sul mio ministero tra le persone LGBT, ma anche verità basate sulla saggezza di decine di persone che vivono e lavorano tra le questioni LGBT, la selva universitaria e la vigna del Signore.
In che modo le università cattoliche possono soddisfare le esigenze delle persone LGBT? È un argomento che dà luogo a molte discussioni, ma è un bene che sia così, perché riguarda un qualcosa che i gesuiti chiamano cura personalis, ovvero il prendersi cura della persona tutta intera, delle persone LGBT, delle persone come Khadija.
La questione sul tappeto per le università cattoliche, quindi, non è in primo luogo legale, o ecclesiastica, o finanziaria, e nemmeno accademica, bensì spirituale: come venire incontro nel modo migliore alle persone che probabilmente dubitano di essere amate da Dio, hanno paura che le loro famiglie le rifiutino, dubitano di poter conquistare, un giorno, un posto nel mondo e, se sono cattoliche, dubitano fortemente, o persino disperano, di trovare un posto nella Chiesa; per tutte queste ragioni, tali persone rischiano di pensare al suicidio o all’autolesionismo.
Le persone LGBT non devono essere considerate solamente delle vittime, in quanto portano gioia, energia e vita al mondo e alle nostre università. Sono figlie e figli amati da Dio, creati a Sua immagine, e proprio in quanto persone LGBT offrono ai contesti in cui si trovano le loro benedizioni, i loro talenti e le loro grazie. Tuttavia, quando incontriamo una persona LGBT, la prima cosa a cui pensiamo è che dev’essere una persona che ha sofferto molto, e che sta ancora soffrendo.
Immaginate un gruppo di rifugiati che, all’improvviso, si immatricola nella vostra università. Non li trattereste certo come fate con gli altri vostri studenti: ovviamente li considerereste persone che hanno dovuto affrontare difficoltà inimmaginabili, e vi comportereste di conseguenza. In effetti, e parlo da persona che ha lavorato con i rifugiati, non è un’analogia sbagliata: le persone LGBT spesso si sentono come rifugiati dall’odio della società, e quasi sempre come rifugiati dall’odio della Chiesa, non solo quella Cattolica. Si sentono escluse, scartate, trattate male, emarginate e perseguitate. Al tempo stesso, proprio come i rifugiati, le persone LGBT portano con sé una grande messe di conoscenze, punti di vista ed esperienze che possono arricchire l’esperienza accademica e rendere più robusti e ancora più “cattolici” l’educazione e l’insegnamento.
Ecco come vi invito a considerare le persone LGBT: persone piene di doni e di grazie, che hanno comunque bisogno delle vostre cure, del vostro sostegno, che voi le difendiate. Ma come farlo? Vorrei parlarvi di alcune buone pratiche, che ho tratto dall’esperienza di molti educatori.
1. Cominciate dalla dignità della persona umana, che è un dono di Dio. Questo è fondamentale. Un preside di facoltà della Costa Orientale ha detto: “Le università cattoliche dovrebbero essere in prima fila nel difendere l’umanità e la dignità dei loro studenti e studentesse LGBT (e anche con i professori, gli ex studenti etc.). Tutto il resto (la riflessione teologica, il giudizio morale, il discernimento su come soddisfare le loro necessità, e anche le soluzioni concrete) sgorga da qui”.
Le soluzioni concrete che questo preside suggerisce sono in armonia con “il rispetto, la compassione e la delicatezza” a cui ci invita il Catechismo. Chiamare le persone con i nomi e i pronomi di loro scelta è un comportamento rispettoso; pensare a misure di inclusione per le persone LGBT è un atto compassionevole; includere l’orientamento sessuale e l’identità di genere nelle misure antidiscriminazione è un atto che dimostra delicatezza e sensibilità.
Un membro di facoltà di un’università del Nordest afferma che è importante anche solo il semplice riconoscimento: “È molto raro che i dirigenti delle istituzioni cattoliche riconoscano in modo positivo le persone LGBTQ+ all’interno delle loro istituzioni”. Infatti capita spesso che negli ambienti cattolici le persone LGBT non abbiano mai sentito parlare di loro stesse in maniera positiva. Partiamo quindi dalla loro dignità: dobbiamo prenderci cura di loro, non perché sono o meno cattoliche, ma perché noi siamo cattolici.
Anche di fronte all’opposizione di molti (pensiamo alle petizioni online, ma anche, in alcuni casi, ai donatori e ai membri dei consigli di amministrazione), le scuole cattoliche dovrebbero essere note per la loro accettazione delle persone LGBT, come segno visibile del rispetto della loro dignità, che è un dono di Dio.
* Il gesuita americano James Martin è editorialista del settimanale cattolico America ed autore del libro “Un ponte da costruire. Una relazione nuova tra Chiesa e persone Lgbt” (Editore Marcianum, 2018). Padre James ha portato un contributo sull’accoglienza delle persone LGBT nella Chiesa Cattolica all’Incontro Mondiale delle Famiglie Cattoliche di Dublino e ha portato una sua riflessione anche al 5° Forum dei cristiani LGBT italiani (Albano Laziale, 5-7 ottobre 2018). Twitter: @jamesmartinsj
** Questo articolo è un adattamento di un discorso rivolto ai rettori dell’Associazione delle Università Cattoliche tenuto a Washington (Stati Uniti) lo scorso 2 febbraio 2020.
Testo originale: How can Catholic colleges welcome the L.G.B.T. person?