Le sfide del sinodo: portare al centro le periferie
Riflessioni di monsignor Robert W. McElroy* pubblicate sul sito del settimanale gesuita America (Stati Uniti) il 24 gennaio 2023, liberamente tradotte da Giacomo Tessaro, parte seconda
Così conclude il rapporto della Chiesa statunitense sul Sinodo: “La ferita dell’emarginazione è intimamente collegata a quella della polarizzazione. Non solo chi vive questa ferita soffre, ma la sua emarginazione diventa uno scandalo per gli altri”. L’eterno peccato di razzismo nella nostra società e nella nostra Chiesa ha creato prigioni di esclusione che durano da generazioni, soprattutto tra le comunità degli afroamericani e dei nativi.
I partecipanti al Sinodo sono stati eloquenti nel testimoniare i pensieri e gli atti razzisti presenti dappertutto nella Chiesa. Pensieri e atti che infettano i rapporti con numerose comunità etniche e culturali, abbandonandole alla periferia della vita ecclesiale nei momenti critici. Cosa ancora più terribile, a volte la Chiesa emargina in modo distruttivo e duraturo le vittime degli abusi clericali.
I più poveri tra noi, i senza fissa dimora, gli immigrati irregolari, i carcerati e i rifugiati spesso non sono invitati a pieno titolo, né convintamente, nella vita della Chiesa e nei suoi ruoli di responsabilità, e a volte la Chiesa è muta quando si tratta di difendere i loro diritti.
Messi di fronte ai meccanismi di esclusione all’opera nella nostra Chiesa e nel nostro mondo, dobbiamo avere a cuore il messaggio di papa Benedetto ai popoli dell’America Latina sulle ferite dell’emarginazione: “La Chiesa deve rivivere e diventare ciò che era Gesù: il Buon Samaritano che è venuto da lontano, è entrato bella storia umana, ci ha risollevati e ha cercato di guarirci”.
La strada maestra per risollevarci e guarire le strutture dell’emarginazione nella nostra Chiesa e nel nostro mondo consiste nel portare sistematicamente le periferie al centro della vita della Chiesa. Questo significa occuparsi dell’emarginazione degli afroamericani e dei nativi americani, delle vittime degli abusi sessuali da parte dei consacrati, degli immigrati irregolari e dei poveri, dei senzatetto e dei carcerati, non come elemento secondario della missione della comunità, ma come obiettivo primario.
Portare al centro le periferie significa sforzarsi costantemente per fare di chi non ha nessun potere il protagonista della vita della Chiesa; significa riservare un posto privilegiato nelle priorità, nel budget e nelle energie di ogni comunità ecclesiale alle persone perseguitate e ignorate; significa diventare convinti attivisti contro il razzismo e lo sfruttamento economico; in breve, significa creare una autentica solidarietà nelle nostre comunità ecclesiali e nel nostro mondo, come ci incitava ripetutamente a fare san Giovanni Paolo II.
Le donne nella vita della Chiesa
I dialoghi sinodali di tutte le regioni del nostro mondo hanno riservato la giusta attenzione alle strutture e alle culture che escludono o sminuiscono le donne nella vita della Chiesa. I partecipanti al Sinodo hanno giustamente fatto notare come le donne rappresentino la maggioranza dei fedeli della Chiesa, e una maggioranza ancora più ampia tra chi contribuisce, con il proprio tempo e i propri talenti, all’avanzamento della missione della Chiesa. Il rapporto sinodale della Terra Santa sintetizza bene questa realtà: “In una Chiesa dove le decisioni vengono prese quasi sempre dagli uomini, sono pochi gli spazi in cui le donne possono far sentire la loro voce, eppure esse costituiscono la spina dorsale delle comunità cristiane”.
Nei dialoghi sinodali è emersa una diffusa volontà di modificare le strutture di esclusione a livello globale, come anche le leggi e le usanze che limitano la presenza dei doni delle donne, con la loro grande ricchezza, nella vita della comunità cattolica. Si vorrebbero eliminare regole e azioni arbitrarie che precludono alle donne molti ruoli ministeriali, amministrativi e pastorali, fino ad ammetterle al diaconato permanente e al sacerdozio.
Una via che potrebbe dare molti buoni frutti consisterebbe nel decidere di ammettere, invitare e impegnare attivamente le donne in ogni ambito della vita della Chiesa, purché la dottrina lo permetta. Questo vuol dire, per prima cosa, eliminare tutte quelle barriere erette un po’ ovunque nella Chiesa, non per motivi canonici o teologici, ma a causa di consuetudini, clericalismo, bigottismo e opposizioni personali.
In secondo luogo, l’invito all’inclusione richiede che la Chiesa riveda le barriere canoniche che impediscono alle donne di avere ruoli di leadership. Papa Francesco ha avviato una riforma in questo ambito quando ha reso meno vincolante il legame tra identità episcopale e ruoli dirigenziali nella Curia romana, inclusa la direzione dei maggiori dicasteri vaticani. Tale riesame dovrebbe estendersi fino a riformare le limitazioni del laicato nella gestione delle diocesi, inclusi i tribunali, e nella gestione delle parrocchie: oggigiorno nessun laico può essere amministratore di una parrocchia.
La proposta di ammettere le donne al diaconato permanente riscuote un ampio consenso. Gli storici dibattono sul ruolo quasi-diaconale di alcune donne nella Chiesa primitiva, e i teologi odierni tendono a concludere che la dottrina non impedisce alle donne l’accesso al diaconato. Per questo la Chiesa dovrebbe compiere tale passo, non solo per ragioni di inclusione, ma anche perché le diaconesse permanenti apporterebbero alla comunità le loro capacità, i loro talenti e i loro punti di vista. Durante il Sinodo sull’Amazzonia del 2019 i vescovi della regione amazzonica, in spirito di preghiera e discernimento, hanno approvato a larghissima maggioranza questo cammino, affermando che costituirebbe una enorme grazia per le loro chiese locali, così disperatamente a corto di sacerdoti.
La questione dell’ordinazione delle donne al sacerdozio sarà una delle più scabrose nei prossimi Sinodi internazionali del 2023 e 2024. L’ammissione delle donne al ministero ordinato come atto di giustizia e servizio alla Chiesa è un invito che è risuonato praticamente in ogni regione del mondo. Molte donne e molti uomini partecipanti al Sinodo, invece, preferirebbero riservare il sacerdozio agli uomini per rimanere coerenti con le azioni di Cristo e la storia della Chiesa.
È probabile che il Sinodo farà sua quest’ultima posizione, ben radicata nella teologia e nella storia della Chiesa. Quale che sia la posizione che emergerà dal discernimento sinodale, rimane il fatto che il dialogo sta chiedendo alla Chiesa di muoversi in due direzioni opposte. Nei prossimi due anni, Dio dovrà spandere abbondantemente la sua grazia sulla Chiesa perché ci possiamo riconciliare in questa contraddizione.
* Il cardinale Robert W. McElroy, nominato nel 2010 vescovo ausiliario di San Francisco, nel marzo 2015 è diventato vescovo di San Diego.
Testo originale: Cardinal McElroy on ‘radical inclusion’ for L.G.B.T. people, women and others in the Catholic Church