La Conferenza “le strade dell’amore” raccontata dai tradizionalisti cattolici
Articolo di Emmanuele Barbieri pubblicato su Corrispondenza Romana, sito dei cattolici conservatori, il 5 ottobre 2015
Nello stesso giorno delle impressionanti esternazioni di mons. Krzysztof Charamsa, si è svolta a Roma una manifestazione non meno scandalosa di “cattolici” LGBT (Lesbiche, Gay, Bisessuali e Transgender). Religiosi e religiose omosessuali, e persino un vescovo il domenicano messicano Raúl Vera López, della diocesi di Saltillo in Messico, hanno esaltato gli pseudo-diritti omosessuali, esprimendo tutta la loro fiducia nelle conclusioni dell’imminente Sinodo di ottobre. L’evento si è svolto a porte chiuse, sabato 3 Ottobre 2015, ma “Corrispondenza Romana” è riuscita a seguire integralmente i lavori.
Erano circa un centinaio i convenuti presso il Centro Pellegrini “Santa Teresa Couderc”, di Roma, per la conferenza internazionale dal titolo Le strade dell’amore – Istantanee di incontri cattolici con le persone LGBT e le loro famiglie, promossa dal “Global Network of Rainbow Catholics“, una rete mondiale di organizzazioni che, in nome della “giustizia sociale”, rivendica inclusione e dignità per le persone LGBT e le loro famiglie in seno alla Chiesa Cattolica e alla società in generale. Alla riunione hanno preso parte leader pastorali, sedicenti “cattolici”, provenienti da diversi paesi, riunitisi per testimoniare, attraverso le loro storie, il proprio approccio e impegno pastorale a favore delle persone LGBT all’interno delle rispettive comunità ecclesiali. Oltre a mettere insieme a punto nuove strategie di azione, obiettivo dichiarato ed evidente dell’iniziativa, è stata quella di esercitare un’ulteriore pressione nei confronti dell’imminente cruciale Sinodo ordinario dei vescovi sulla Famiglia che si apre a Roma lunedì 5 ottobre.
Nella presentazione dell’evento i due portavoce della conferenza, Andrea Rubera e Martin Pendergast, hanno auspicato un confronto sereno con le comunità e istituzioni cattoliche, dichiarando: “Prendendo ispirazione dalla seconda enciclica di Papa Francesco, (Laudato si), pensiamo che sia, ormai, giunto il momento per tutti noi di costruire e prendersi cura della nostra casa comune, la Chiesa, con l’impegno di ciascun membro della comunità cattolica romana.
La nostra casa comune non ha bisogno di lotta o divisione. Dobbiamo trovare il posto giusto per ogni membro del popolo di Dio, tra cui le persone LGBT. Le esperienze che portiamo a Roma alla conferenza “Le strade dell’amore” ci dimostrano che la pastorale per e con le persone LGBT è già realtà in varie parti del mondo, senza alcun problema per le comunità dove avviene. Lo spunto che vogliamo offrire ai vescovi riuniti a Roma per il Sinodo è che possiamo – e dobbiamo – trovare nuovi modi per diffondere questi modelli di pastorale e svilupparne di nuovi”.
La prima testimonianza della giornata, nell’ambito delle “istantanee di Progetti Pastorali LGBT”, è stata quella del sacerdote gesuita cileno Pedro Labrin, attualmente assistente nazionale della “Cristian Life Community” (CLC/CVX) in Cile. Parlando della sua iniziativa Sexual Diversity Pastoral Padis+, che promuove la piena inclusione delle persone LGBT nella Chiesa cattolica, Labrin ha ricordato la storia di Daniel Zamudio, indicandolo come un martire dell’omofobia: “Il sangue dei martiri è ancora fresco e sono stati loro ad aiutarci a capire cosa voleva dire il Concilio Vaticano II con l’espressione Chiesa, popolo di Dio. (…) Daniel non morì per volontà di dio ma degli omofobi”.
Successivamente ha preso la parola la suora americana Jeannine Gramick, fondatrice nel 1997, insieme a Padre Robert Nugent, presso l’arcidiocesi di Washington, di “New Ways Ministry”, un’organizzazione fondata con lo scopo di promuovere «Giustizia e riconciliazione fra lesbiche e omosessuali cattolici e la più vasta comunità cattolica». Per la sua attività, palesemente in contrasto con la dottrina cattolica, nel 1999 Suor Gramick, insieme a Padre Nugent, è stata oggetto di una notificazione da parte della Congregazione per la Dottrina della Fede con la quale gli è stata “Permanentemente vietata ogni attività pastorale in favore delle persone omosessuali” e vietata l’eleggibilità “Per un periodo indeterminato, ad alcun ufficio nei loro rispettivi Istituti religiosi”.
La suora ha raccontato di essersi convertita ad una interpretazione del Vangelo più ampia ed autentica dopo aver incontrato una lesbica e ha presentato la sua intensa attività a favore delle persone LGBT. In particolare, la Gramick ha sottolineato l’impegno della sua parrocchia nella campagna referendaria a favore dell’uguaglianza del matrimonio omosessuale, impegno che ha dato un contributo decisivo per far cambiare opinione a tanti cattolici, spingendoli a votare a favore del matrimonio gay. In questa attività, Suor Gramick ha dichiarato di avere avuto il benestare da parte del proprio vescovo, il quale, nonostante fosse conosciuto pubblicamente come un conservatore, ha dimostrato grande comprensione per la causa LGBT. All’indomani della vittoria del matrimonio omosessuale, lo stesso vescovo, secondo quanto riportato dalla suora statunitense, ha ammesso la sconfitta, facendo un mea culpa: “Avete vinto voi e abbiamo perso noi, voi parlate di amore e accoglienza e noi no!”.
Quindi Suor Gramick, auspicandosi che l’esperienza di “New Ways Ministry” si estenda dagli Stati Uniti a tutto il mondo, ha fornito alle persone in sala una serie di linee guida e consigli pastorali da mettere in pratica nelle proprie parrocchie e comunità: importanza della comunicazione diretta con i vescovi delle diocesi; coinvolgimento dei parrocchiani, mettendo questi in contatto con i propri vescovi per mostrare concretamente a quest’ultimi la fede degli uomini e delle donne omosessuali, bisessuali, transgender e transessuali che hanno bisogno di sentirsi accettate non solo dai parroci e dai semplici sacerdoti ma anche dalle più alte gerarchie.
A seguire, vi è stato l’intervento dell’inglese Martin Pendergast, membro del Consiglio Pastorale di Westminster per i cattolici LGBT, che ha presentato la propria esperienza presentando il progetto All are welcome. Il prelato inglese, che convive tranquillamente con un altro uomo, dopo aver dichiarato che “Gli omosessuali hanno il diritto ad una pastorale efficace e accogliente”, nonché “Gli stessi diritti degli eterosessuali a ricevere i sacramenti”, ha sottolineato come l’iniziativa All are welcome abbia ricevuto l’appoggio del cardinal Vincent Nichols, arcivescovo cattolico della diocesi di Westminster. Pendergast ha quindi raccontato le vicissitudini della sua comunità LGBT nel corso degli ultimi anni, evidenziando con soddisfazione come l’attuale chiesa di “Jesuit Farm Street” celebri una frequentata “messa gay”, aperta ai cattolici di tutte le tendenze sessuali, creando una comunità veramente inclusiva dove “I bisogni e le preoccupazioni pastorali sono accolti a livello della parrocchia e della Diocesi”.
Pendergast si è inoltre augurato che l’esempio pastorale di “Farm street” possa divenire nel futuro un modello di riferimento da esportare in tutte le altre diocesi del mondo, affermando come vi siano già molte comunità ecclesiali interessate a quello che loro stanno facendo. A tal fine, Pendergast ha dato alcuni suggerimenti pratici, raccomandando che tale modello “Non venga imposto dall’alto ma cresca dalle radici della prassi pastorale”. Pendergast ha, quindi, concluso il suo intervento, affermando di riporre speranze nel prossimo Sinodo sulla Famiglia, “Perché possa aprire un vero processo di ascolto a livello globale, nazionale e diocesano, i cui i bisogni pastorali dei cattolici LGBT e delle loro famiglie possano ricevere non un modello pastorale a “taglia unica”, ma una risposta che tenga conto di tutti gli aspetti particolari, portando anche alla grazia”.
Hanno quindi preso la parola gli italiani Pino Piva e Anna Vitagliano che hanno presentato le rispettive comuni iniziative in ambito LGBT. Il gesuita padre Piva ha raccontato il suo progetto Chiesa casa per tutti, avviato il 3 aprile 2014, e tutt’oggi attivo, presso la parrocchia di San Saba a Roma, “Dove si incontrano le persone e non le categorie”. L’iniziativa, nata in parrocchia e fortemente appoggiata da monsignor Matteo Zuppi, vescovo ausiliare di Roma Centro, è un “Invito a ritrovarsi per condividere la propria esperienza spirituale con altri, a partire dalla condizione che ciascuno vive: laico o religioso, anziano o giovane, omosessuale o etero, single o sposato, convivente o divorziato”. Secondo padre Piva il futuro della pastorale deve andare in questa direzione inclusiva, nella quale le persone vengono ascoltate prima di rivolgere loro qualsiasi parola di biasimo o di condanna.
Anna Vitagliano ha quindi presentato le iniziative organizzate nell’ambito della proposta Spiritualità delle Frontiere che si tengono presso la Casa del Sacro Cuore di Galloro in provincia di Roma. Una doppia proposta formativa che prevede “week-end spirituali”, collegati all’iniziativa romana Chiesa casa per tutti e “Laboratori di formazione per operatori pastorali/accompagnatori spirituali”.
Infine, ha concluso la giornata di lavori l’ospite più atteso e importante per il ruolo ricoperto, il vescovo domenicano Raúl Vera López, della diocesi messicana di Saltillo, noto per le sue posizioni apertamente in contrasto con la dottrina cattolica, a favore dei presunti diritti LGBT e della promozione dell’aborto. Il vescovo ha aperto il suo intervento, dichiarando di essere onorato e considerarsi un privilegiato per il fatto di trovarsi sul fronte ad aprire nuovi orizzonti assieme alla comunità LGBT. Quindi, il vescovo messicano ha lodato l’abilità e la potenza organizzativa del movimento per i diritti omosessuali, paragonando con un proverbio messicano la comunità LGBT a delle minuscole formiche, capaci con la loro costanza e laboriosità a sconfiggere mostri ben più grandi di loro: “I piccoli ben organizzati vincono i mostri e voi siete ben organizzati e vincerete”.
Dopodiché il vescovo Vera López ha puntato il dito contro quei sacerdoti che, a suo dire, utilizzano la Bibbia come fosse una clava per percuotere i poveri peccatori, esortandoli ad aprire gli occhi nei confronti degli odierni mutamenti sociali. In questa prospettiva, il vescovo, dopo avere specificato il proprio sostegno a qualsiasi tipo di famiglia, con annesse adozioni omosessuali, si è rivolto al pubblico in sala con un accorato e pressante appello: “Abbiamo bisogno di voi per una chiesa più inclusiva, voi siete i nostri salvatori. (…) La Chiesa ha fatto lo stesso lavoro con i migranti e poi la società è cominciata a cambiare. (…) Papa Francesco ora ha bisogno di noi. Lui ha messo da parte la dottrina e ha preso il Vangelo della misericordia, della pace e dell’amore. Aiutateci per carità!”.
La conferenza internazionale promossa dal “Global Network of Rainbow Catholics” ribadisce con i fatti lo scontro epocale in atto all’interno della Chiesa cattolica. L’ormai celebre e abusata frase di Papa Francesco del luglio 2013 ,“Se uno è gay e cerca il Signore, chi sono io per giudicarlo?”, si è rivelata un assist straordinario per la comunità LGBT che, in barba alla dottrina, reclama oggi una rivoluzione all’interno della Chiesa in nome del Vangelo e della misericordia di Dio. Le numerose testimonianze riportate nel corso della giornata evidenziano come tale processo sia già in corso e, in alcuni casi, goda anche di importanti appoggi delle gerarchie ecclesiastiche.